VIBO VALENTIA Una vendetta sanguinaria covata per anni e pianificata con freddezza. Francesco Olivieri (foto), il 31enne che venerdì pomeriggio ha seminato terrore e morte tra Limbadi e Nicotera, ha confessato tutto raccontando «lucidamente e dettagliatamente» al pm Concettina Iannazzo ogni particolare del suo piano omicida. Lunedì a tarda sera si è presentato da solo al carcere di Vibo dopo una fuga durata tre giorni; martedì nei suoi confronti è stato emesso un fermo per gli omicidi del 67enne Michele Valerioti e dell’80enne Giuseppina Mollese e per il tentato omicidio di Vincenzo Timpano; mercoledì il gip Gabriella Lupoli ha convalidato il fermo disponendo nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere perché, tra le altre cose, il 31enne è «accecato da un’inarrestabile vendicatività» e, tra l’altro, «evidentemente gode» di «agganci e appoggi» di complici che ne avrebbero favorito la fuga.
LA VENDETTA Tutto quello che ha fatto, in quell’ora di ordinaria follia, Olivieri lo riconduce alla vendetta. Vendetta per la morte del fratello Mario, ucciso nel 1997, per il quale riteneva responsabili (rispettivamente in qualità di partecipe e mandante) Valerioti e la Mollese, che a sua volta avrebbe addebitato a suo fratello – sempre stando al suo racconto – l’omicidio di suo figlio Ignazio Gaglianò, avvenuto nel 1995. Quest’ultimo, a detta di Olivieri – la cui famiglia avrebbe dei legami di parentela con un boss dei Mancuso – sarebbe stato «importatore di droga dalla Colombia», mentre l’assassinio di Francesco Timpano (fratello di Vincenzo) «doveva servire ad impedirgli a parlare di cose illecite con soggetti esponenti di altri ambienti criminali (tutti particolari non meglio specificati)».
«È UNA VITA CHE LI CONTROLLO» «È una vita che li controllo, li seguo, vedo dove abitano…», dice il killer nell’interrogatorio, aggiungendo di «aver lasciato in vita solo il marito della Mollese poiché unico a poter confermare la sua versione circa la trama ordita ai danni del fratello Mario».
I suoi obiettivi, stando al racconto che lui stesso fornisce agli inquirenti, non erano solo le tre persone contro cui ha sparato venerdì. Quel giorno si muoveva armato di un fucile doppietta e di 30 cartucce «che via via caricava nell’arma». A bordo di una Fiat Panda presa a noleggio – che sarebbe stata ritrovata bruciata poche ore prima della fine della sua fuga – cercava innanzitutto Francesco Timpano ma, non trovandolo, «si recava nell’autolavaggio dove si trovava l’auto del figlio» con l’intenzione di danneggiarla a fucilate «per dispetto». Il titolare dell’autolavaggio lo ha però convinto a lasciar perdere, così è andato a casa di Francesco Timpano sparando sia contro l’abitazione che contro la sua auto. Il killer poi ammette di non aver freddato Pantaleone Timpano, nascosto nel bar in cui ha aperto il fuoco a Limbadi, perché non era sicuro che appartenesse alla famiglia che aveva preso di mira. Quindi è andato a casa di Valerioti – nella quale è entrato con un pretesto comunicato alla moglie della vittima – e ha sparato i primi due colpi contro il 68enne, che è stato poi “finito” con altre due fucilate sul balcone. Un’esecuzione che avrebbe dato al killer «massima soddisfazione». Nel giro di pochi minuti era già a casa della Mollese, uccisa con altri due colpi di fucile.
LA SCIA DI TERRORE In questa scia di sangue Olivieri avrebbe anche sparato contro una pizzeria di un nipote della donna uccisa poco prima. Ma anche contro un negozio di abbigliamento il cui proprietario era «antipatico», contro l’auto di un’altra persona che teneva «in disordine» lo spiazzo davanti alla sua abitazione e parcheggiava «in malo modo» l’auto. E ancora, nei suoi piani, Olivieri avrebbe voluto uccidere un medico «“reo” di non aver curato bene il fratello Alessandro» ma avrebbe desistito perché «ormai c’era troppo movimento in giro». A suo dire doveva morire anche un altro uomo che riteneva avesse partecipato all’imboscata in cui è stato ucciso il fratello Mario, e un’altra persona «di spessore» di cui non ha rivelato il nome ma che sapeva «con soddisfazione» essere già gravemente malata. Infine un’altra persona ancora, di altrettanto “spessore”, che a suo dire in passato lo aveva accusato ingiustamente di un furto rompendogli anche un dito.
Se solo avesse avuto più soldi per comprare un’arma automatica e pianificare meglio la sua vendetta – afferma Olivieri nell’interrogatorio – «li avrebbe uccisi tutti».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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