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«Un dibattito per riformare la legge sugli scioglimenti»

di Domenico Vestito*

Pubblicato il: 02/05/2018 – 17:37
«Un dibattito per riformare la legge sugli scioglimenti»

Ho letto, con profonda attenzione, l’intervento di Antonio Viscomi, apparso sul Corriere della Calabria lo scorso 1 maggio. Mi ha positivamente impressionato la scelta della data, certamente non casuale, la giornata della Festa del Lavoro, per offrire questo contributo, prezioso, alla discussione sul tema, sempre più attuale e problematico, dello scioglimento dei consigli comunali in Calabria.
L’1 maggio, infatti, ci collega, immediatamente, al tema della democrazia rappresentativa e alla sovranità popolare, sanciti dall’articolo 1 della Costituzione repubblicana. Bene quindi Viscomi e un grazie, sincero e sentito, per avere acceso una nuova luce su queste vicende.
Chi scrive è stato sindaco, democraticamente eletto nel novembre 2013, di Marina di Gioiosa Ionica, uno dei comuni destinatari del provvedimento di scioglimento, adottato dal Consiglio dei ministri lo scorso 22 novembre 2017.
All’indomani della devastante decisione – per me, la mia amministrazione e la mia città – indirizzai ad alcuni organi di informazione, che si erano occupati della nostra storia, una nota, scritta dopo attenta riflessione, con la quale – superate le remore dettate, soprattutto, dal senso di inadeguatezza e di profonda vergogna che si prova nel vedersi riconosciuta l’indegna patente di fiancheggiatore della ‘ndrangheta, che per tutta la vita ho contrastato, a costo di sacrifici enormi personali e per la mia famiglia – riproponevo alcune riflessioni, che avevo avuto modo di sviluppare già in passato, prima di essere trascinato, mio malgrado, in questo incubo. Credevo e credo anch’io che non sia il numero degli scioglimenti – negli ultimi mesi particolarmente in crescita – a determinare un reale contrasto alle mafie? Ho l’impressione, infatti, che se tutto diventa mafia, nulla più poi lo è e lo sarà.
Sarebbero tante le cose da aggiungere sulla storia della mia amministrazione, su come siamo stati maltrattati da pezzi dello Stato, che prima ci hanno ignorato e poi eliminato, ma non è questa la sede e non sono queste le mie intenzioni. Abbiamo scelto di difenderci nelle aule giudiziarie e lì continueremo a farlo, con dignità, alla ricerca di giustizia e verità.
Tuttavia, per le responsabilità pubbliche che derivano dall’essere stato investito dal consenso libero e popolare, finché esisterà un articolo 21 della Costituzione, avverto forte il dovere, con rispetto, ma con fermezza, di non tacere e di utilizzare questa mia kafkiana vicenda per contribuire al cambiamento, finalizzato a un contrasto autentico alla ‘ndrangheta e alle cosche.
Quello che mi preme, qui e ora, è rimarcare e rilanciare il dibattito per una profonda revisione della norma che disciplina la materia degli scioglimenti dei consigli comunali. Una legge striminzita, che troppo spazio lascia alla discrezionalità degli organi che gestiscono questo procedimento di alta amministrazione, che poi sfocia in un provvedimento assunto da una istituzione politica, quale è il Consiglio dei ministri. Per non dire della mancanza assoluta del diritto di difesa e, infine, della terzietà di chi, in ultima istanza, è chiamato a giudicare.
Eppure, era stata proprio la mia amministrazione, nel 2014, a lanciare, all’allora viceministro all’Interno, Filippo Bubbico e al presidente dell’Anac Cantone, la proposta di avviare, prima in fase sperimentale (candidandoci a fare da apripista) e poi in modo definitivo, delle serie iniziative di accompagnamento delle amministrazioni locali, coinvolgendo Formez, Università, Funzione Pubblica e Prefettura. Da lì scaturì il “Tavolo Locride”, che dopo tre riunioni, privo di un’adeguata regia politica, naufragò miseramente. Credo che sia utile, oggi, riprendere quella impostazione, farne oggetto di una precisa proposta legislativa, che si caratterizzi per alcuni elementi fondamentali:
1. Lo scioglimento resta strumento valido? L’ho sentito dire a più riprese. Ma ne siamo veramente sicuri? A essere sciolti, molto spesso, sono gli stessi Comuni. Delle due l’una: o la diagnosi è sbagliata o la terapia non serve.
2. La norma colpisce solo gli organi elettivi, ma chi ha un minimo di dimestichezza con l’ordinamento degli enti locali sa perfettamente che sindaco, giunta e consiglio, senza l’apparato burocratico-amministrativo non vanno da nessuna parte. Il Tribunale di Locri, che ha rigettato la proposta per la mia incandidabilità, questo lo dice a chiare lettere. Noi abbiamo ereditato lo stesso personale e i medesimi funzionari della commissione straordinaria che ci aveva preceduti e questa, a sua volta, l’ha avuto in dote dall’amministrazione sciolta nel 2011. Oggi la terna che amministra provvisoriamente il Comune utilizza gli stessi funzionari nei quali noi avevamo riposto fiducia, finanche il capo dell’ufficio tecnico, scelto personalmente dal sindaco, in una rosa di tre nomi, ai sensi dell’art. 110 Tuel, dopo un procedimento a evidenza pubblica.
3. Occorre puntare, in modo serio e prioritario, sull’azione di affiancamento dei comuni. Viscomi, questo, lo chiarisce bene, quando accenna alle difficoltà di governare gli enti locali. In Italia, quando lo si è voluto, è stato fatto. Penso alla vicenda di Roma. Allora si decise di non sciogliere il consiglio capitolino, designando il prefetto Gabrielli quale tutor di quella amministrazione. Perché ciò che è valso per Roma non va bene per il resto d’Italia?
4. Non è possibile che nel procedimento di scioglimento il diritto di difesa venga completamente annullato. Si prevedano, quindi, forme di garanzia nei confronti di chi viene sottoposto a giudizio, con diritti e doveri precisi, come imporrebbe la Costituzione repubblicana.
5. Terzietà di chi deve giudicare. È inaccettabile che un provvedimento così invasivo per la vita di intere comunità civiche nasca, si sviluppi e si concluda esclusivamente nell’ambito degli apparati del ministero dell’Interno. Che autonomia di giudizio possono avere commissari che devono riferire a un prefetto dal quale dipendono, il quale a sua volta deve passare la palla a un ministro che è il suo capo, il quale, infine, deve confrontarsi con la compagine di governo di cui è parte integrante? Meglio, invece, sarebbe affidare la decisione finale a una autorità indipendente o a una sezione specializzata del tribunale competente per territorio, dove prevedere un contraddittorio serio e approfondito.
Ecco, direttore, queste sono solo alcune proposte, che rilancio dalle colonne del suo giornale e, mi sia consentito, lo faccio in modo particolare nei confronti di Viscomi – del quale ho sperimentato, personalmente, la sensibilità istituzionale e umana – ora che lui ricopre il ruolo alto, nobile e responsabilizzante di legislatore. Un appello finale: assuma Viscomi, direttamente, l’iniziativa di un dibattito pubblico, una due giorni di discussione, per arrivare a un testo di riforma da presentare in Parlamento. Con l’auspicio che questo dibattito non cada nel dimenticatoio, la saluto con rinnovata stima.

*Ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica

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