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Franco Pino: «Cosa nostra voleva il nostro aiuto»

Il collaboratore di giustizia ha deposto nel processo “’Ndrangheta stragista”. A Nicotera il summit tra i Corleonesi e i boss calabresi

Pubblicato il: 04/06/2018 – 22:27
Franco Pino: «Cosa nostra voleva il nostro aiuto»

REGGIO CALABRIA È il giorno del super boss pentito Franco Pino (nella foto) al processo “’Ndrangheta stragista”. Una deposizione pesante in cui l’esponente di spicco dei clan cosentini conferma la richiesta che ci fu da parte di Cosa nostra alle cosche calabresi per collaborare nella strategia di attacco allo Stato lanciato nei primi anni 90 dalla mafia siciliana all’Italia.
Alla sbarra del tribunale di Reggio ci sono due esponenti di spicco delle due organizzazioni criminali: Rocco Santo Filippone, braccio dei Piromalli e Giuseppe Graviano uomo dei Corleonesi. Entrambi sono accusati di aver teso agguati tra il 1993 e il 1994 a pattuglie dei carabinieri e costati la vita a due militari in servizio in Calabria.
«Dovevamo colpire militari in servizio o caserme», dice Pino rispondendo alle domande del procuratore aggiunto della Dda reggina, Giuseppe Lombardo. Nella lunga deposizione di uno dei capi storici delle cosche calabresi emergono anche particolari dei rapporti tra le consorterie criminali reggine e cosentina anche con il mondo degli affari e della politica. A questo proposito Pino ricorda gli ex parlamentari Amedeo Matacena di Forza Italia e il socialdemocratico Paolo Romeo e i loro intrecci con alcuni appalti pubblici. Ritornando al cuore del processo, incalzato dal pm, il boss del cosentino – da tempo collaboratore di giustizia – ricorda il vertice al Villaggio Sayonara di Marina di Nicotera tra esponenti della ‘ndrangheta e di Cosa nostra per “ascoltare” le richieste dei Corleonesi. Convocato dal boss del Vibonese, Pantaleone Mancuso, Pino sarebbe andato al summit con Umile Arturi, suo uomo di fiducia. A quell’incontro era praticamente presente il gotha della ‘ndrangheta dell’epoca: «C’erano i Mancuso, Santo Carelli, Giuseppe Farao, Nino Pesce, Franco Coco Trovato, e c’era anche Giuseppe De Stefano», racconta il pentito. E inoltre c’era «un signore che mi fu presentato come Papalia». Secondo il racconto di Pino, sarebbe stato Luigi Mancuso a comunicare l’intenzione di Totò Riina di coinvolgere le cosche calabresi nell’offensiva contro lo Stato. A preoccupare il capo della cupola siciliana era quella legislazione che colpiva duramente la mafia. «Se non cambia si fa brutto per tutti», avrebbe detto Totò u curtu. Una strategia però che non sarebbe stata però condivisa né da Franco Pino né dai vertici dei clan cirotani. «Non condividevamo la guerra aperta allo Stato e ai carabinieri».

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