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Bimbo morto in piscina a Cosenza, la lettera di Carmine Manna

Parla il proprietario dell’impianto: «Io finora sempre in silenzio per rispetto. La famiglia ha accettato il risarcimento prima che i nostri periti spiegassero che il decesso è avvenuto per cause n…

Pubblicato il: 31/05/2018 – 17:34
Bimbo morto in piscina a Cosenza, la lettera di Carmine Manna

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Carmine Manna, titolare della piscina comunale di Cosenza, struttura al centro del processo per la morte del piccolo Giancarlo Esposito. La lettera arriva all’indomani della comunicazione dei genitori del bimbo, che hanno rinunciato a sostenere la parte civile nel procedimento giudiziario.
In questi quattro anni sono sempre rimasto in silenzio. Non per nascondere mie responsabilità. Ma solo perché credo che il mio compito sia quello di difendermi nel processo, non dal processo. Non ho mai usato il sensazionalismo mediatico per “smacchiare” la mia persona di colpe che saranno i giudici ad accertare. In Italia, almeno secondo il nostro sistema giudiziario, la presunzione di innocenza, va riconosciuta ad ognuno, fino al terzo grado di giudizio. Nel mio caso, badate bene, non è una logica vittimistica: questa cautela non mi è stata riconosciuta. Alcuna stampa, dimenticandosi le regole ferree della deontologia, ha deciso di rinunciare al suo ruolo di imparzialità ed è diventata “pubblica accusa”. 
È diventata parte civile. È diventata strenuo difensore di un bimbo che, secondo due luminari della medicina, avrebbe sofferto di una miocardite acuta e quindi non annegato, almeno secondo le verifiche peritali. Il bimbo, è emerso durante l’ultima udienza, non è più tra noi per cause naturali e non per negligenze, attribuibili a me alla mia struttura o alle professionalità che vi lavorano. Ho scelto il silenzio. L’ho fatto per rispetto della famiglia del piccolo, l’ho fatto per tutela delle persone coinvolte, indipendentemente se sedute tra i banchi dell’accusa o se inchiodati tra gli scranni della difesa, l’ho fatto per l’alto senso di giustizia che ho. La scelta della famiglia, attraverso i loro avvocati, veicolata pubblicamente a mezzo stampa di uscire anzitempo dal processo civile, suscita in me perplessità quasi come se il risarcimento ottenuto di oltre un milione di euro da parte dell’assicurazione sembra abbia quasi il valore di una sentenza. 
Fa specie che la fretta di chiudere l’accordo economico con l’assicurazione non sia stato legato all’evoluzione continuativa del processo, basti pensare che la somma erogata sia stata accettata ancor prima che i periti della difesa dimostrassero scientificamente la totale estraneità dai fatti d’accusa della mia struttura. Se, come per me, è forte il senso di giustizia, gli avvocati della famiglia avrebbero dovuto convincere i loro clienti a rinunciare al risarcimento e ad aspettare una pronuncia in sede civile e in nome del popolo italiano. Non voglio giudicare nessuno, non voglio accusare nessuno, non voglio fare lo stesso gioco “sporco” che una parte dell’opinione pubblica, ha fatto con me, ma vorrei far notare che, nel corso di questi lunghi quattro anni, i periti della famiglia non si sono mai recati in piscina per sopralluoghi e verificare le condizioni della vasca. Una vasca di 90 cm di profondità. D’ora in poi, così come ho fatto nel corso di questi quattro anni, non risponderò più a nessuna “provocazione” nel rispetto della memoria del bimbo che non c’è più, attendendo fiducioso che la giustizia faccia il suo corso.

Carmine Manna

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