COSENZA «Con la compiacenza di dirigenti, funzionari e altri dipendenti dell’azienda regionale Calabria Verde – unitamente a personale della Regione Calabria – vengono rilasciate concessioni per la vendita del materiale legnoso in palese violazione di legge; vengono stimate falsamente piante sradicate e colpite da fenomeni atmosferici in misura largamente inferiore al valore reale, avvalendosi di compiacenti tecnici agrari che, senza effettuare alcun sopralluogo, attestano» una presenza di materiale legnoso inferiore a quella effettiva, per «consentire alle ditte titolari di concessione di appropriarsi ingiustamente di somme maggiori rispetto a quelle realmente stimate». Le parole sono tratte da una comunicazione di notizia di reato firmata dall’allora Corpo forestale dello Stato di Cava di Melis nei faldoni di un’altra inchiesta, quella della truffa della legna a Bocchigliero, appena arrivata allo step dei rinvii a giudizio. Era il 9 novembre 2015: l’operazione messa a segno venerdì, sempre dalla stessa Procura, dimostra che il contesto è rimasto, per lo meno, simile. Anche se il management di Calabria Verde non aveva più rapporti da tempo con Antonietta Caruso, la dirigente arrestata per concussione, il presunto “vizio” dei dipendenti infedeli sembra aver resistito agli anni e alle inchieste. Caruso a processo nell’inchiesta madre sulla truffa per i tagli boschivi, procedimento che vede tra gli imputati anche il capo di Gabinetto della Presidenza della giunta regionale Gaetano Pignanelli. Le parole della dirigente, nei brogliacci di quel procedimento, hanno contribuito a ricostruire il quadro di un’agenzia regionale stritolata da dossieraggi, veri o presunti agganci con la magistratura, relazioni intrecciate con la politica. Proprio Caruso tira in ballo Pignanelli. Si riferisce alle concessioni rilasciate nei confronti della ditta De Luca (quella intestata al “compare d’anello” dell’alto burocrate, che si sarebbe avvantaggiata delle perizie pilotate sulla legna da prelevare in Sila) e – il virgolettato è degli uomini del Corpo forestale dello Stato – «dichiara in modo esplicito di aver operato non nell’interesse dell’azienda per cui lavora, bensì per compiacere un’influente figura di primo piano della Regione Calabria che ha mostrato di avere un interesse concreto nel favorire il De Luca Marino».
Poi si lamenta del suo coinvolgimento nell’inchiesta, si sfoga: «Io lo devo acchiappare Gaetano, eh! Anzi, io mo’ chiamo Franco (presumibilmente Iacucci, secondo gli investigatori, ndr), io voglio assolutamente un appuntamento con il presidente, assolutamente! Sinno’ mo parru cioè quannu vaiu ara Procura parru! E poi vediamo di chi sono le colpe». Era un atteggiamento diffuso in Azienda: spesso si “minacciava” di rivelare segreti inconfessabili. La dirigente che si occupava di “Patrimonio e Servizi forestali”, mentre le cimici degli inquirenti ascoltano, commenta i sequestri operati a Bocchigliero e, assieme ad altri due dipendenti, dice «che la situazione è insostenibile in quanto alcune ditte, tra le quali viene citato il De Luca (anche lui sotto inchiesta per la presunta truffa, ndr), devono riprendere i lavori. Uno dei motivi per cui i lavori devono riprendere è da ricercare nel fatto che tali ditte sono legatissime ad alcuni personaggi molto influenti nominati come Mario e Luigi. È agevole – è la chiosa degli investigatori – presupporre che si faccia riferimento al governatore della Calabria Mario Oliverio».
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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