A dieci anni dall’entrata in vigore del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (Decreto legislativo n. 81/2008) l’Ispettorato nazionale denuncia nell’ultimo rapporto annuale una forte area di criticità su questo tema. In occasione della XV edizione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro del 28 aprile, ideata dalla International Labour Organization (Ilo) nel 2003, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha analizzato gli infortuni che compromettono la capacità lavorativa della vittima. Lo studio (scarica il report Un lavoro poco sicuro) si concentra, in particolare, sugli infortuni con un danno biologico superiore al 15%, che comportano un’inabilità permanente. In base ai dati Inail, la situazione nel 2016 è fortunatamente migliorata: sono stati 4.894 i lavoratori vittime di infortuni che hanno compromesso gravemente la loro salute contro i 5.675 del 2015. Anche se il dato è diminuito, si continua a morire sul posto di lavoro: si passa infatti dai 973 casi del 2015 agli 842 del 2016. Il totale degli eventi registrati nel 2016 è pari all’1,1% del totale degli infortuni sul lavoro. Si può dunque dire che ogni 100 infortuni denunciati all’Inail, uno è invalidante o mortale. Da un punto di vista settoriale, il rischio di un danno biologico superiore al 15% è massimo nel settore agricolo (3,4% sul totale degli infortuni del settore) e in quello delle costruzioni (3,3%). Seguono il settore della lavorazione del legno (2,3%) e le attività minerarie (2,2%).
Dallo studio emerge che il rischio di morte o di infortunio invalidante per i lavoratori del Mezzogiorno è triplo rispetto alle regioni del Nord Italia. Analizzando il periodo che va dal 2012 al 2016, Avellino fa registrare il più alto livello di infortuni gravi o mortali per il lavoratore: 4,2%. Nelle sei province che guidano la graduatoria, il rischio di danno permanente o mortale supera di tre volte la media nazionale. Al secondo posto, infatti, per gravità degli esiti troviamo un’altra provincia campana: Benevento con il 3,9% a pari merito con la provincia di Potenza (3,9%). La provincia sarda di Medio Campidano (3,8%) occupa il quarto posto.
Nelle prime 10 province a più alto rischio di danni permanenti o mortali tre realtà calabresi: Reggio Calabria (3,6%), Vibo Valentia (3,5%) e Crotone (2,5%). Due province siciliane: Agrigento ed Enna (2,5%) e Rieti (2,9%), unica provincia del Centro Italia. Le province di Gorizia e di Biella si distinguono, invece, per la bassa incidenza di infortuni gravi o mortali (0,5%), addirittura inferiore alla metà della media nazionale.
La maggiore probabilità di infortuni invalidanti si riscontra tra i lavoratori con età elevata (a partire dai 55 anni) dove il 2,2% degli eventi infortunistici comporta un danno biologico superiore al 15%. In questa classe di età si concentra la più alta probabilità di perdere la vita in caso di incidente sul lavoro (3,6 casi ogni mille infortuni rispetto ad un media nazionale di 1,5 ogni mille). «Se le oltre 800 morti bianche rappresentano un dato allarmante in un Paese che più di dieci anni fa ha introdotto una serie di norme a tutela dei lavoratori – afferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – non lo è da meno quello delle 4.900 vittime di infortuni invalidanti, per i quali viene a mancare la possibilità di esercitare il diritto-dovere al lavoro sancito dalla Costituzione Italiana. Un danno sociale enorme, particolarmente accentuato al Sud dove la sicurezza sul lavoro rappresenta una sfida da vincere per la tutela dei lavoratori».
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