REGGIO CALABRIA Non solo Domenico Papalia, ma molti esponenti di vertice della ‘ndrangheta avevano rapporti regolari con i servizi segreti. A rivelarlo è stato il collaboratore Antonio Cuzzola, ascoltato oggi in aula al processo ‘Ndrangheta stragista.
PAROLA DI KILLER Reggino d’origine, cresciuto sotto l’ala protettrice di Giacomo Latella, negli anni Settanta si trasferisce a Milano dove diventa un elemento di vertice della ‘ndrangheta in città. Killer spietato, Cuzzola per i clan ha sparato e ucciso «a Milano, a Novara, a Modena, a Reggio Calabria, poi – dice – ho portato armi in Calabria, ho lavorato con la droga».
LA SCALATA MILANESE Quando è arrivato sotto la Madonnina, il suo referente era Domenico Paviglianiti, ma nel tempo è diventato uno dei killer di fiducia dei fratelli Antonio e Rocco Papalia, i vertici dei clan in Lombardia. Così ha conosciuto in dettaglio i loro luogotenenti Antonio Schettini, Vittorio Foschini, Franco Coco Trovato, di cui è in grado di ripercorrere passo per passo la carriera criminale anche perché con loro ha condiviso azioni di fuoco, reati, ha partecipato a lunghe e riservate riunioni. E da loro o direttamente dai Papalia è stato incaricato di omicidi delicatissimi, come quello dell’educatore carcerario Umberto Mormile.
L’OMICIDIO «Lo ha ordinato Domenico Papalia. A suo fratello ha detto “non presentarti neanche a colloquio fin quando sul giornale non leggo dell’omicidio”. Mormile è stato ucciso solo ed esclusivamente perché si è confidato con un detenuto, cui aveva confidato che Papalia aveva rapporti con i servizi, faceva i colloqui dentro il carcere». Un segreto che Antonio Papalia aveva condiviso con lui nelle fasi di preparazione dell’omicidio Mormile, ma di cui ha avuto conferma – rivela il pentito – anche da una guardia carceraria che ha incontrato all’inizio del suo percorso di collaborazione. «Mi ha detto che anche lui aveva assistito a questi colloqui. E che li facevano sia Papalia, sia altri due. Un Mazzaferro e l’altro non lo ricordo. Mi ha detto che a loro i permessi li davano i servizi, non il magistrato».
IL RE PAPALIA Cuzzola non ha conosciuto direttamente Domenico Papalia. Quando ha iniziato a “lavorare” per i suoi fratelli Domenico era già latitante. Però ha avuto modo di comprendere quale fosse il suo potere e l’autorità di cui godeva.«Dovevamo andare a ritirare della droga. Quando sono arrivato a Buccinasco, sono arrivati Vittorio Canale, quello che sta in Francia e Domenico Papalia. La gente – racconta il pentito – è arrivata come le mosche, bloccavano anche la strada pur di salutarlo. Sembrava una festa». E non si trattava di un’eccezione. Anche qualche tempo dopo, in occasione di uno dei curiosi “permessi” di cui ha sempre goduto il boss Papalia durante la detenzione, Cuzzola ha assistito ad una scena molto simile. «Arrivavano macchine da Lodi, da tutta la Lombardia. Senza esagerare c’erano almeno cento persone» ricorda.
GELATI, WHISKEY E SCARCERAZIONI Nonostante la detenzione, Domenico Papalia continuava ad essere il vertice della ‘ndrangheta in Lombardia. Anche perché in carcere godeva di un regime di favore. «A San Vittore – racconta – io stavo al 41 e loro un piano sotto, al carcere normale. Erano agevolati, in cella avevano anche i freezer con i gelati. In quel piano lì c’erano i Papalia, i loro nipoti e alcuni palermitani, fra cui Nino Zacco, che aveva fatto da testimone al matrimonio di Rocco Papalia». In carcere – dice Cuzzola – comandavano loro. Avevano guardie carcerarie a libro paga che ai boss detenuti fornivano di tutto. Ma soprattutto godevano di curiosi benefici. «Erano imputati per l’omicidio dell’educatore e facevano il processo in semilibertà». Probabilmente, in ragione dei colloqui regolari che avevano con uomini dei servizi. «Ma non li facevano solo loro, anche Mico Libri».
AMICI E SOCI E i rapporti – spiega – erano strutturati da tempo. E risalivano a ben prima degli anni Novanta. A lui – afferma Cuzzola – lo ha spiegato Mico Barbaro, U Castano, fra gli elementi di vertice dei clan coinvolti nei sequestri. «Mi ha detto che i soldi dei riscatti non li hanno mai lasciati nelle campagne. Glieli portavano a casa. E se erano 5 miliardi ne arrivavano uno e mezzo o due. Quando cercavano la Ghedini avrebbero potuto liberarla il giorno prima di pagare il riscatto. Sono passati a venti metri, ma anche per loro era utile pagare».
IL RAPIMENTO SGARELLA Anche per il rapimento di Alessandra Sgarella – afferma Cuzzola – c’era un patto. «Erano state concordate venti scarcerazioni nel processo Nord-Sud, che sono arrivate in appello, il trasferimento di Barbaro “U Castanu” a Parma e qualche soldino». È in quel periodo che sarebbero nati i rapporti con i servizi di intelligence che – spiega Cuzzola – poi hanno coinvolti tutti i vertici dei clan.
«SIAMO TUTTI INFAMI» «Una volta qui al 41 bis al carcere di Reggio Saro Mammoliti ha detto gridando nel corridoio che tutti i capi avevano rapporti con i servizi, lui incluso. Ma anche i Mazzaferro, i Piromalli, Mico Libri, Barreca, Paolo De Stefano, suo cugino Giorgio, l’avvocato». Rapporti di cui Cuzzola ha anche avuto prova. «Nel caso di Libri era evidente. Andava a fare i colloqui non nella stanza degli avvocati, ma in quella dei magistrati».
IL PREZZO DI FREDA Anche Barreca – aggiunge Cuzzola – godeva delle medesime protezione. A lui i destefaniani avevano dato il compito di curare la latitanza del terrorista nero Franco Freda, che aveva ospitato per alcuni mesi nella sua casa di Pellaro. «Quando è andato via – racconta il pentito – Freda ha lasciato una lettera per Paolo De Stefano, Barreca l’ha aperta e ha scoperto dove stava. Quando lo hanno arrestato, ha rivelato l’indirizzo in cambio di alcuni benefici».
LA GARANZIA DI DON PAOLINO Una trattativa – afferma – gestita dall’intelligence, probabilmente anche all’insaputa dei magistrati. «I servizi garantivano per lui. Sono andati da Paolo De Stefano e gli hanno detto che se Barreca fosse morto lui sarebbe stato condannato all’ergastolo. E De Stefano ha accettato, tanto che una volta Barreca è stato salvato da Paolo Martino, il cugino di De Stefano. Natale Iamonte aveva già scavato la fossa per Barreca e lui è intervenuto per bloccarlo». E questi non sono che alcuni degli episodi che Cuzzola è in grado di riferire. Rapporti di polizia spariti, fili diretti con gli investigatori, suggerimenti, coperture. La storia non raccontata di una trattativa lunga decenni.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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