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«Salvini a cena con il pentito pluriomicida»

A rivelarlo è il libro del giornalista di Repubblica Berizzi, dedicato alle forze che si richiamano al fascismo. Nel 2015 il leader della Lega avrebbe partecipato a un incontro a cui era presente a…

Pubblicato il: 13/05/2018 – 13:28
«Salvini a cena con il pentito pluriomicida»

Nel 2015 il leader della Lega, Matteo Salvini, oggi plausibile ministro di un futuro governo giallo-verde, ha diviso cena e flash con il pentito Salvatore Annacondia. A svelarlo è il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi nella sua ultima fatica “NazItalia. Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista”, che dedica più di un capitolo alle simpatie nere del Carroccio e alle frequentazioni del suo capo politico. Nel 2015, Salvini è ancora impegnato nella battaglia con Roberto Maroni per la leadership interna, per questo gira l’Italia, incontra persone, fa comizi un po’ ovunque. Durante una delle tappe di questo lungo periplo finisce nella città dove oggi vive e lavora sotto falso nome Salvatore Annacondia, detto Manomozza, killer spietato, autore reo confesso di 72 omicidi, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta al servizio del “Consorzio” delle mafie a Milano e uomo di fiducia dei boss Papalia.
L’INCONTRO Un passato di cui Annacondia non fa mistero – spiega Berizzi – nel luogo in cui si è rifatto una vita. «Conosciuto e apprezzato per la sua attività, che lo porta a contatto con la gente, da sempre rispettato nella regione in cui ha deciso di vivere lontano dalla sua Puglia, l’ex boss mafioso non fa mistero del suo passato ingombrante». Eppure – emerge dalle pagine del libro – Annacondia viene invitato alla cena organizzata per Salvini. E i due si fanno fotografare insieme, sorridenti, uno accanto all’altro. «Salvini ha una polo nera e la solita barba lunga, Annacondia una camicia azzurra. Alle loro spalle c’è un giardino ben curato – si legge in NazItalia – è probabile, oltre che auspicabile, che il capitano della Lega non conoscesse la vera identità di Manomozza».
INTRECCI PERICOLOSI Magari quello sarà stato uno dei tanti incontri di campagna elettorale, magari chi ha introdotto Annacondia ha dimenticato di avvertire Salvini del suo passato ingombrante. Ma rimane un dato preoccupante, soprattutto alla luce di punti di contatto e intrecci – recenti e datati – fra ‘ndrangheta e Lega, il cui ex tesoriere Francesco Belsito non ha esitato a utilizzare i canali di riciclaggio del clan De Stefano per nascondere i fondi neri del Carroccio. Certo, Salvini, oggi senatore di Reggio Calabria, ha sempre affermato convinto che «La ‘ndrangheta mi fa schifo». Tuttavia non può che preoccupare che un soggetto come Annacondia, sebbene oggi viva una nuova vita, frequenti meeting leghisti e le cene per pochi intimi che generalmente li seguono. Manomozza infatti non è mai stato un soggetto di seconda linea nelle organizzazioni che ha frequentato.
L’UOMO DEL CONSORZIO Killer spietato ed efficiente, Annacondia negli anni Ottanta faceva parte del “Consorzio”, «una entità – lo definisce – che ha ramificazioni in tutta Italia ed anche all’estero che, almeno fino al 1990, aveva il suo vertice nella famiglia De Stefano/Tegano il cui vertice, a sua volta, era rappresentato da Mimmo Tegano, buonanima». Ai magistrati l’ex killer oggi collaboratore ha spiegato che «il consorzio era la mamma di tutti i gruppi. Era una realtà che andava oltre la ‘ndrangheta e ricomprendeva ‘ndrangheta, pugliesi, siciliani, campani. Milano e la Lombardia erano la terra di elezione di questo Consorzio, erano i territori dove andavamo tutti, dove convergevamo tutti. La Lombardia era la succursale della Calabria».
