E se i calabresi decidessero di continuare, così come hanno fatto il 4 marzo, a manifestare dissenso verso i “mestieranti” della politica? Se ci venisse offerta l’occasione di far emergere una nuova classe dirigente capace di tirare la Calabria fuori dalle secche nelle quali il tempo e l’incuria l’hanno costretta tanto da essere causa ed effetto del mancato sviluppo? Probabilmente costituirebbe la più efficace rivoluzione sociale dell’epoca. Il più alto gesto di partecipazione sociale e di civiltà politica mai prima d’ora compiuto in questa terra di confine. Il modo per determinare il cambiamento delle sorti della regione che, purtroppo, s’avvia spedita verso il declino.
Un’impresa ardua? Probabilmente, ma non impossibile. Perché si possa realizzare è propedeutico comprendere la grande portata del voto e gli effetti che potrebbe determinare. Ciascun elettore, nella solitudine della cabina elettorale, dovrebbe scegliere, libero da suggestioni e cosciente dei motivi del gesto che compie, di affrancarsi da un sistema che non ha bisogno di essere più sperimentato. Si tratterebbe di dare una nuova e diversa spinta al cambiamento. Bisognerebbe che ciascuno diventasse protagonista e “sponsor” della Calabria, spinto dal desiderio di assicurarle uno sviluppo radicale e innovativo.
Interrompere il carrierismo politico più che uno slogan, dovrebbe essere considerato una necessità. Un modo per essere protagonista e non più subalterno per stravolgere in meglio il futuro dei giovani verso i quali dobbiamo sforzarci di far trovare condizioni di vita se non migliori, quantomeno uguali a quelle di altre regioni. Sono trascorsi molti decenni durante i quali questa classe politica ha dimostrato di essere incapace di attuare soluzioni alla “Questione meridionale”. Credo, quindi, che si sia arrivati ad un punto di non ritorno in cui le parole purtroppo sono rimaste tali e, come gente del Sud, abbiamo maturato l’obbligo di rivoltarci le maniche e lavorare avendo come obbiettivo la conquista del tempo perduto. È, però, necessario che si faccia presto. Il ritardo, le differenze sostanziali con il Centro-Nord hanno, infatti, solo accentuato il solco che divide le “due italie”. Bisogna intervenire senza tentennamenti, con decisione, stando attenti a non rimanere imbrigliati nelle parole e nelle promesse di quanti hanno la responsabilità di questo fallimento generazionale. Bisogna capire che Il Sud, e la Calabria in particolare, non sono stati condannati alla marginalità per volontà sovrannaturali, ma che vi sono stati costretti dalla non azione dell’uomo; E ciò costituisce un altro valido motivo per dire basta ad anni di insipienza di quanti hanno dimostrato di essersi prevalentemente preoccupati di non perdere la “poltrona” che garantisce loro potere e compensi ragguardevoli, senza neanche spendersi marginalmente per risolvere i problemi della comunità. Una presa di distanze che deve diventare un monito per chiunque intende proporsi a dirigere il Paese in tutte le sue articolazioni, perché capisca che l’impegno che gli si chiede è di assicurare alla comunità pari dignità nel confronto con altre aree del Paese.
I risultati della stoltezza con la quale si è amministrato finora, fatti salvi alcuni casi, sono sotto gli occhi di tutti: la Calabria è la regione più povera del Paese! Ma è anche il luogo nel quale si registra il più alto sperpero di denaro pubblico. Basta sfogliare le pagine dei giornali per capire che siamo di fronte ad un fenomeno che non accenna ad arretrare. Le cronache ci raccontano di frequenti truffe all’Unione europea nel settore dell’agricoltura e non solo. È di pochi giorni fa la notizia che consistenti somme elargite come contributi comunitari sono state fatte incassare ad “amici”, alcuni dei quali senza che avere mai presentato la domanda. Ma è anche la regione che elargisce ai consiglieri regionali tra le più alte d’Italia, con aumenti periodici calcolati sul lordo della retribuzione in modo da poter lucrare più soldi. Un sistema che fa il paio con l’attività di tante amministrazioni comunali che continuano ad approvare pratiche secondo logiche di parte così da attirare l’attenzione delle procure della Repubblica. La prima pagina di Gazzetta del Sud di giovedì scorso recava un titolo molto eloquente: “Ue in Calabria… fa rima con truffa”. Sono questi, come altri, gli episodi che vanno combattuti ma che, invece, un certo tipo di burocrazia alimenta per trarre anche vantaggi personali, come dimostra il caso delle tangenti che sarebbero state pagate ad una funzionaria di “Calabria Verde” per sbloccare un appalto da 500mila euro. Ma anche quelle vicende che hanno fatto in modo che i riflettori della magistratura inquirente della Corte dei conti restassero puntati sul consiglio regionale per far luce sui “rimborsi facili” ai consiglieri.
