COSENZA Quale che sia, la chiave capace di sbloccare la serratura che tiene chiusa la porta della regione Calabria per la clinica del Sacro Cuore di Cosenza (struttura degli Ospedali riuniti Igreco) sulle interruzioni volontarie di gravidanza rimane ancora da trovare.
Storia complicata quella dell’ente regionale e della clinica cosentina al centro di polemiche per una presunta privatizzazione della pratica degli aborti. In realtà un calco della chiave esiste e ha i contorni della mancata iscrizione della struttura, accreditata al servizio sanitario regionale, nel registro delle cliniche a cui è permesso di praticare l’aborto. «Registro fermo ad un aggiornamento del 2014», spiegano le operatrici di settore che prestano servizio nella clinica e che dopo un incontro nei primi giorni di maggio con Bruno Zito, dirigente regionale del dipartimento Tutela della salute della Regione Calabria, ora rischiano di non avere più rinnovati i propri contratti di lavoro e di assistere alla fine dell’esperienza dell’equipe psicologica a sostegno delle donne che, volontariamente o dopo un passaggio attraverso i consultori della città, varcavano la soglia del “Sacro Cuore”.
UN PASSO INDIETRO La vicenda nasce da uno scambio di mail tra i vertici dell’azienda e il ministero della salute, comunicazioni poi allargate alla Regione e di conseguenza all’Azienda ospedaliera e all’Asp di Cosenza. Incassato il nulla osta del ministero, i dirigenti della clinica comunicano l’intenzione di iniziare ad accogliere le donne che vogliono praticare l’interruzione volontaria di gravidanza e di avviare attraverso un protocollo d’intesa con l’Asp di Cosenza la gestione delle pazienti anche perché l’ospedale Santa Barbara di Rogliano (in cui si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza) era in deficit di posti letto. Il documento firmato con l’Asp richiamava ad un servizio reso comunque nel budget che viene versato alla clinica in quanto accreditata. «Eventuali extra – dicono le operatrici di settore – sarebbero stati a carico della clinica e comunque non sarebbero state le pazienti a pagare». Ma poi scoppia il “caos” della “pratica di aborto privato” e il servizio dopo quasi un mese e mezzo di attività viene sospeso.
L’ANNO ZERO DELL’ABORTO Quello in corso è l’anno dei grandi anniversari. Non solo la rivoluzione sessantottina ma anche una serie di riforme fanno cifra tonda dalla loro entrata in vigore. Una di queste è la legge 194 del 1978 che rende l’interruzione volontaria di gravidanza un atto legale se praticato nei primi 90 giorni di vita del feto. E la Calabria nella ricorrenza storica fa i conti con quelli che sono i suoi problemi strutturali. Attualmente in provincia è attivo l’ospedale di Rogliano. La struttura ospedaliera del Savuto è quella in cui le donne che voglio interrompere la gravidanza vengono inviate dopo un colloquio con un assistente sociale. Al “Sacro Cuore” di Cosenza, dal 1 dicembre al 24 gennaio sono stati praticati 38 aborti. Numeri che fanno riflettere, soprattutto, in considerazione del fatto che, così come per le strutture pubbliche, i giorni dedicati a questo tipo di intervento sono uno o al massimo due. «Siamo psicologhe esperte – ci dicono – il nostro supporto alle pazienti era organizzato in modo tale che le assistevamo dal giorno in cui entravano in clinica al momento in cui uscivano. Una volta fuori continuavamo con dei gruppi di supporto. Molte esperienze sono state dolorose anche per noi, altre di gioia, come le tre ragazze che hanno deciso di non interrompere le gravidanze e di tenere il bambino». E che succede se una donna decide di ricorrere alla pillola abortiva (RU486)? Nella provincia di Cosenza, la più grande della regione, non ci sono medici che la somministrano. La struttura più vicina è nella città di Lamezia Terme, poi Soverato e Reggio Calabria. A rivolgersi ai consultori sono, in larga parte, donne che non possono sostenere economicamente la crescita di un figlio, poi donne che avuta già una gravidanza non sono in grado di sopportarne una nuova.
Michele Presta
m.presta@corrierecal.it
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