«UNA ‘NDRANGHETA ALLARGATA» E l’organismo aveva compiti e baricentro precisi. «Per fare capire cosa significa Consorzio le dico che, ad esempio, per decidere dell’omicidio delicato quello di …omissis…, ci riunimmo a Reggio Calabria a casa dell’avvocato Giorgio De Stefano (di recente condannato a 20 anni di carcere come capo della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina), non presente alla riunione. Eravamo io, Domenico Tegano, Franco Coco Trovato e Jimmi Miano catanese. …omissis…. Insomma quando parliamo del Consorzio, parliamo di una specie di ‘ndrangheta allargata a pugliesi, siciliani (non tutti, ovviamente) e campani (non tutti, ovviamente). Dico questo perché il ruolo preponderante lo aveva la ‘ndrangheta che era l’organizzazione più potente ed aveva i personaggi più di peso».
L’OMICIDIO SCOPELLITI Dell’organismo, Annacondia era soggetto di peso. Era stato preso sotto la propria ala dai fratelli Papalia, che dei massimi vertici della ‘ndrangheta tutta erano il principale riferimento in Lombardia. Per questo, l’ex killer è stato messo a conoscenza anche di importanti segreti ed accordi, come quelli che potrebbero aver fatto da sfondo all’ancora insoluto omicidio del giudice Scopelliti. «Se vi fu un accordo con forze esterne alla ‘ndrangheta (mi riferisco in particolare alla mafia siciliana) – mette a verbale il collaboratore – io non ne sono a conoscenza in termini di dettaglio, pur essendo perfettamente a conoscenza del fatto che la mafia siciliana intervenne per cercare di pacificare la guerra di mafia in Calabria». L’omicidio Scopelliti – spiega Annacondia – va inquadrato nell’ambito delle trattative di pace a Reggio. E non a caso «ribadisco che la circostanza che alle ultime riunioni Pasquale Condello non abbia portato con se né i Saraceno né Giovanni Fontana, né lo stesso Antonino Imerti, depone comunque per l’ipotizzabilità di decisioni gravi, che potevano anche riguardare l’eliminazione del giudice Scopelliti da assumere proprio in quelle riunioni e da portare a conoscenza del minor numero di persone possibili: nei patti di pacificazione era compreso qualche accordo particolarissimo che soli pochissimi avrebbero dovuto conoscere».
INFORMAZIONI AI “GROSSI” Rapporti e patti segreti, come quelli che hanno portato agli “attentati continentali” del 1993. Una delle fasi – ha di recente svelato il processo “’Ndrangheta stragista” di una più articolata strategia con cui mafie, settori piduisti della massoneria, servizi e galassia nera ordinovista miravano a imporre un governo amico, in grado di sostituire una vecchia classe politica mostratasi inaffidabile. Per il ruolo che all’interno dell’organizzazione aveva, Annacondia – secondo quanto riferito ai magistrati- è stato informato ancor prima che venissero realizzati. «Nella sezione napoletana del carcere dell’Asinara, dove erano stati messi anche dei siciliani, era stato deciso che bisognava mandare un messaggio all’Italia, ai grossi, uno dei quali ero io, venne detto di fare terrore, attaccare musei chiese ed opere d’arte» si legge nei verbali del collaboratore.
MESSAGGI Era fine settembre 1992, racconta, insieme ad altri detenuti era in trasferimento dal carcere sardo dell’Asinara. Sul traghetto, dice «eravamo liberi nel reparto dove erano tenuti i detenuti» e lì gli sarebbe stato spiegato che c’era in programma di mettere bombe anche “in continente” per dire «anche ai grossi esponenti della magistratura che la mafia era forte e poteva incutere timore ovunque e quindi che dovevano scendere a patti per abolire il 41 bis». Informazioni – ha spiegato Annacondia – che non venivano fornite a tutti, ma solo agli esponenti di rango delle organizzazioni criminali. Certo, lui adesso ha cambiato vita, quella precedente l’ha raccontata per filo e per segno ai magistrati e continua a ripeterla nei processi. Ma rimane preoccupante che un soggetto con tale passato abbia i contatti necessari per sedersi gomito a gomito con Salvini, forse futuro ministro dell’Interno, da cui troppi reparti investigativi e molto del sistema carcerario dipendono.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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