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«Sapevamo di Forza Italia ancora prima della "discesa in campo"»

La testimonianza del pentito Tullio Cannella, uomo di fiducia di Leoluca Bagarella, nel processo ’Ndrangheta stragista. Il racconto del summit a Lamezia: «Si fece lì perché la Calabria è il fulcro …

Pubblicato il: 18/05/2018 – 14:54
«Sapevamo di Forza Italia ancora prima della "discesa in campo"»

REGGIO CALABRIA «Ad un certo punto, prima delle elezioni Bagarella mi disse che stava nascendo questo partito in cui loro credevano molto. Lo chiamò Forza Italia ancor prima che il nome fosse pubblico». Un tempo semplice costruttore, poi diventato uomo politico di fiducia di Leoluca Bagarella, il pentito Tullio Cannella parla da testimone al processo ‘Ndrangheta stragista in corso a Reggio. «Non sono mai stato un uomo d’onore» ci tiene a precisare. Dalla metà degli anni Ottanta però la sua vita è stata all’ombra del potentissimo boss Bagarella, che a Canella – un insospettabile, all’epoca – ha affidato anche la propria latitanza. E non solo.
L’UOMO DELLE LEGHE A quell’imprenditore agganciato tramite i fratelli Graviano, Bagarella ha affidato anche la costruzione della sezione palermitana di quel progetto politico separatista su cui le mafie tutte – è già emerso in diverse inchieste – puntavano per dare ai clan una nazione. «Ho intrapreso l’attività in “Sicilia libera” su richiesta di Bagarella, che si lamentava della disattenzione dei politici nei suoi confronti e nei confronti di Cosa Nostra», dice Cannella. Per questo, spiega il pentito, «si era deciso di candidare persone di nostra conoscenza e gradimento, dunque anche di gradimento di Bagarella. Era un partito gestito direttamente da noi, a differenza del passato quando avevamo i nostri referenti all’interno di altri partiti». E noi, ovviamente, sta a significare la mafia. Anzi, tutte le mafie.
PROGETTO NAZIONALE Le leghe regionali infatti non sono state un fenomeno solo siciliano. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta sono nate in tutto il Meridione. «Quando abbiamo fondato “Sicilia Libera” Bagarella mi disse che sarebbe andato a parlare con Provenzano che al riguardo –-ricorda Canella – sarebbe andato a parlare con gli amici calabresi». Nel frattempo, anche al Nord la Lega, oggi guidata da Matteo Salvini, muoveva i suoi primi passi. E gravitava nell’orbita del separatismo meridionale. «In quegli anni mi è capitato di incontrare esponenti della Lega Nord» dice Canella. È successo una, anzi – si corregge – due volte.
CONTATTI CON LA LEGA NORD La prima a Palermo, quando su interesse del principe Orsini – nobile ben conosciuto in ambienti piduisti – «ho incontrato una donna, all’epoca parlamentare europea» proprio per discutere di un’eventuale candidatura del rampollo. «Però devo dire che quando feci capire ad Orsini che si trattava di rappresentare certi interessi, che avrebbe dovuto fare certe cortesie si tirò indietro». La seconda volta invece – spiega Canella – è successo a Lamezia Terme, nel corso della riunione «avvenuta fra il dicembre ’93 e il gennaio ‘94» di tutti i rappresentanti delle leghe. «Patania, il responsabile di “Catania Libera”, mi ha detto che era importante farla lì perché è lì che c’erano legami solidi con la massoneria e alcuni apparati statali che avrebbero dato copertura al movimento».
L’INCONTRO CON CIANCIMINO Un dato che anche Vito Ciancimino, solo qualche anno dopo, in carcere, avrebbe confermato al pentito. I due erano entrambi detenuti a Rebibbia, Canella aveva iniziato a fare le prime dichiarazioni per questo era stato trasferito nel bracco che ospitava dichiaranti e collaboratori. «Erano celle singole – ricorda – e il mio dirimpettaio era Ciancimino». Come mai il sindaco scelto dai clan per governare Palermo, che mai si è pentito dei propri rapporti, fosse lì, «io non lo so» dice Canella. Che tuttavia non ha dimenticato le sue parole.
