CATANZARO «Funzionari, dirigenti, dipendenti ma anche semplici cittadini ripresi abusivamente da circa tre anni, da quando tutti gli uffici regionali hanno trovato posto all’interno della Cittadella ed è stato conseguentemente attivato, senza alcuna autorizzazione, l’impianto di videosorveglianza». È quanto denuncia il sindacato Csa-Cisal che ha deciso di ritornare a distanza di un anno su una questione già affrontata ma che lederebbe profondamente il diritto alla tutela della privacy. «Già nell’ottobre dello scorso anno – precisa il sindacato – avevamo puntato il dito contro un evidente abuso perpetrato ai danni dei lavoratori attraverso l’installazione nelle sedi distaccate della Protezione Civile di Vibo Valentia e di Crotone di impianti di videosorveglianza in modo del tutto abusivo. A seguito delle nostre denunce le telecamere furono poi rimosse ma la Regione Calabria rischia nuovamente di scivolare sul tema della sicurezza incorrendo, inoltre, in costose sanzioni. Negli ultimi giorni sembra stia circolando alla Cittadella una relazione, integralmente copiata e che si tenta in ogni modo di spacciare come proprio documento, da trasmettere all’ispettorato del lavoro allo scopo di regolarizzare le procedure previste a norma di legge ai fini dell’installazione dei sistemi di videosorveglianza all’interno degli uffici regionali. Un procedimento che, in realtà, si sarebbe dovuto esperire molto tempo prima della loro installazione e non, in maniera tardiva, a distanza di tre anni. Le norme prescrivono alle aziende che intendono collocare all’interno dei luoghi di lavoro un impianto di videosorveglianza, in difetto di accordo con la rappresentanza sindacale unitaria o la rappresentanza sindacale aziendale, di munirsi di un’apposita autorizzazione rilasciata dall’ispettorato del lavoro competente per territorio, anticipata dalla presentazione di apposita istanza che deve precedere l’installazione. La direzione provinciale del lavoro prima di rilasciare l’autorizzazione avrebbe dovuto provvedere a svolgere un sopralluogo per verificare, in particolare, gli angoli di ripresa delle telecamere che avrebbero dovuto inquadrare unicamente le zone dei locali più esposte al rischio rapine o di altri comportamenti criminosi e comunque, nel rispetto della normativa sulla privacy del dipendente al fine della tutela della sicurezza del patrimonio aziendale ed eventualmente indicare le prescrizioni da osservare. La ripresa dei dipendenti sarebbe dovuta avvenire esclusivamente a tale fine e con il criterio della occasionalità oltreché tutti i lavoratori e gli utenti sarebbero dovuti essere debitamente informati, con appositi cartelli esposti sia all’esterno che all’interno dei locali, della presenza dell’impianto di videosorveglianza, segnalazioni tuttora totalmente assenti».
«Appare del tutto evidente – incalza il sindacato – che nessuna di queste prescrizioni è stata finora rispettata dal momento che la predisposizione di una relazione tecnica presuppone una fase preliminare che nel caso della Regione Calabria non è affatto avvenuta. In totale assenza di autorizzazione l’amministrazione ha, quindi, proceduto all’installazione di impianti totalmente abusivi».
«Ci troviamo di fronte all’ennesimo abuso – attacca il sindacato – che lede il diritto alla tutela della privacy dei lavoratori che prestano la loro opera negli uffici regionali ma soprattutto delle centinaia di cittadini che quotidianamente affluiscono alla cittadella. Che cosa ne sarà ora delle immagini abusivamente carpite negli ultimi tre anni dal momento che la norma prescrive la immediata disconnessione e la copertura di ognuna delle telecamere prive di autorizzazione al fine di svolgere tutti gli adempimenti previsti, pena la comminazione di pesanti sanzioni? Risale all’aprile del 2010 l’emanazione di un apposito provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali che ha lo scopo di regolamentare una materia tanto delicata quanto foriera di abusi. Le multe possono essere comminate per infrazioni commesse attraverso un sistema di videosorveglianza “fai da te”, installato con leggerezza e senza la reale consapevolezza delle implicazioni giuridiche derivanti dalla non rispondenza ai dettami di legge e delle procedure vigenti in materia».
«C’è insomma una diffusa ignoranza – evidenzia il sindacato – oltre che un totale disinteresse da parte di molti che, quando decidono di installare le telecamere, non considerano i potenziali lesivi della privacy che l’adozione dello strumento comporta né le implicazioni che derivano dall’acquisire e soprattutto dal conservare immagini altrui. Non sempre, infatti, sono valutati attentamente e preventivamente gli effetti collaterali che tali impianti comportano, ovvero il rischio di invasione della sfera personale degli individui e dei lavoratori, invasione che spesso avviene anche in violazione del divieto di controllo a distanza del lavoratore imposto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori».
«Non possiamo non rilevare – accusa la Cisal – una totale sottovalutazione da parte della Regione Calabria delle innumerevoli implicazioni amministrative che oggi derivano dall’aver installato negli uffici un impianto assolutamente abusivo ancorché dotato di collaudo e di conformità ma privo della benché minima autorizzazione. Esiste nei fatti una dichiarazione di conformità rilasciata dalla ditta Carlo Gavazzi Impianti Spa risalente all’ottobre e al dicembre del 2014 con cui si certifica la regolarità e la funzionalità dell’impianto di videosorveglianza. Esiste una control-room dove vengono costantemente monitorate tutte le videocamere gestite da un istituto di vigilanza attraverso un contratto di gestione degli impianti in capo al dipartimento dell’Economato».
«Il tardivo avvio della procedura per ottenere l’autorizzazione mal si concilia – continua ancora il sindacato – con quella che è la realtà dei fatti non foss’altro perché l’impianto è già presente e funzionante dal 15 luglio del 2015. Vi sarebbero quindi da sanare tre lunghi anni mentre non ci rimane che chiederci a chi siano riconducibili tali responsabilità. Il nostro auspicio è che non si voglia adesso insabbiare una procedura totalmente illegittima regolarizzandola dopo tre anni di abusivismo e azzerando il passato. L’impianto è stato collaudato e l’amministrazione dispone di immagini che sono state prodotte e trattate. La sola via percorribile a questo punto è informare l’ispettorato del lavoro mettendolo di fronte ad un evidente abuso e attendere l’apertura di un procedimento sanzionatorio che certamente non tarderà ad essere avviato. La fase successiva non potrà che essere la predisposizione di un incontro sindacale dove sia possibile illustrare e concordare il regolamento alle Rsu».
«Ci aspettiamo – conclude il sindacato – che non si attenda oltre per sanare un’anomalia che non trova alcuna giustificazione e che rischia peraltro di esporre l’amministrazione a sanzioni e rilievi penali affatto sottovalutabili».
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