Un capitolo a sé merita il problema della lotta alla ‘ndrangheta. C’è bisogno di più uomini e mezzi per combatterla fino a farla diventare solo oggetto della storia di questa regione.
Sull’altro piatto della bilancia c’è una Calabria che per sopravvivere è costretta a fare lo slalom con una crisi profonda nella quale, giorno dopo giorno, affonda un numero crescente di poverissimi falcidiati dalla recessione, ma soprattutto dalla mancanza di politiche sociali adeguate. E a soffrire è ovviamente anche il terziario proprio a causa della mancanza di circolazione di denaro; una piaga che si fa sentire nelle città dimostrata anche dalle continue chiusure di esercizi commerciali.
Ma un primato la Calabria ce l’ha! È la regione del Vecchio continente che fa registrare il più alto tasso di disoccupazione. I dati recenti diffusi dall’Istat danno il 50 per cento dei giovani e il 70 per cento delle donne senza lavoro. Ciò accade nonostante l’Istituto di ricerca dica che al Sud c’è un potenziale che è assente in altre aree geografiche: il turismo come fonte di ricchezza. Qualcosa, come si vede, non marcia per il verso giusto e riporta inesorabilmente alla inefficienza della classe politica attuale.
Ecco perché un freno al dilagare dell’inettitudine rimane saldamente nelle mani degli elettori; ecco perché è importante recarsi a votare per esprimere un voto di cambiamento ricordandosi delle tante rendite di posizione acquisite, un voto che serva da antidoto all’inefficienza. Bisogna ricordarsi che buona parte degli eletti considera la politica un lavoro con il quale si guadagna bene e che assicura il futuro anche a coloro che non hanno la necessaria cultura. Quasi il 90 per cento di chi fa politica, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, non crede a ciò che dice, ma risponde ai bisogni emotivi e di prestigio.
Don Luigi Sturzo, fondatore del “Partito Popolare Italiano” (poi trasformato in Democrazia Cristiana) tra i suoi scritti lasciati alla storia contenuti nel volume “Servire non servirsi. La prima regola del buon politico”, edito da Rubbettino, affermava: «Non mancheranno crisi presso tutti gli Stati moderni; non mancheranno contrasti di interessi e di classi; non finiranno le difficoltà dei disoccupati e degli emigranti; vi saranno sempre fannulloni e parassiti; il valore di un popolo e il merito di un governo sarà quello di provvedere in tempo e di formare quelle zone di solidarietà umana e cristiana dove si sentirà meglio il calore di una moralità della vita cristiana».
Alla luce di ciò c’è bisogno di una rivoluzione generazionale e culturale; un “Sessantotto” moderno, moderato, mondato ovviamente del conformismo di massa con il quale si sarebbe voluto abbattere in quegli anni il sistema borghese, ma pregnante di valori sociali per realizzare una crescita civile tenendo conto che la Calabria deve produrre servizi nel settore del turismo, dei beni culturali, delle tecnologie di qualità e in agricoltura. Sarà questo il modo per attrarre intelligenze e trattenere sul territorio i giovani. Non c’è bisogno di altre cattedrali nel deserto, ma di scelte politiche di sostegno alla crescita economica. Per realizzarle serve una classe politica che sia all’altezza del compito.
*Giornalista
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