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«Qual è l'identità di "Nuovo Campo"?»

di Antonino Mazza Laboccetta*

Pubblicato il: 30/04/2018 – 14:54
«Qual è l'identità di "Nuovo Campo"?»

Ho letto sulla stampa della kermesse di «Nuovo Campo» che si è svolta il 28 aprile a Lamezia Terme in un agriturismo. D’altronde, il nome dell’iniziativa politica – «Nuovo Campo» – non poteva suggerire location migliore dell’agriturismo.
Il dibattito ha impegnato Partito democratico calabrese, esponenti dell’associazionismo, della società civile ed intellettuali impegnati.
Guardo a questa iniziativa con interesse. Perché è cosa buona il movimento di idee in politica. Preoccupa, al contrario, il ristagno di idee davanti ai mutamenti, rapidi e continui, che investono le nostre società.
Parrebbe che la finalità di «Nuovo Campo» sia quella di aprirsi alla società e di dialogare con le sue varie componenti per ripristinare canali interrotti o per costruirne di nuovi. I frutti del «Nuovo Campo» dovrebbero essere raccolti dopo la semina di una serie di «discussioni tematiche» che porteranno, a settembre, ad un grande dibattito di tre giorni.
C’è da immaginare che i frutti raccolti a settembre saranno portati ad ottobre nella nuova Leopolda di Renzi, che quest’anno si chiamerà «La prova del nove». Del resto, il promotore di «Nuovo Campo Sicilia», Davide Faraone, renziano, ha ben piantato a Lamezia i suoi paletti, mettendo in chiaro sostanzialmente tre cose: i) il PD di Renzi ha evitato che la percentuale della sconfitta fosse ad una cifra, come quella francese (avrà voluto alludere, Faraone, all’“esperimento Macron”?); ii) il centrosinistra tradizionale ha senso solo dentro l’orizzonte di «questo campo nuovo»; iii) il PD è incompatibile con il M5S.
L’iniziativa, come ho detto, mi suscita interesse. Ma, al tempo stesso, anche tanta curiosità.
Mi suscita curiosità perché il terreno politico-culturale sul quale dovrebbe muoversi «Nuovo Campo» sarebbe segnato dall’asse tra moderati e rifomisti. Asse che ricorda un adagio sul quale molti osservatori avevano, a torto o a ragione, tanto speculato. E quest’adagio è il c.d. Partito della Nazione. Moderati e rifomisti.
Mi spiego meglio. Lo scenario politico è dominato dal centro-destra che, dopo il 4 marzo, abbiamo visto essere a trazione leghista, e dal M5S. Forza Italia trova un formidabile collante nell’ottantenne Silvio Berlusconi, e contiene un serbatoio di voti di tutto rispetto. Cui voracemente punta la Lega (nazionale) di Salvini. È pensiero lungo, quello di Salvini: Salvini vuole i voti di Forza Italia al punto da resistere alle sirene del governo con il M5S.
L’eredità di Silvio Berlusconi – e non ci riferiamo alle sue ricchezze – è importante. Perché contiene il voto moderato. E sul voto moderato si vince o si perde.
Anche Renzi, che come Salvini è giovane, ha il pensiero lungo. E a quell’eredità moderata pare mostrarsi interessato almeno quanto Salvini. Lo era fin dai tempi del “patto del Nazareno”. Perché non dovrebbero esserlo ora? Il precipitare degli eventi apre nuovi percorsi, e impone una nuova accelerazione. Renzi è un “animale politico”. Abile nel gioco di scacchi. Ammaccato quanto si vuole, è però ancora capace di sparigliare e di sorprendere.
Il M5S, in questa logica, sarebbe derubricato a contenitore di protesta. Da prosciugare attraverso un solido progetto politico. E il «centro-sinistra “tradizionale”», come lo chiama Faraone? Ha senso solo se si costruisce questo campo nuovo: è il messaggio giunto da Lamezia.
A ben riflettere, anche il sistema elettorale, dal quale è emerso l’attuale scacchiere politico, è stato pensato, pur tra tante difficoltà, per allineare un blocco trasversale capace di arrestare il montante populismo leghista e pentastellato. È finita com’è finita all’apprendista stregone. Ma la partita è ancora aperta.
E, allora, dalla curiosità che mi suscita il «Nuovo Campo» mi nascono delle domande. E sono le domande che, se avessi partecipato alla kermesse di Lamezia, avrei rivolto ai protagonisti dell’iniziativa.
Parrebbe di capire che l’iniziativa nasca nell’alveo del PD, e che del PD non punti a diventare una corrente. Se l’iniziativa nasce nell’alveo del PD, mi chiedo quale identità voglia offrire un «Nuovo Campo» che poggi su un asse di moderati e riformisti. Il termine «moderato» ha una sua pregnanza nel linguaggio politologico, ed è abbastanza inequivoco anche in quello mass-mediologico. Il termine «riformista» ha anch’esso una sua tradizione storico-ideologica, ma nel linguaggio mass-mediologico non è inequivoco quanto il termine «moderato».
Guardando all’ultima esperienza di governo, quella renziana, non possiamo certo dire che si sia trattato di un’esperienza non riformista. Tutt’altro. E, però, il problema è capire se l’essere riformisti si risolva sic et simpliciter nel «fare le riforme» o sottenda, invece, una ben definita visione politico-culturale del mondo e della società. Le riforme, in sé, possono essere di destra come di sinistra. E questo è il primo punto di domanda.
Se «Nuovo Campo» dice di volersi aprire alla società e di voler dialogare con essa, è chiaro che deve proporsi con una sua identità. E l’identità è la visione politico-culturale del mondo e della società. Non proponendosi con una identità, qualcuno potrebbe nutrire timore a parlare con uno sconosciuto.
Parrebbe anche di capire che la riflessione di «Nuovo Campo» muova dalla sconfitta della sinistra del 4 marzo, o, come dice Faraone, dalla “tenuta” della sinistra a fronte di un disastro ancora peggiore (alla francese, per intenderci). Se è così, l’altra domanda che avrei posto è questa: perché la sinistra ha preso più voti ai Parioli che nelle periferie? Perché ha preso più voti tra chi la pensione ce l’ha già in saccoccia e meno tra i giovani che vivono nell’incertezza del futuro? Giovani che, per usare le categorie di Bauman, abitano la liquidità con disagio, respinti, scacciati, in fuga. Perché è aumentata la disuguaglianza, e, con questa, la forbice tra ricchi e poveri? Perché la povertà raggiunge livelli allarmanti? Perché la classe media è sprofondata nella povertà?
Un’iniziativa politica che si proponga il dialogo con la società, a mio avviso, deve offrire, sulla base di una ben chiara visione politico-culturale, la sua lettura della società, dell’economia, del mercato, dell’impresa, del lavoro, delle relazioni industriali, dei diritti, del ruolo dello Stato.
È una lettura che si arricchirà certamente nel dialogo con la società e con i suoi tanti mondi. Ma se alla base manca questa lettura come pre-condizione dell’apertura all’esterno, il dialogo diventa caciara. Una corsa al civismo deteriore per mettere insieme blocchi di interessi. Che saprebbe – si parva licet componere magnis – di una nuova presa della Bastiglia, o se volete, di un nuovo assalto al Palazzo d’Inverno. Non è questo che oggi chiede la “gente”.

*docente dell’università Mediterranea di Reggio Calabria

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