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«Scioglimenti dei consigli comunali, the winner is…»

di Claudio Cavaliere*

Pubblicato il: 08/05/2018 – 21:29
«Scioglimenti dei consigli comunali, the winner is…»

Ci sono voluti ventotto lunghi anni per conquistare l’ennesimo primato. Ma anche questa volta ce l’abbiamo fatta!
Da ieri, al netto dei decreti annullati, siamo la regione italiana che ha collezionato più scioglimenti di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, staccando la Campania dopo un lungo inseguimento.
Dentro poi ci sono ulteriori primati: quello dei comuni sciolti più volte; della percentuale sul totale dei comuni; del più lungo periodo di commissariamento; della singola provincia con il più alto numero di comuni disciolti; del più piccolo e del più grande comune. E la consapevolezza che affrontare questo dramma con i numeri diventa quasi folklorico, perché come vuole il detto un caso è un dramma, cento casi diventano una statistica.
Lamezia, Melito, Nicotera, Roccaforte, S. Ferdinando, Taurianova, Gioia Tauro, Briatico, Platì, sciolti per ben tre volte e tutti gli altri che hanno collezionato il bis, dimostrano che la legge, che cerca di offrire una risposta attraverso la ripetizione delle elezioni come generatrice di una dinamica di responsabilizzazione, non funziona, così come nel caso dei numerosi sindaci o consiglieri rieletti che in tal modo acquisiscono una nuova e rinnovata patina di legittimità.
Come un fastidioso moscone che sbatte contro i vetri della finestra senza trovare la via d’uscita, i reiterati scioglimenti confermano che lo stato insoddisfacente delle istituzioni non dipende dalle norme ma dal sistema politico in cui hanno un peso rilevante la mancanza di partecipazione partitica, specie nei piccoli comuni, l’irrisolto problema del procedimento di scelta e quello di selezione dei candidati, in una parola la cultura politica locale, ossia il sistema di relazioni del contesto storicamente e territorialmente definito su cui non c’è ormai più alcun intervento della politica.
Abbiamo poi casi di comuni che sperimentano elezioni in cui partecipa una sola lista o liste civette affatto antagoniste che narrano di una democrazia finta, simulata, in cui l’assenza di selezione della classe politica locale da parte dei partiti e la contestuale debolezza della “società civile” realizza una variante possibile del sistema democratico, quella della ”democrazia formale”. In questi casi è utile domandarsi se il sistema offre reali garanzie di democraticità, se è veramente libero, se una partecipazione priva di alternative ed in prospettiva priva di opposizione, serve a preservare l’onestà dei governanti.
C’è poi il tema della risposta dello Stato che non sempre è all’altezza.
Con il commissariamento lo Stato certifica l’incapacità di autogovernarci e si attribuisce il diritto di guidare il cambiamento, di riportare le cose sulla retta via impegnandosi a dare una risposta positiva e anche celere mettendo in campo la propria autorevolezza e i propri mezzi.
In ventotto anni nessuno ha pensato di creare un ruolo ad hoc per funzionari e prefetti chiamati a guidare i comuni disciolti, cadendo nell’equivoco che venire da una prefettura significa “comprendere” di comuni, di amministrazione locale. L’esperienza ci insegna che non è così, e che non si possono dare funzioni sovraordinati a figure che non hanno mai avuto a che fare con i municipi, con i loro problemi, con le loro norme.
Si sa che c’è un manierismo antimafioso che si è impadronito di molte cose, un potere dei luoghi comuni che ha provocato danni, indignazione senza talento, parole senza conseguenze, scelte senza responsabilità, ciarlatani assurti a riferimento.
Sull’argomento una cosa non possiamo permetterci: quello di creare tifosi, partigianeria, impossibilità di discussione, impedendo che le questioni spinose siano discusse apertamente e senza vincoli o autocensure.
Sul tema ci sono già stati interventi autorevoli. Si assuma l’Anci Calabria il compito di guidare il dibattito sviscerando i temi, bandendo il virtuosismo retorico del complotto, non chiamandosi fuori dal disincanto democratico che questo fenomeno comunque produce.
Una comunità che sceglie di nascondere, di dimenticare, non è vittima di niente, è ininterrottamente responsabile di ciò che sta scegliendo.
Trovare il giusto bilanciamento tra una serie di valori costituzionalmente rilevanti, quali la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa, la libera e trasparente determinazione degli organi elettivi, il voto libero e non condizionato con altri ugualmente tutelati, primo fra tutti quello della rappresentatività democratica locale, non è semplice ma bisogna provarci.

*sociologo

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