L’inchiesta di Report sulle potenzialità del porto di Gioia Tauro e della sua area industriale merita un dibattito serio, figlio di un approccio onesto e strappato da ogni analisi superficiale.
Leo Pangallo, tecnico che sa coltivare il dono del dubbio e politico capace di portare a sintesi anche i pareri più discordi, lo ha capito e offre il suo contributo (potete leggerlo qui). Un contributo solido che offre una base utilissima se si vuole affrontare la questione con la dovuta concretezza.
Nel farlo spezza più di una lancia in difesa del governatore Mario Oliverio, ricordando i suoi interventi in un convegno del Pd con Minniti (siamo nel 2014, in piena campagna elettorale) dentro il porto di Gioia Tauro, e quello successivo per la visita di Matteo Renzi alle Omeca di Reggio Calabria (siamo nel 2015). Da allora più nulla. Anzi, no. Il Governatore assunse un’altra iniziativa concreta sul porto di Gioia Tauro. Leo Pangallo non la ricorda. Noi sì. Mario Oliverio prese l’aereo e volò a Ginevra: quasi una missione segreta. Nessuna nota, nessun comunicato, nessun commento. Ricordo che noi del “Corriere”, unici a dare la notiza, ironizzammo sul fatto che oggetto della missione elvetica potesse essere la golosità di Oliverio, da qui il suo interesse per la patria dei cioccolatini. Invece a Ginevra andò, Oliverio, per incontrare il prestigioso, ma anche misterioso, armatore elvetico-partenopeo Gianluigi Aponte. La stessa cosa, prima di lui, aveva fatto il suo predecessore Peppe Scopelliti. Non ci si deve meravigliare, considerato che Aponte è il vero padrone del porto di Gioia Tauro, almeno quello che ne ha il monopolio gestionale, perché a leggere le indagini delle procure distrettuali di Catanzaro e Reggio Calabria si scopre che a comandare dentro, fuori e intorno al porto sono i Piromalli e il loro impero criminale.
Rimesse a posto le cose, però, torniamo al vero nodo posto dalla trasmissione che fu della Gabanelli. Gioia Tauro ha una tale potenzialità da capovolgere la clessidra dell’economia italiana. È chiaro che la sfida non può ricadere solo sulle spalle della Regione Calabria, avessimo pure il meglio della classe dirigente non basterebbe. Deve sentirsi coinvolto il sistema paese. Certo, c’è la Zes, ma rischia di essere l’ennesimo pennacchio: finanziamenti ne porta pochissimi, premio di fiscalità poco e stiracchiato; offre il vantaggio di un territorio a “burocrazia zero” ma è retto (ormai da quasi tre lustri) da un commissario straordinario. Quel che resta dell’attrattività della Zes, infine, rischia di essere vanificato da un’asticella posizionata molto in alto: si parla di investimenti con un importo minimo di 50 milioni di euro.
Allo stato solo la ‘ndrangheta ha risposto all’appello, ma non abbisogna di alcuna incentivazione… anzi.
direttore@corrierecal.it
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