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«Il M5S, il Pd e la “liberazione” possibile»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 25/04/2018 – 10:33
«Il M5S, il Pd e la “liberazione” possibile»

Nella politica nazionale ecco le coup de théâtre! Luigi Di Maio abbandona la Lega di Salvini, perché incapace a rendersi autonoma dall’ingombrante Berlusconi, e fa l’occhiolino al Pd. Anzi, molto di più. Si dichiara disponibile a progettare, insieme, il governo del Paese.
Di contro, Maurizio Martina, emancipandosi, offre la sponda, nonostante la severa contrarietà di Orfini, capace di essere antipatico persino a se stesso. Renzi? Rumoreggia con il suo significativo silenzio, forse presago del suo imminente ritorno.
Un fatto nuovo in un giorno particolare: quello della Liberazione! Un grande anniversario di un grande evento che offre un sapore speciale alla notizia del giorno, propedeutica alla formazione di una novellata coalizione politica al comando del Paese. Una maggioranza rinnovata da entrambe le postazioni in contratto, è quanto sperano gli italiani di sinistra. Ciò che si chiedono sono: un M5S che cominci a ragionare abbandonando le urla e il suo tradizionale inveire; un Pd al netto della Boschi&co. che si preoccupi più dei diritti sociali che delle banche e dei banchieri. Non solo. Un loro insieme che costruisca l’Europa reale, sappia rientrare dal debito pubblico – lavorando per un bilancio ove il necessario prenda il posto dell’inutile e delle prebende funzionali a mantenere il consenso – e programmare investimenti produttivi, privilegiando il Sud.
Il tutto condito dall’individuazione di una personalità cui affidare, sollecitando in tal senso il capo dello Stato, l’incarico di premier. Un buon nome che si renda garante dell’inversione della tendenza in atto, che privilegi i contenuti rispetto all’immagine e che diventi guardiano dei conti pubblici. Un capo del governo, attrattivo del consenso generale, capace di intervenire con le riforme che necessitano, prime di tutte quelle attuative della semplificazione burocratica reale e della testunicizzazione. Di lavorare per la revisione della Costituzione, limitata alla parte che tutti gli italiani vogliono. Abolizioni delle province, del bicameralismo imperfetto – che impedisce la tempestiva formazioni delle leggi di qualità che occorrono, ivi compreso quantomeno un surrogato del reddito di cittadinanza – e la eliminazione della legislazione concorrente che ha bloccato il Paese e incrementato le differenze tra le regioni povere e quelle ricche.
A proposito di queste ultime, la Regione Calabria potrà godere tantissimo di un governo Pd/Pentastellati, soprattutto se capitanati da un premier che sappia di uniformità, di eguaglianza e di solidarietà. Di conseguenza, anche Mario Oliverio potrà pensare ad allargare la sua produzione, soprattutto legislativa, acquisendo in proposito il consenso dei grillini, forti a Roma di 18 parlamentari su 31. Un modo, questo, per corredare le nostre leggi – quelle che mancano e/o vengono fatte da sempre male – del bollino politico che più conta: del consenso equivalente al 58% dei calabresi. Tanta è la percentuale guadagnata, in termini di seggi romani, dalle donne e dagli uomini calabresi, su cui Luigi Di Maio può contare in Senato e a Montecitorio.
A una riflessione in tale senso può essere d’aiuto l’analisi del voto in Molise che – al di là di un centrodestra che ha vinto solo grazie alla collezione di liste civiche che lo hanno sostenuto – hanno dimostrato che i pentastellati sono il primo partito ovunque. Godono del maggiore consenso sociale che, in quanto tale, esigono rispetto e protagonismo istituzionale, anche ove ancora non è stato guadagnato.

*Docente Unical

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