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Colpo al clan dei bracconieri, le loro prede cucinate nei ristoranti del Nord – VIDEO

Otto persone arrestate nel Reggino. Riuscivano a catturare fino a 300 volatili al giorno. Sono accusati anche di aver ucciso gli animali con crudeltà. Bombardieri: «Danni rilevanti all’ecosistema» …

Pubblicato il: 25/05/2018 – 14:30
Colpo al clan dei bracconieri, le loro prede cucinate nei ristoranti del Nord – VIDEO

https://www.youtube.com/watch?v=zd51NtXNjSc
REGGIO CALABRIA Centinaia di migliaia di esemplari di specie protette catturati e venduti in Italia e all’estero. Un giro d’affari in grado di far girare quasi un milione di euro, ramificato fra la Calabria, Malta e il Nord Italia. Sono questi i numeri «approssimati per difetto» dell’inchiesta Wildlife, la prima in Italia che abbia inchiodato un gruppo di bracconieri come associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione e al maltrattamento di animali.
GLI ARRESTATI Per questo motivo, su richiesta del pm Roberto Di Palma che ha diretto le indagini e del procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni che l’ha coordinata, il giudice ha disposto i domiciliari per Francesco Repaci, classe ’48, Pasquale Repaci (’77), Giuseppe Gagliostro (’63), Angelo Barillà (’72), Rocco Costantino (’58), Giovanni Porpiglia (’91), Demetrio Labate (’57), mentre per Domenica Siclari (’59) è stato disposto l’obbligo di dimora. L’ordinanza è stata eseguita questa mattina all’alba dai Carabinieri Forestali del raggruppamento Cites, la sezione antibracconaggio, supportati in fase investigativa dal Nipaaf di Reggio Calabria e coadiuvati in fase esecutiva dai militari del Comando provinciale carabinieri reggino, del Reparto Parco nazionale “Aspromonte” e del gruppo forestali.

La conferenza stampa di Bombardieri

DANNO PER TUTTI «Si tratta di un’operazione importante – dice il procuratore capo Giovanni Bombardieri – perché per la prima volta si è riusciti a ricostruire un sistema di accaparramento di animali e ad individuare l’organizzazione che lo gestiva. È un’attività che porta danni rilevantissimi all’ecosistema, dunque all’intera collettività». Fedele a quanto detto durante il suo discorso di insediamento, quando ha promesso che la sua procura avrebbe perseguito con uguale impegno ogni genere di violazione dei diritti dei cittadini, Bombardieri ha voluto esserci alla presentazione dell’inchiesta che ha incastrato la banda di bracconieri responsabili della sistematica cattura di uccelli protetti. Un danno enorme per l’ecosistema boschivo, alterato dalla sparizione di decine di migliaia di cardellini, verdoni, frosoni, verzellini, dunque per l’intera collettività.
L’ORGANIZZAZIONE «A gestire questo business – spiega il capitano Marcucci del Nucleo antibracconaggio dei carabinieri-  c’era una vera e propria organizzazione, con un capo che dava ordini e distribuiva compiti e mansioni ad una serie di soggetti stabilmente coinvolti nell’associazione». Un inquadramento – segnala il procuratore Bombardieri – che ha permesso di contestare reati come la ricettazione, aggravando – e di molto – la posizione degli indagati, tutti già in passato pizzicati per condotte similari, ma riusciti a cavarsela con multe o ammende.
IL METODO COLLAUDATO Ma quello che gli investigatori hanno individuato era un vero e proprio sistema del tutto illecito, basato su metodi e meccanismi consolidati e collaudati. Dopo aver individuato le zone con maggior presenza di uccelli, generalmente vicine a corsi d’acqua, i bracconieri le coprivano di mangime particolarmente appetibile – in gergo, le pasturavano – in modo da attirare cardellini, verzellini e altre specie protette, abituandoli a frequentare spesso la zona alla ricerca di cibo. Per maggior certezza della riuscita della trappola, venivano piazzati in zona anche esemplari della medesima specie da usare come esche o richiami acustici. Una volta abituati gli uccelli a frequentare quel punto alla ricerca di cibo, si stendevano le reti – assolutamente vietate sia in Italia, sia all’estero –  per catturare il maggior numero di esemplari possibili. Ad ogni operazione, erano centinaia i cardellini, verzellini, frosoni e verdoni a rimanere intrappolati.
VIVI O MORTI Dopo la cattura gli animali venivano trasportati in depositi, dove venivano selezionati per la vendita. Alcuni esemplari venivano spediti a Malta, dove i cacciatori sono soliti utilizzarli come esca per avvicinare altri uccelli, altri venivano uccisi e destinati ad una serie di ristoranti fra Lombardia e Veneto. «Sono state documentate – dice Bombardieri – pratiche brutali per sopprimere gli animali». Nel corso dell’anno, i carabinieri hanno intercettato e bloccato diversi trasferimenti e individuato alcuni depositi, riuscendo così a sequestrare oltre 13mila esemplari.
BUSINESS MILIONARIO Ma è stato accertato che nel corso dell’anno sono state effettuate almeno venti consegne a Malta, per un valore approssimato di circa 200mila euro, cui sono da aggiungersi le decine di migliaia di esemplari spediti ai ristoranti del Nord. «E si tratta – non si stancano di ripetere inquirenti e investigatori  – di numeri necessariamente approssimativi perché non tutta la rete è stata intercettata». All’appello mancano di certo gli acquirenti finali, come i cacciatori maltesi o i ristoratori, che hanno lautamente finanziato il sistema. Sul mercato clandestino, i prezzi dei vari esemplari oscillano fra i 25 e i 100 euro a seconda della specie (un cardellino fino a 50 euro, un verdone da 25 a 50, un frosone da 60 a 100, un verzellino da 25 a 50). Per questo, affermano gli investigatori, non è difficile ipotizzare un business da oltre un milione di euro annui. Di cui gli 8 bracconieri dovranno rispondere.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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