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La madre coraggio fa i nomi. E punta il dito contro «la burattinaia» – VIDEO

Rosaria Scarpulla ricostruisce l’escalation di aggressioni che hanno preceduto l’autobomba che ha ucciso il figlio Matteo. «Mentre lui bruciava Di Grillo continuava a lavorare»

Pubblicato il: 07/05/2018 – 15:36
La madre coraggio fa i nomi. E punta il dito contro «la burattinaia» – VIDEO

VIBO VALENTIA Quello che la signora Rosaria Scarpulla non riesce a dimenticare è il ronzio che ancora sente nelle orecchie del mezzo con cui Domenico Di Grillo lavorava la terra subito dopo lo scoppio dell’autobomba che ha ucciso suo figlio e ustionato gravemente suo marito, il 9 aprile scorso. «Quando la bomba è scoppiata lui era lì che lavorava imperterrito, senza neppure porsi il problema di cosa fosse successo mentre mio figlio bruciava», racconta la madre di Matteo Vinci, una donna che oggi vive da sola, senza più un figlio accanto, in attesa che il marito Francesco torni dal centro grandi ustionati di Palermo e senza più la vicinanza della fidanzata di Matteo, ritornata in Argentina dopo che il suo progetto di nozze si è infranto con l’attentato di località Cervulara di Limbadi, nel Vibonese. Da subito la signora Scarpulla ha puntato il dito contro le persone che per anni hanno vessato la sua famiglia. Li ha fatti fin dal primo giorno, nomi e cognomi, e li ripete nel corso della conferenza stampa che si è tenuta a Vibo Valentia lunedì mattina insieme all’avvocato Giuseppe Antonio De Pace. I Vinci hanno sempre indicato la famiglia Di Grillo-Mancuso, vicini di terreni con i quali c’è un contenzioso fin dagli anni ’90 per il possesso di una particella. Domenico Di Grillo, 71 anni, la moglie Rosaria Mancuso (sorella dei capi dell’omonima cosca di ‘ndrangheta Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego, ndr), le figlie Rosina e Lucia Di Grillo, Vito Barbàra, sposato con Lucia. A questi nomi la signora Scarpulla aggiunge quello di Salvatore Mancuso, detto “Lo zoppo”, altro fratello di Rosaria Mancuso. «E c’è anche un altra persona, di cui non farò il nome perché non l’ho riconosciuto, né io né mio marito, ma ce n’era un sesto». Questo è il gruppo che Rosaria Scarpulla indica e che ha riportato anche ai magistrati.
LA BURATTINAIA E I DISSOCIATI Un clan, quello dei Mancuso, vasto e ramificato, con complesse dinamiche interne. Nessuno si è manifestato in alcun modo dopo i clamori dell’attentato? «Alcuni membri di questa famiglia – dice Rosaria Scarpulla – si sono dissociati da quanto accaduto partecipando alla fiaccolata (avvenuta il 14 aprile per chiedere giustizia per Matteo Vinci, ndr). Però io so una cosa. Io non combatto contro un cognome, una cosa astratta, io combatto contro le persone che hanno fatto del male a mio figlio a mio marito e a me. E so chi sono perché di volta in volta io li ho visti. Sono persone indegne perché vengono senza fegato, fanno le cose dietro le spalle, non affrontano. Però io queste persone le ho viste fin dal primo agguato che abbiamo subìto (si riferisce al primo episodio del 2014 nel quale finirono in carcere sia i Mancuso che i Vinci, ndr) perché essendo due persone anziane non ci sognavano mai di affrontare sei persone, quattro baldanzosi, altri due come noi. Se fossero venuti in due come noi, li avremmo affrontati, come ho sempre fatto. Ma non era in noi questo, vedendo sei persone. Il secondo episodio (l’aggressione del 30 ottobre, ndr), tentato omicidio dico io, per il quale mio marito ci stava rimettendo la vita… mio marito li ha visti e mi ha detto i nomi prima di stare molto male e venire ricoverato in rianimazione. Ho preteso i nomi, c’erano due del primo agguato e un nuovo “battezzato”, dico io. Perché questo signore qui non è di Limbadi, non si chiama Mancuso, si chiama Barbàra. Noi siamo stati combattuti da altre persone oltre alla Mancuso. Purtroppo per i Mancuso ci sono due Mancuso nei nostri agguati: uno Mancuso Salvatore detto “Lo zoppo” e una Mancuso Rosaria. Come la posso definire? Burattinaia?».
