La Corte di Cassazione ha confermato la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, disposta dal Tribunale di Catanzaro, nei confronti di Francesco Antonio Arena e Giuseppe Arena, due degli indagati dell’operazione “Jonny”. Come spiega Agipronews, si tratta della vasta inchiesta che a maggio 2017 ha portato alla luce un intricato intreccio architettato dalla criminalità organizzata anche nel settore del gaming – in particolare nella raccolta delle scommesse on line e nel noleggio degli apparecchi – con ingenti profitti per la cosca Arena di Crotone. Le indagini avevano fatto emergere che il sodalizio guidato dagli Arena aveva raggiunto una posizione dominante nel settore delle scommesse e del noleggio di slot – la cosca avrebbe agito in particolare attraverso la Kroton Games – attraverso accordi con altre fazioni.
Nel caso di Francesco Arena, scrive la Prima sezione penale, «l’ordinanza impugnata dà adeguato conto di come la società Kroton Games 2000 fosse utilizzata da Pasquale Arena (padre dell’imputato, ndr) come strumento per l’illecito controllo del settore ad opera del suo gruppo di appartenenza». In questo contesto, prosegue Agipronews, l’indagato «ha esercitato all’interno della società un ruolo di vertice pur senza ricoprire incarichi societari, coadiuvando gli amministratori con la partecipazione a riunioni operative per la programmazione delle strategie commerciali, provvedendo alla raccolta e contabilizzazione delle entrate, per poi consegnare i proventi al padre, concorrendo alla direzione della società e alle attività dirette all’ampliamento della rete commerciale». L’ordinanza impugnata, dunque, dà «un’adeguata dimostrazione di come un siffatto coinvolgimento negli affari della società, e quindi del gruppo criminale a cui questa si collegava, non possa trovare giustificazione in un rapporto di lavoro dipendente» ed è ininfluente il fatto «che l’associazione criminale abbia perso consistenza operativa o che l’imputato abbia cessato ogni legame con la stessa». Simile la valutazione per Giuseppe Arena: anche in questo caso il tribunale di Catanzaro ha dimostrato adeguatamente «lo svilupparsi dell’azione illecita di controllo del territorio e delle attività illecite afferenti alle scommesse clandestine e l’esistenza di un costante e continuo contatto del ricorrente con i vertici dell’organizzazione, oltre alla specifica attività di recupero degli incassi dell’illecita attività gestita dall’organizzazione utilizzando la base logistica messa a disposizione dal ricorrente».
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