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«Le grandi aziende vogliono venire a Gioia, ma lo Stato deve fare di più»

Intervista all’assessore Francesco Russo dopo la puntata di Report. «Con il rilancio del porto 10 miliardi di entrate all’anno, ma servono nuovi collegamenti ferroviari». La Zes? «I 200 milioni son…

Pubblicato il: 22/05/2018 – 19:21
«Le grandi aziende vogliono venire a Gioia, ma lo Stato deve fare di più»

CATANZARO No, la simulazione di Report non è solo un esperimento giornalistico. «Ci sono basi concrete, più che reali», dice l’assessore al Porto di Gioia Tauro e alle Attività produttive Francesco Russo. La trasmissione di Raitre, nella puntata di ieri, ha immaginato cosa potrebbero diventare la Calabria, il Sud e l’Italia intera se lo scalo della Piana diventasse il vero motore del sistema, come lo è Rotterdam per l’Olanda (qui il nostro resoconto dell’inchiesta).
Russo, succederà mai?
«Report ha detto che con meno di 100 miliardi si potrebbe far ripartire l’intero Mezzogiorno. Se Gioia diventa la porta d’ingresso di una parte delle merci destinate al Nord, con i 4 miliardi di introiti doganali in arrivo anche dai porti di Napoli e Bari, e gli altri miliardi di entrata dovuti alla lavorazione di un milione e mezzo di container, ogni anno ci sarebbe un introito di 10 miliardi. Significa che con un investimento di 100 miliardi, oltre all’innalzamento della qualità della vita per effetto di circa 15-20mila nuovi posti di lavoro, si creerebbe un reddito diretto ogni anno, un reddito certo. L’autostrada, l’A2 nel nostro caso, è un’infrastruttura che fa funzionare meglio il sistema, ma non produce reddito. Con il rilancio del porto le cose starebbero diversamente».
Ma quanto siamo lontani rispetto a questo obiettivo?
«Siamo vicini, le precondizioni ci sono tutte. Della trasmissione mi hanno colpito due cose, in particolar modo. La prima: il presidente dell’Autorità portuale di Genova ha detto che è anche loro interesse che Gioia Tauro si rilanci. Finora si era detto tutto il contrario. Io, invece, ho sempre sostenuto che Gioia è un bene non della Calabria, ma del Paese. Rotterdam non è un bene di una sola contea, ma di tutta l’Olanda. Questa precisazione dell’Autorità portuale di Genova dovrebbe fare riflettere la politica nazionale».
L’altra cosa che l’ha colpita?
«Le parole del coordinatore del porto di Rotterdam, che si augura che l’Italia diventi un polo logistico per costruire insieme un’Europa forte. Se a Genova e a Rotterdam dicono queste cose, significa che il progetto è credibile, che non ci sono trucchi. Ma per realizzarlo servono opere chiare».
Quali?
«La Calabria ha un forte problema di collegamento ferroviario col resto d’Europa. Oggi i treni che vengono a Gioia sono di 500 metri. Il costo dei convogli prescinde da quanto sono lunghi. Se portiamo i treni a una lunghezza di 750 metri, il prezzo totale si riduce del 30%; a 1.000, diventa la metà; a 1.500, un terzo. Ecco, questa è la scommessa».
Creare le condizioni per far viaggiare treni da 1.500 metri.
«Sì, se ci riuscissimo la Calabria potrebbe parlare a voce alta con chiunque».
E invece?
«Il punto è che quando a Maastricht, nel ’92, fecero gli accordi sulla rete europea, gli olandesi chiesero il finanziamento della linea ferroviaria Betuwe. L’Italia, dal canto suo, ottenne l’aeroporto di Malpensa, il cui unico risultato è stato il fallimento di Alitalia, che con tre aeroporti sulle spalle non poteva reggere. Gli olandesi, invece, con quella linea, hanno collegato Rotterdam con il cuore della rete ferroviaria tedesca. E oggi Rotterdam è il porto che alimenta quel locomotore impressionante che si chiama Germania. Con la Betuwe gli olandesi arrivano anche nel cuore della Pianura Padana, con il paradosso che oggi nel Nord Italia si arriva con più facilità da Rotterdam che non da Taranto, da Augusta o da qualunque altro porto del Sud. Tutto questo per dire che c’è bisogno di scelte precise e determinate, le condizioni per fare bene ci sono tutte».
Quali sono gli step per avere una rete ferroviaria all’altezza della situazione?
«Già dal prossimo inverno la Calabria potrebbe avere i treni da 750 metri. I tedeschi, però, stanno già lavorando a quelli da 1.500: è una partita al rilancio e quindi noi dovremmo già creare le condizioni per arrivare a quelli da 1.200».
Sì, ma come?
«Ovviamente potenziando la rete attuale».
Ed è una competenza statale. La Zes, invece, è un grande obiettivo raggiunto dalla Regione. Che ruolo può avere in tutto il sistema?
«La Zes si basa su due pilastri. Il primo è quello economico-finanziario, che oggi ha a disposizione i 200 milioni messi in campo per le grandi imprese, con contributi singoli fino a 50 milioni, da investire nel territorio. Il secondo è la semplificazione delle procedure. Il primo è già partito, grazie all’approvazione del nostro decreto. E, come riferisce oggi il Sole24ore, pare che Gentiloni sia pronto a firmare anche il decreto Semplificazione per tutte le Zes. Significa che non serviranno altri provvedimenti legislativi, li abbiamo tutti».
Va tutto bene, quindi.
«I 200 milioni non sono pochi, ma in questo momento, fortunatamente, stiamo ricevendo un pressing notevole…».
Da parte di chi?
«Delle grandi organizzazioni di Confindustria del Nord. Sono interessate e vogliono fare missioni in Calabria. Già dalla settimana prossima ho in programma incontri a Roma con alcune grandi imprese. Insomma, si è messo in moto un meccanismo e se son rose fioriranno. Io sono molto guardingo, ma non nascondo che stiamo ricevendo un’attenzione formidabile. Hitachi ci ha creduto prima di tutti, ha battuto gli altri sul tempo. Tra l’altro, già da giugno potremmo far partire nuovi contratti di ricerca con gli studenti…».
Cosa la preoccupa, allora?
«Mi preoccupa l’ipotesi che possano togliere quei 200 milioni o che finiscano dopo l’arrivo di quattro multinazionali. I soldi messi dal governo servono a fare partire il processo e sono importantissimi. Ma se un processo parte, poi non si deve fermare».
Sta dicendo che a Roma dovrebbero crederci di più?
«Certamente, perché qui stiamo parlando di imprese sane, di grandi aziende, mica di taroccatori o peracottari. La Regione da sola non può sostenere questo tipo sviluppo. Noi abbiamo fatto e stiamo facendo tutto quello che una Regione può fare. Adesso ci aspettiamo che lo Stato continui a fare la sua parte, completando tutto il sistema infrastrutturale di Gioia Tauro. La vera scommessa è questa».
Lei è ottimista?
«Certo».
Faccia una previsione: tra quanti anni si potranno vedere benefici a livello di crescita di Pil e dell’occupazione?
«Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo già avuto un incremento del 2% dell’occupazione e del 9% dell’export. Continuare così sarebbe straordinario, significherebbe cambiare il destino della Calabria».

Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it

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