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«Di chi la responsabilità della crisi?»

di Gambino*, Nocito* e Adamo*

Pubblicato il: 30/05/2018 – 9:47
«Di chi la responsabilità della crisi?»

Da una crisi politica in corso da più tempo, ma aggravata nell’ultima settimana, l’Italia procede a passi veloci verso una crisi istituzionale senza precedenti. Non ci sono manuali di diritto costituzionale da compulsare per trovare una risposta alla crisi politica in atto, costituendo quest’ultima un vero e proprio unicum nella storia costituzionale e istituzionale della Repubblica.
La crisi istituzionale si consumerà se le istituzioni repubblicane non dovessero essere capaci di produrre quella necessaria e leale collaborazione che è la sola in grado di assicurare il corretto funzionamento degli Organi costituzionali, a partire, per quanto ora ci interessa, dalle procedure per la formazione del Governo della Repubblica.
Fin qui, l’interpretazione dell’articolo 92 della Costituzione ha consentito un intervento del Presidente della Repubblica limitato al solo profilo personale dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato, in quanto i motivi di eventuale dissenso-veto del PdR attenevano al rispetto delle previsioni costituzionali di merito e soprattutto delle previsioni di cui all’art. 54 Cost.
La mancata nomina dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato non ha mai trovato motivazioni basate su ragioni di linea e di ‘materia politica’, quanto piuttosto motivazioni fondate su ragioni di opportunità della persona proposta (‘materia costituzionale’).
L’attualità politica ci ha consegnato in questi giorni una rilettura quanto mena problematica dei poteri del PdR con riguardo alla nomina dei ministri proposti, nella misura in cui il Presidente Mattarella ha deciso di non procedere alla nomina del Ministro proposto per l’Economia sulla base di un veto de facto di indirizzo politico per il quale il soggetto nominato non deve essere “visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro” (citazione testuale dal Discorso del Presidente all’esito dello scioglimento della riserva da parte del Presidente incaricato Conte, Quirinale 27 maggio 2018).
L’intepretazione delle disposizioni costituzionali in parola (artt. 92 e 95 Cost., da leggersi sempre in combinato disposto) offerta dal Presidente Mattarella non integra, a giudizio di chi scrive, la fattispecie penale di cui all’art. 90.1 Cost. (“attentato alla Costituzione”).
Si può convenire o meno sul merito delle argomentazioni del PdR. Per chi scrive esse non avrebbero potuto costituire motivazioni valide per oppore il veto alla nomina del ministro proposto, ragion per cui può assumersi che la scelta presidenziale sia fuoriuscita dal perimetro dei poteri presidenziali per come disegnati dalle prassi fin qui invalse. Ciononostante chi scrive esclude che sia stato consumato il reato di ‘attentato alla Costituzione’, come pure nel dibattito pubblico alcuni hanno inopinatamente assunto.
Con brevi richiami argomentativi, di seguito, indicheremo le ragioni per cui il reato è da escludere e la distrubuzione dei torti e delle ragioni non appare semplice come è stata al momento diffusamente ricostruita.
In tal senso, la cronaca dei fatti ha dimostrato il certo impegno del Presidente Mattarella a consegnare al Paese un Governo stabile retto da una chiara (e dichiarata) maggioranza parlamentare. Il PdR, pertanto, non ha impedito la formazione del Governo, ma si è ‘limitato’ a manifestare un disaccordo-veto ‘solo’ su un nome (tra quelli proposti), chiedendo altresì alla maggioranza statu nascenti “l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza coerente con l’accordo di programma” (discorso prima citato) in sostituzione del prof. Savona.
Non avendo impedito la formazione dell’organo Governo ed essendo stato mosso dalla ricerca del migliore interesse del Paese (salus rei publicae suprema lex esto) e non da interessi politico-partitici, da parte del PdR non si configura il reato presidenziale.
Di chi è dunque la responsabilità, sotto lo stretto profilo costituzionale, di questa potenziale crisi istituzionale?
A giudizio di chi scrive, la responsabilità (politica e) costituzionale è da attribuire a chi non ha voluto, o non ha saputo, prestare e assicurare quella leale collaborazione che viene richiesta dalle richiamate previsioni costituzionali. Questo è il vero e proprio puntum crucis della questione posta dall’attualità istituzionale che sta ora impegnando il dibattito (impegnato e non) del Paese.
Dalla prospettiva strettamente costituzionale (regole e prassi), pertanto, la responsabilità non è da far ricadere sul Presidente Mattarella e neanche sui Segretari dei partiti (Capi politici) della potenziale maggioranza. Ad onta di quanto il dibattito non ha ancora evidenziato, la responsabilità ricade sul Presidente incaricato, che (forse) non ha saputo, melius non ha potuto, assolvere all’onere che la Costituzione gli attribuiva, vale a dire quella di dialogare sulla lista dei ministri utilizzando tutte quelle opportunità volte ad assecondare la moral suasion esercitata dal PdR.
Le disposizioni relative alla formazione dei governi di coalizione – come è noto – si incentrano sulla ricerca del Presidente del Consiglio incaricato idoneo ad assicurare la compattezza parlamentare della coalizione intorno ad un programma politico di Governo (sul quale le Camere esercitano un ruolo di indirizzo e di controllo). È infatti il Presidente del Consiglio dei Ministri a dirigere la politica generale del Governo (mantenendo “l’unità di indirizzo politico ed amministrativo”) e ad esserne il responsabile, per come prescrive l’art. 95 della Costituzione.
Il Presidente incaricato prof. Conte, nei frangenti di questa crisi politica, non è stato in grado di assumere pienamente su di sé la valenza istituzionale (oneri e onori) dell’incarico a formare il Governo, accettando in toto il diktat proveniente dalle forze politiche contraenti il ‘contratto di governo’; diktat per il quale non sussisteva margine possibile di mediazione sulla proposta avanzata per dirigere il Ministero dell’Economia.
La leale collaborazione in una forma di governo parlamentare dovrebbe ruotare intorno a questi passaggi istituzionali (pochi ma chiari). La vicenda della crisi non si iscrive in questi passaggi creando in tal modo una (leggera) torsione della formula parlamentare in favore di una più propriamente semipresidenziale. Resta il fatto che la vigente Costituzione (formale) della Repubblica, di cui il prossimo 2 giugno sarà celebrato l’atto fondativo, configura una Repubblica parlamentare e non una Repubblica presidenziale.

*docenti Unical

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