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«In Calabria uso “prostituzionale” della sanità»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 24/05/2018 – 13:43
«In Calabria uso “prostituzionale” della sanità»

La sanità calabrese (mi sono stancato io di scriverlo e, certamente voi, di leggerlo!) registra il record assoluto dell’interesse della stampa, in senso ovviamente in negativo, sia di quella scritta che di quella televisiva. Se ne occupano, da tempo, anche gli enti di ricerca che studiano e presentano la Calabria come modello da quale prendere le distanze.
Rappresenta ciò che non si deve fare per rendere esigibili ai cittadini i diritti sociali. Le cifre negative del welfare in salsa calabrese si registrano nella contraddizione palese tra una sanità ai minimi termini e una assistenza sociale inesistente contrapposta ad un esagerato godimento della previdenza non contributiva. Quella che rappresenta da anni un viziato simil-reddito di cittadinanza, con le innumerevoli pensioni di invalidità e relativi assegni di accompagnamento che hanno fatto la ricchezza di tanti politici «specialisti» sulle procedure per gli ottenimenti.
MA CHE COLPA ABBIAMO NOI? Insomma, la nostra è la Regione protagonista della peggiore erogazione della salute, perché senza un progetto alternativo, con una amministrazione lasciata in mano agli incapaci e con un consiglio regionale che ha rinunciato ad imporre il proprio coraggioso esercizio legislativo. Un gap che ha finora impedito di lanciare il guanto della necessaria sfida ai Governi nazionali colpevoli di aver lasciato, arbitrariamente, la programmazione sanitaria in mano commissariale. Praticamente, alla mercé dei «ragionieri del dolore» che hanno migliorato i conti (soprattutto quelli della Lombardia che fa man bassa dei 320 milioni di euro di mobilità passiva che gravano annualmente sulla Calabria) e ridotto l’assistenza al di sotto dei minimi termini, con pronto soccorsi che scoppiano, tanto da essere divenuti per gli ammalati e per i loro cari luoghi di inenarrabile penitenza espiativa di colpe non proprie.
Quanto al diritto della salute, è da registrare quindi la sua totale assenza. Tra un commissariamento e un altro, complessivamente della durata superiore al settennio, una burocrazia non propriamente adeguata al suo compito e collaborazioni di esperti che tali non sono si è venuto a consolidare un autentico macello sociale. Un risultato del quale il recente servizio di «Piazzapulita» sul La7 sullo stato di salute della nostra assistenza ospedaliera ha fornito un triste esempio del quale vergognarsi.
Sono in molti ad essere indecisi nel circoscrivere i (brutti) sentimenti che provano. Alcuni passano dall’esigenza di chiedere scusa ai propri figli per l’organizzazione della salute che si trovano, ma è poco! Tutti sperano di ottenere illusoriamente il perdono. Altri, ma sono davvero pochi, avvertono il dovere di lottare per conquistare la dignità di esistere.
CIÒ CHE CONTA A fronte di ciò, esistono i responsabili di aver fatto diventare la Calabria la «regione dei sofferenti».
La distinzione tra colpevoli e innocenti sarebbe tuttavia difficile da farsi, dal momento che non vi è stato alcuno a condurre ovvero a rivendicare la battaglia giusta della sanità per tutti.
Di quella produttiva di:
– livelli essenziali concreti, da percepire quotidianamente e incondizionatamente dai cittadini e non già goduti perché si conosce il cugino del vicino di casa di un qualsiasi operatore sanitario ospedaliero;
– ospedali reali e non di quelli venduti su catalogo;
– quella assistenza territoriale con strutture intermedie della quale si parla solo in prossimità della nomina dei direttori di distretto.
Di quella capace di:
– esaltare quei professionisti-eroi che poco si «ricompensano» a fronte delle loro ore trascorse più negli ospedali che con i propri figli;
– erigere a regola generale quella meritocrazia che dovrebbe esserci e non c’è, che ha costretto tante eccellenze a scappare via ovvero a vivere sottomessi a professionisti meno capaci ma affollati di amici che contano;
– mettere quella sanità pubblica, infine, in condizioni di concorrere (e di vincere!) con quella privata che ha drenato per decenni risorse inimmaginabili, arrivando a percepire retribuzioni indebite (per esempio, per extrabudget) delle quali nessuno ha chiesto il conto, finanche la magistratura contabile.
L’INSIEME DEI COLPEVOLI La maggiore responsabilità di tutto questo risiede però nell’indissolubile binomio eletti ed elettori, della assurda complicità delle parti in gioco.
I primi (non tutti ovviamente) hanno fatto della percezione dei diritti il loro bottino di guerra. Abili nella gestione clientelare – da veri specialisti del caporalato – dell’avvio al lavoro e delle nomina dei direttori generali, asserviti acriticamente ai loro voleri a garanzia delle successive nomine di loro competenza, hanno conseguito le loro fortune politiche usando diffusamente anche le Tac, piuttosto che le risonanze, come esche da godere al di fuori delle liste di attesa. Un uso «prostituzionale» della sanità scaduto al livello di quei soldati Usa che utilizzavano durante l’occupazione le sigarette e le stecche di cioccolato per guadagnarsi «solidarietà» e compagnia.
Un gioco facile che trova il suo primato nel sud con punte di grande «successo» in Calabria.
Ciò si è realizzato grazie alla complicità, per l’appunto, degli elettori, sempre attratti dalle facilitazioni private rispetto alla civile esigibilità dei diritti, lasciati alla mercé dei mediatori ovvero della generosità degli operatori grazie ai quali residua in Calabria una assistenza appena percettibile.
QUALCHE PROPOSTA E UN MIRAGGIO Cosa fare, in questi due anni (e oltre) che separano l’attuale dalla successiva conduzione governativa regionale.
Occorre individuare il numero e le modalità delle mosse per dare scacco ad una sanità non affatto regina di efficienza.
Prima di tutto, necessita un’esasperata analisi del fabbisogno (mai rilevato in Calabria!) senza il quale la programmazione equivale a nulla.
Poi, nell’assoluta contemporaneità e immediatezza:
– imparare a parlare più di territorio e meno di ospedali, privilegiati solo perché simbolo di conquista visibile, che ha reso il comportamento schizofrenico di una sanità che dovrebbe privilegiare la prevenzione;
– depurare il management di tutti quelli che hanno accumulato debiti e non hanno prodotto assistenza, con buona pace delle responsabilità erariali loro addebitabili delle quali però nessuno ha chiesto il conto. Il tutto nel rispetto della legge che impone, senza quegli sconti possibili solo in Calabria, la revoca di quei manager incapaci di gestire e di assicurare il pareggio di bilancio;
– riformare il sistema sviluppando la migliore ipotesi di azienda unica ospedaliera, comprensiva di tutta la filiera che darebbe ragione ad un governo ottimale di erogazione del livello essenziale di ricovero e cura spedalizzata tra Hub e Spoke, altrimenti privo di quel coordinamento garante dell’efficienza reale, dell’efficacia tangibile e dell’economia dimostrata;
– lottare per una perequazione infrastrutturale, che assicuri risorse da investire secondo progetto.
Su tutto occorrerà meritare l’uscita dal Commissariamento, che è la conseguenza e non già la soluzione.
Il tutto perché i calabresi possano ritenersi più uguali agli altri e scegliere convinti e consapevoli di curarsi qui piuttosto che altrove.

*docente Unical

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