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«Ora il Pd deve unirsi»

di Bruno Villella*

Pubblicato il: 30/05/2018 – 14:38
«Ora il Pd deve unirsi»

Gli accadimenti del dopo 4 marzo, e ancor più le vicende delle ultime ore, rappresentano una inedita insidia per la vita democratica del nostro Paese. L’importante e delicato lavoro del presidente Mattarella in difesa delle istituzioni nel suo ruolo di garante delle prerogative costituzionali, ancor più evidenzia la necessità di protagonismo di una moderna forza democratica ed europeista sulla scena politica, della quale l’Italia oggi ha vitale bisogno.
Se inquadrata in siffatto contesto, appare ancor più opportuna la scelta di rinviare il nostro congresso regionale, collocandolo nel percorso che conduce alla celebrazione di quello nazionale. Un ancoraggio indispensabile per incidere in uno scenario che richiede da subito di un forte sostegno all’iniziativa democratica per arginare tentativi avventuristici e derive autoritarie. In questo contesto occorre ricollocare le dinamiche territoriali e le classi dirigenti, dando priorità agli interessi generali del Paese, la cui centralità sostanzia le ragioni dello stare insieme e la spinta per una generale ricollocazione di quei pezzi di società ed elettorato che si è rivolto altrove. La questione democratica è la vera spinta per una generale ricollocazione.
Una battaglia che dà un senso alla esistenza stessa del partito, ne rivitalizza le ragioni costitutive e attiva la sua capacità espansiva. Questo snodo non è negoziabile, non può essere piegato ai fini della polemica interna tra gruppi dirigenti, altrimenti spenti e a rischio caricaturale. Una fase da vivere con generosità, mettendosi in gioco e soprattutto con “entrambi i piedi” dentro il partito, con coerenza, sgombrando il campo che si possa lavorare per “il re di Prussia” demolendo ciò che resta. Mi rivolgo con franchezza, richiamando al senso di responsabilità i tanti che ancora ci credono, che insieme si assumano atteggiamenti virtuosi, abiurando i “super io”, che mortificano soprattutto quelli che ci stanno provando.
Chi proprio non ce la fa, faccia un passo di lato, sia rispettoso, almeno per i prossimi mesi. Sgombriamo il campo dalle lacerazioni, le contese tra persone che militano nello stesso partito, alle quali abbiamo assistito e assistiamo, a partire dalla Calabria. Siamo stati i maggiori detrattori di noi stessi, altro che i grillini o leghisti, che invece hanno fatto il loro “mestiere” di oppositori atipici, scansando il confronto e amplificando le fake news. Al nostro interno, invece, vi è stato uno stillicidio, teso a delegittimare le scelte di governo, sempre votate da tutti, senza una visione realmente alternativa, un progetto politico in grado di avviare un confronto negli organismi preposti, non escludendo l’apertura di una fase congressuale.
L’evidente strumentalità viene sostanziata dal fatto che a tutt’oggi non esiste una linea realmente alternativa, in grado di aprire una nuova fase, identificata da gruppi dirigenti riconosciuti, credibili, in grado di interpretare le ragioni e i sentimenti del corpo del partito. Viviamo tempi in cui troppo spesso si identificano le difficoltà della sinistra con l’evocazione di fasi costituenti. Un riflesso condizionato che indica nella imminente catarsi il processo salvifico. Quanti nuovi inizi abbiamo verificato, con risultati modesti e contingentati, ma con con gruppi dirigenti inamovibili e spesso sopravvissuti ai propri errori politici. Una costituente di cosa? Con quale spirito da mettere a servizio della fase? E ancora, i padri nobili?
Il processo generativo diviene fecondo se vi sono ragioni profonde alle quali dare risposte con la nuova fase, da far vivere nella quotidianità attraverso il coinvolgimento e la passione dei tanti. Altro che sterili evocazioni. La domanda inevasa, che non può trovare risposta nei populismi e nei sovranismi, è per una nuova giustizia sociale, la sola in grado di produrre un reale cambiamento fatto di una larga inclusione a partire dagli ultimi, dalle periferie, dal Mezzogiorno, per produrre un più largo ed equo benessere. Per questo vale la pena di battersi.
Stanno qui le ragioni per dare vita a una unità strategica, un nuovo cemento che tiene insieme una grande comunità politica, tutti nessuno escluso, il discrimine diviene il progetto. Una unità imposta dalla fase per essere utili al progetto democratico del Paese e dell’Europa. Da qui si parte, ma è altrettanto evidente che occorre mettere in campo classi dirigenti che per qualità e spessore sappiano esercitare una reale direzione politica, la sola che può far vivere nella quotidianità i processi unitari. Una prassi necessaria per dare vita a un partito democratico, nulla a che vedere con movimenti o pseudo tali o con organizzazioni leaderistiche con catene di comando aziendali.
Abbiamo il dovere di farlo, cercando risposte nuove e moderne in un mondo che è profondamente cambiato e per questo sono necessarie nuove opzioni strategiche sia nel campo economico che in quello sociale, esorcizzando vecchi tabù e recidendo antiche certezze. Avere l’ambizione di combattere le ingiustizie, i grandi squilibri, le insopportabili diseguaglianze, non può che essere la missione, che realisticamente deve fare i conti con lo straripante potere delle forze in campo che si oppongono, anche sotto le mentite spoglie dei falsi populismi, cioè coloro che si autoproclamano dalla parte del popolo, e dalle destre sovraniste, la cui sovranità reale appartiene ai più forti.
Una utopia? Forse. Sicuramente un lungo e difficile cammino, che potrà iniziare solo se animato da coesione e unità di fondo. Senza questo, non si va da nessuna parte.

*Membro della Direzione regionale del Pd

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