Il ragazzo avrà poco più di venticinque anni. È uno dei tanti ragazzi che incontri per strada, all’università: iPhone X sempre in mano, cuffie wireless ultima generazione della Apple, pantaloni larghi, tagliati di netto a circa cinque centimetri dalla caviglia. Alcuni tatuaggi, devo dire anche belli.
Il treno ci porta da Roma in Calabria, capitiamo vicini, in una carrozza di seconda classe. Scambiamo qualche battuta, e subito gli chiedo di darmi del «tu»: «Se mi dai del ‘lei’ mi fai sentire vecchio»!
Il ragazzo mi dice che studia, si sta specializzando, fa qualche lavoretto per pagarsi le spese, e quando può viaggia.
Poi mi fa: «Ma tu non sei Franco Laratta, il politico?».
Io: «Sì. Diciamo pure… “il politico”»!
Lui: «Ti vedo e ti leggo sui social, sei molto attivo. Ti vedo spesso con ragazzi, e per fortuna che qualcuno si ricorda di noi».
Ma ben presto si scivola nella politica. E purtroppo in uno scontato qualunquismo. Glielo dico con franchezza al ragazzo: «Dici cose che si sentono dire ovunque. Anche tu vittima del populismo grillino?».
Lui: «Non mi interessa il grillismo. So solo che la sinistra ha fallito in tutto. Forse in passato ha fatto qualcosa, ma con noi ha fallito completamente».
Io: «Parli senza specificare, senza entrare nel merito…».
Lui: «Parlo della sinistra, di quella sinistra che al Sud è fatta di carrieristi, sono sempre gli stessi, non hanno mai dato spazio a noi giovani. Noi non chiediamo nulla, vorremmo solo che i politici fossero vicini ai giovani, che ci ascoltassero, che ci capissero: noi siamo i figli di nessuno e del nulla. Ti pare che questo non sia responsabilità della politica? Dai!».
Io: «Basta però che non ci piangiamo addosso, e che non si cerchino alibi per giustificare il disimpegno».
Lui: «Io non mi piango per niente addosso. Io chiedo che a noi ragazzi venga data la stessa opportunità dei ragazzi che vivono in Lombardia, in Emilia Romagna, in Toscana, in Piemonte. Noi siamo lontani da tutto, i servizi pubblici sono da terzo mondo; vanno avanti solo quelli che sono amici dei potenti, i raccomandati. La Calabria è la terra della corruzione e della raccomandazione. È veramente vergognoso il modo di fare politica qui!».
Io: «Vedo che hai un iPhoneX. Immagino che tu viva costantemente collegato, che ti piaccia stare sui social. Ma forse ti sfugge che la vita è un’altra cosa».
Lui: «Io sono spesso collegato. E allora? Noi giovani di oggi siamo quello che la nostra epoca ci ha dato: per noi navigare è vivere, anche sperare, significa guardare il mondo, apprendere».
Io: «Ma il tuo impegno reale dov’è? Che fai per migliorare la nostra società? Quali gruppi o associazioni frequenti?».
Lui: «Se intendi il frequentare gruppi e associazioni politiche, io non ne frequento, non mi interessano. Noi siamo soli, lontani da tutto, la nostra generazione è stata ingannata. E tu lo hai capito benissimo visto che frequenti spesso i giovani. Forse non lo vuoi ammettere».
Io: «Che fai, ti arrendi? Scappi via dalla Calabria anche tu? Non credi in questa terra?».
Lui: «No, no, no… sbagli assai. Il nostro non è fuggire, che dici? Se a noi danno la possibilità di rimanere, noi rimaniamo. Qui ci sono le nostre famiglie, gli amici, le nostre ragazze. C’è la nostra vita, ma qui non vediamo il nostro futuro. Nessuno ha fatto qualcosa per noi».
Io: «Allora impegnati, lavora per cambiarla questa Calabria».
Lui: «Ma dove, come? In Calabria non vogliono cambiare nulla. Noi siamo ostaggi, questa è la verità. Ostaggi!».
Io: «Devi reagire, fare squadra con altri, lottare. Anche a noi da ragazzi impedivano di crescere, eppure molti di noi hanno reagito e abbiamo vinto molte battaglie».
Lui: «Sai cosa ti dico? Se si presenta anche uno spazio piccolo piccolo, noi ci entriamo dentro. E lotteremo, stanne certo. Non abbiamo paura di nessuno, lotteremo. Ci volevano morti, finiti, ma la mia generazione troverà il modo di reagire. Cacceremo gli incapaci e i corrotti che hanno rovinato la Calabria!».
«Il treno Freccia bianca 8877 è in arrivo nella stazione di Paola».
Mi alzo in fretta per scendere. Il ragazzo scenderà alla prossima. Ci salutiamo, poi lui mi fa: «Grazie, almeno tu mi hai lasciato sfogare, scusami se ho usato espressioni dure!». Ed ecco un bel sorriso. Ci scambiamo i cellulari e io scendo di corsa. Lui non sa che per il fatto stesso di non volersi arrendere e di voler cambiare questa terra, ha già vinto. Ha vinto la sua generazione, ha vinto la Calabria.
*Giornalista ed ex parlamentare
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