«NECESSARIA LA SCORTA» «Abbiamo elementi oggettivi e soggettivi per predisporre una scorta pesante per la signora – dice l’avvocato De Pace – .Una donna capace di portare il suo indice per indicare i soggetti autori delle sue disavventure. Aspettiamo che questo indice vada sottoterra?». L’avvocato elenca i precedenti che hanno visto i Vinci vessati dai Mancuso. Nel 2014 c’è la «spedizione punitiva per pestare a sangue la signora Rosaria e il marito. C’è stato l’incendio di un capannone». E poi il 30 ottobre 2017 il signor Francesco Vinci è stato «vittima di un’aggressione di puro stampo mafioso (ne abbiamo parlato qui) che ha avuto conseguenze gravi come la frattura di una mandibola e la perdita di tutti i denti. Un’aggressione compiuta con l’uso di un revolver e di bastoni». Un’aggressione per la quale all’epoca venne chiesta l’aggravante mafiosa, mai concessa.
«In via informale io ho incontrato un magistrato di Vibo il quale mi ha detto che stanno valutando l’ipotesi di applicare l’aggravante del metodo mafioso all’aggressione del 30 ottobre 2017», rivela oggi l’avvocato De Pace. «Bisogna che il ministro dell’Interno prenda coscienza, in questa Calabria dominata dall’omertà, che c’è una madre coraggiosa che lotta per i suoi diritti e che dovrebbe essere protetta come un gioiello». «Non ci meravigliamo – aggiunge De Pace – del lassismo dello Stato e della latitanza dei partiti. Nessuno è venuto dopo l’attentato».
UNA STORIA PIÙ GRANDE DI ME Si sente catapultata in una storia più grande di lei Rosaria Scarpulla. «Anche se le forze dell’ordine vengono, è sempre una cosa marginale. Io devo andare in campagna. È necessario per la continuità di ciò che ha lasciato Matteo. Non vi nego che sono andata anche da sola un paio di volte. E se è vero com’è vero quello che dice l’avvocato io ho bisogno di qualcuno che venga con me almeno. Non so se chiedo troppo. Anche quando esce mio marito ne avrò bisogno. È necessario anche se mi duole mettere a repentaglio la vita altrui».
GRATTERI PUNTO DI ARRIVO «Abbiamo fiducia nell’attitudine pugnace di Nicola Gratteri (procuratore capo di Catanzaro, ndr)», afferma l’avvocato De Pace. «Voglio vedere solo una cosa come punto d’arrivo: questo caso è in mano al procuratore Gratteri. Questo è un punto di arrivo – ribadisce Rosaria Scarpulla –. Se nemmeno qui si riesce, l’Italia è morta, i giovani sono morti, non c’è speranza per nessuno».
La tutela diventa fondamentale? «Io sono una bracciante agricola, una casalinga. Non sono un avvocato o un magistrato. Non so quali sono i loro meccanismi e il loro lavoro e non voglio certo pormi al di sopra. Io so solo una cosa che so dire con precisione queste cose che io ho subito insieme alla mia famiglia. Lì ho la verità e voglio la giustizia presente. Lasciamo ai magistrati fare i magistrati». Quello che Rosaria Scarpulla sa è che la sua famiglia ha una casa in quelle campagne confinanti con i Mancuso, luoghi dove nessun altro, eccetto loro, voleva avvicinarsi. Nemmeno i parenti per fare una scampagnata.
IL SILENZIO Il silenzio nei confronti dell’attentato che il 9 aprile è costato la vita a Matteo Vinci non proviene solo dal mondo politico e istituzionale. Grave è, dice Giuseppe Antonio De Pace, il silenzio degli intellettuali calabresi. Assenti anche le organizzazioni sindacali indifferenti davanti alla morte di un giovane biologo che non trovava lavoro e cercava occupazioni anche umili pur di portare i soldi a casa. «Ma questo caso fa scuola – aggiunge De Pace – dimostra che le organizzazioni sindacali sono la propaggine delle organizzazioni politiche».
L’APPELLO L’appello va alle associazioni antimafia: bisogna dare una scorta alla signora Scarpulla, assicurarle protezione e conforto in questi momenti difficili. E rinnovato è anche l’auspicio di dare a Matteo Vinci i funerali di Stato. «Non è una velleità – afferma De Pace –, Matteo era un giusto. Si è schierato contro uno dei clan più potenti».
LA PREFETTURA: «DISPOSTA TUTELA CONGRUA» E non si è fatta attendere la risposta dell’Ufficio territoriale del governo: «La Prefettura di Vibo Valentia, in relazione alle dichiarazioni odierne rilasciate dall’avvocato Giuseppe De Pace, difensore della signora Rosaria Scarpulla, conferma che sono state disposte, nell’immediatezza dell’evento, misure tutorie nei confronti della signora Scarpulla, ritenute congrue da parte del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Si precisa, inoltre, che la competenza in ordine alla disposizione di misure tutorie non è rimessa al Ministro dell’Interno, ma spetta al Prefetto e al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, del quale fanno parte i vertici degli organi di polizia, peraltro impegnati nelle indagini di polizia giudiziaria».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

https://www.youtube.com/watch?v=PvOu8RvDmCE&feature=youtu.be

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