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«Le due mamme distruggono la famiglia tradizionale»

di Peppe Neri*

Pubblicato il: 30/04/2018 – 12:29
«Le due mamme distruggono la famiglia tradizionale»

L’anagrafe del Comune di Torino, previa autorizzazione del suo sindaco Chiara Appendino, registra il figlio di due mamme. Non era mai successo che un comune riconoscesse pari diritti a un bimbo nato in Italia da coppia gay senza chiedere l’intervento di un Tribunale (due casi analoghi qualche giorno dopo si sono verificati a Gabicce e Roma). L’atto riguarda il riconoscimento di un bambino, nato da procreazione assistita, come figlio di due persone dello stesso sesso, due donne. E sembrerebbe che una delle due sia consigliere comunale. Non è questo il punto, certo; anche se non è superfluo sottolinearlo. Ci si trova davanti a situazioni tanto ambigue quanto pericolose. Non già esclusivamente dal punto di vista normativo, in quanto non c’è una definizione chiara in materia di riconoscimento di figli di genitori dello stesso sesso – tant’è che i media e soprattutto la diocesi di Torino parlano di una forzatura del primo cittadino piemontese – ma la questione che pongo è di carattere etico. La famiglia tradizionale, in questo scenario, sembra essere sotto attacco da parte di chi, egoisticamente, vuole fare un salto nel vuoto in un processo di diffusione di un modello che sta diventando sempre più una ideologia, e non tiene conto dell’interesse primario della prole. Da cattolico impegnato in politica, non posso sottacere a quanto sta accadendo in una parte d’Italia, perché si corre il rischio di far scivolare la discussione sul futuro dell’esempio di società, attraverso un processo mediatico di normalizzazione della teoria gender. Al netto di equivoci, il mio intervento non intende riferirsi alle diverse sessualità o meglio, alla necessità di riconoscere diritti che agevolino la vita sociale a persone di genere diverso dal maschio o dalla femmina. Ma la famiglia alla quale si ispira la nostra società è quella basata sull’unione di uomo con una donna, e dalla quale unione, si generano figli, e al bene di quest’ultimi dobbiamo imprescindibilmente riferirci. Il legislatore e gli amministratori devono fondare la propria azione pubblica su modelli civici che, ancor prima che degli individui, riconoscano la centralità della famiglia. È un dovere difendere uno degli ultimi, se non l’ultimo, baluardo di una società per molti livelli compromessa eticamente. Sostengo in pieno l’idea della Chiesa che «il desiderio di maternità/paternità, come altri desideri della vita, non deve essere realizzabile ad ogni costo».
Non condivido dunque la scelta di Chiara Appendino e di altri sindaci, che così facendo aprono scenari non contemplati dalla legge e soprattutto carichi di rischi d’interpretazioni di un concetto univoco e sacro come la famiglia tradizionale. Infatti, il concetto di parentalità sembra volersi insinuare nell’immaginario collettivo sostituendo il termine chiaro e netto di genitori, inteso in senso assoluto, come padre e madre, cercando subdolamente di oltrepassare la differenza sessuale. Uno strappo pericoloso che stravolge il concetto di famiglia. Percorsi sconsiderati che creerebbero nuovi nuclei sociali sostituendo di fatto il ruolo della famiglia tradizionale e spazzando via la diversificazione sessuale dei genitori, e di conseguenza degli stessi figli, indotti, in questo modo a non riconoscersi più nella loro sessualità di nascita.
La società cambia velocemente: è un dato di fatto. Diversamente, i sistemi legislativi che, non adeguandosi, producono vuoti legislativi dentro i quali trovano spazio situazioni indefinibili e, dal mio punto di vista, preoccupanti. Il sindaco di Torino, e alcuni suoi colleghi, in buona sostanza hanno approfittato di questa fase di “vacazio legis”, rischiando di introdurre pericolosamente – spero loro malgrado – il concetto di identità di genere nel nucleo familiare, cancellando con un tratto di penna l’immagine, sacra e altamente formativa, di papà e di mamma. Ribadisco: legittimo il totale superamento delle differenze sessuali ai fini del riconoscimento di diritti civili, uguali e innegabili a tutti gli individui; ma la negazione di una differenza biologica tra uomini e donne è certamente una contraddizione in termini naturali e rischia, pertanto, di restituire alle nuove generazioni la consapevolezza che uomini e donne siano uguali, sotto ogni punto di vista. Così non è, e mai potrà mai essere.

*Consigliere regionale

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