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«Le fusioni che inguaiano i Comuni»

di E. Caterini ed E. Jorio*

Pubblicato il: 14/05/2018 – 11:29
«Le fusioni che inguaiano i Comuni»

La Calabria delle fusioni rappresenta l’esempio da non imitare. Questo non vuol dire dichiararsi contrario alle aggregazione degli enti locali. Tutt’altro. La fusione, quella dei piccoli Comuni, è uno strumento cui dovere progressivamente ricorrere, tanto da incentivarlo come si deve. Ciò al fine di superare le attuali diseconomie e disorganizzazioni che ricadono negativamente sul “prodotto” istituzionale da assicurare alle collettività. Allo stesso modo sono da condividere le fusioni strumentali a generare grandi Città, del tipo quella di Cosenza-Rende e hinterland, sempreché lo consentano le leggi afferenti alla disciplina del pre-dissesto, allo stato interdittive.
Le cautele legislative occorrenti
Di certo, il percorso istitutivo del nuovo ente locale dovrà essere diversamente disciplinato e comunque preceduto dalla legge di riordino del sistema autonomistico regionale, sulla quale la Regione sta perdendo tempo prezioso per la rinascita della Calabria. Non solo. Il tema dovrà essere diversamente trattato, in termini di adempimenti ispiratori e genericamente preparatori, da come è stato fatto nel determinare la piccola capitale della presila adiacente a Cosenza, denominata Casali dei Manco, e la Capitale del’Alto Jonio cosentino, distinta con una denominazione non propriamente frutto della migliore fantasia e/o rappresentatività.
Le cautele amministrative ineludibili
Fusione vuol dire mettere insieme per generare una cosa sola, più esattamente una realtà istituzionale sostitutiva del pregresso pronta a migliorare performance e livelli essenziali delle prestazioni, a limare tutti i difetti che hanno caratterizzato l’esistenza dei Comuni estinti. Quei deficit che hanno ricercato nella fusione le soluzioni alle loro incapacità di esercitare, al meglio, le funzioni fondamentali perché privi della burocrazia necessaria e con bilanci non propriamente sostenibili, di frequente afflitti da una economia rovinosa.
Come spesso avviene, però, allo strumento giuridico ideale non corrispondono le necessarie analisi di fattibilità, tali da pondetare la congruità e la utilità della iniziativa, l’esistenza delle precondizioni, economiche e organizzative, dalle quali dipende il conseguimento del migliore risultato di ordine sociale e giuridico a seguito dell’attivazione delle procedure preparatorie. Un handicap frequente ma che in Calabria ha contraddistinto tutte le fusioni intraprese e portate a termine con tanta improvvisazione.
Le inattualità da correggere
A tutto questo aggiungansi una disciplina legislativa inadeguata e un altrettanto inadeguato affiancamento, affidato a Commissari prefettizi, prevalentemente da tempo in trattamento pensionistico, non affatto esperti in amministrazione attiva e in procedimenti di fusione in senso stretto dalle naturali consistenti ricadute civilistiche e fiscali, tanto da richiedere stuoli di sub-commissari cui destinare compiti professionali specifici. Una prassi che non trova eguali in Europa e che risulterebbe inconcepibile nell’esercizio delle fusioni di società – disciplinate dagli artt. 2501 e seguenti del C.C. – applicabili anche ai comuni quantomeno nel progetto e nella formazione del bilancio consolidato – attività che richiedono l’impegno di professionalità specifiche.
Da qui, il rischio che le soluzioni inadeguate non assolvono gli scopi prefissi, lasciando – così come sta avvenendo – le popolazioni interessate, nel periodo commissariale, in preda all’estemporaneità amministrativa e ad un improvvisato governo delle politiche sociali nonché vittime di una programmazione che non c’è, neppure nella concretizzazione delle precondizioni necessarie agli amministratori che verranno per svolgere bene il ruolo istituzionale di avviare nuove città.
A tutto questo va ad aggiungersi – così come avviene per le commissioni prefettizie nominate a seguito di scioglimento dei Comuni per mafia per l’organo straordinario di liquidazione conseguente alle dichiarazioni di dissesto – l’onere economico delle gestioni commissariali a carico degli enti locali interessati. Un costo che raggiunge valori consistenti tanto da rappresentare un peso eccessivo per le casse degli enti, spesso già precarie e una retribuzione eccessiva se misurata sulle reali prestazioni rese.
Le riforme necessarie
A ben vedere, quello delle fusioni (ma non solo, dal momento che gli stessi limiti e le stesse valutazioni critiche possono essere evidenziate negli altri interventi sostitutivi evidenziati) costituisce un problema serio che richiederebbe un legislatore nazionale e regionale illuminati e quindi un cambio delle procedure funzionali ad individuare amministratori straordinari più professionali di quanto lo siano, di sovente, gli attuali soliti commissari, magari prevedendo l’istituzione di un apposito albo cui dovere accedere per le nomine.

* docenti Unical

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