LAMEZIA FULCRO DI POTERI DEVIATI «Mi disse “So che sei stato a Lamezia”. E chi glielo avesse detto non lo so. Mi spiegò – racconta il collaboratore – che Lamezia è importantissima perché la Calabria è un fulcro per il mondo massonico e con apparati di varia natura. Mi disse che c’erano la massoneria ed altri apparati dello Stato che erano in rapporti con la ‘ndrangheta, che era forte proprio per questo motivo». Ciancimino – spiega Canella – era molto informato anche sul progetto separatista delle mafie. Per conto di Bernardo Provenzano, ricorda, anche prima che “Sicilia Libera” e altre leghe sorgessero ne aveva portato avanti uno del tutto similare, chiamato “Lega meridionale”.
TUTTI CON FORZA ITALIA  Ma dopo qualche tempo la strategia delle mafie cambia, il progetto separatista subisce uno stop. E progressivamente uomini e risorse vengono travasate in un nuovo contenitore. «Nel dicembre ’93, Bagarella mi ha detto che loro credevamo molto in questo nuovo partito, Forza Italia. Un progetto, mi spiegava, suo e di tutti i suoi amici, quindi di tutta Cosa nostra». Al riguardo, sottolinea Cannella, «Bagarella mi ha detto che c’erano candidati loro. Gli ho chiesto di farmi inserire qualcuno dei soggetti coinvolti in Sicilia Libera e lui mi ha promesso di farmi avere un appuntamento con una persona per risolvere la questione. Dopo, Vittorio Calvaruso mi ha detto che questa persona era Vittorio Mangano, ma l’incontro non c’è mai stato».
LE ANTICIPAZIONI DI GRAVIANO Un cambio di rotta che – qualche tempo prima – era stato in un certo senso anticipato a Canella da Filippo Graviano. «Mi consigliò di non perdere tempo con queste cose e di lasciare la politica a chi aveva i contatti giusti e si sapeva muovere. Mi disse “io ce li ho” e parlò della possibilità di cambiare la normativa sui pentiti. “Sicilia Libera” per lui era solo una perdita di tempo. Con il senno di poi – afferma – devo ammettere che aveva ragione». Del resto, quelli erano anni convulsi, durante i quali i clan – è emerso fino ad oggi dall’istruttoria dibattimentale, come in passato nel corso di diverse inchieste – giocavano più tavoli.
STRAGI E POLITICA, DUE TATTICHE PER UN’UNICA PARTITA La partita politica e la scelta della “squadra” (o meglio del partito) in cui giocare aveva un diretto corrispettivo nella strategia della tensione che le mafie (e probabilmente non solo) portavano avanti a suon di bombe. Un coté di cui Canella non ha mai saputo nulla in dettaglio, sebbene qualcosa l’abbia intuita. «Era il luglio del ’93, con Bagarella – ricorda il pentito – eravamo al villaggio Euromare. Alla reception c’era la tv accesa e stavano passando un servizio su un attentato. E lui ha detto che sicuramente erano stati quelli della Falange Armata». Peccato che fino ad allora quella sigla fosse pressoché sconosciuta. «Poi mi disse con tono compiaciuto “Vedrai come ora gli brucia il culo a questi politici”».
IL MIO AMICO BINNU Un’espressione che all’epoca ha lasciato perplesso Canella, tanto da spingerlo a chiedere spiegazioni. «Io – ricorda il collaboratore – gli ho chiesto se conoscesse questi terroristi e mi rispose “diciamo che abbiamo avuto qualche contatto”». Per la precisione, aggiunge poi il pentito «ricordo che Bagarella mi disse “il mio amico ha a che fare con questi terroristi e anche con i carabinieri”». E l’amico in questione era Bernardo Provenzano.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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