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«I “dannati” della Piana di Gioia»

di Gregorio Corigliano*

Pubblicato il: 05/06/2018 – 15:06
«I “dannati” della Piana di Gioia»

Sulla provinciale che dalla curva Laghi porta da Rosarno a San Ferdinando, ai primi di giugno, incontri parecchi migranti. Fratelli dalla pelle nera in gran parte. In bici o a piedi raggiungono la tendopoli. Sono a gruppi di cinque o sei. Silenziosi, sudati e con gli occhi supplicanti. Senza parole. Non sono tanti quanti ne incontri in inverno, tra novembre e marzo, nel pieno della campagna agrumaria. Allora sono molti di più. Allora si possono incontrare,però, solo di mattina presto o la sera all’imbrunire perché vanno in campagna a accogliere clementine o arance. Ah, se non ci fossero loro! Chi raccoglierebbe i frutti della terra e del lavoro dell’uomo? Oggi, nessuno. Un tempo, anche noi studenti per raggranellare qualche lira da spendere poi per divertimento, un giradischi, la benzina per la 500, una pizza al quadrivio di Gioia Tauro, dai fratelli Gentiluomo. Oggi, tutto è cambiato.
I piccoli proprietari terrieri fanno fatica a vendere sia clementine che arance. E quando trovano, a volte devono impegnarsi a raccogliere il frutto pendente, per guadagnare qualche centesimo in più per poter far fronte alla spese di produzione. Non certo per guadagnare. Bisogna ringraziare Iddio, se la terra riesce a far per se stessa. E’ difficile, i costi sono lievitati e non puoi che arrabattarti. A cominciare dai fratelli dalla pelle nera che chiami – tanto sono tutti lì,al Calvario, ad aspettare- perché raccolgano i frutti. Guadagnano talmente poco che non sai come fare. La gente di buona volontà vorrebbe pagare di più, ma non ce la fa. E se poi c’è di mezzo l’intermediario- sfruttatore è ancora peggio. Lui guadagna senza colpo ferire, mentre “i nostri” – i fratelli di Sacko, l’uomo che è stato ucciso a San Calogero- devono essere sfruttati per 10-12 ore al giorno e per un introito – chiamarlo guadagno è una bestemmia- di 27-28 euro. Di inverno, al freddo e al gelo. Adesso, si va nei campi per irrigare, per coltivare frutti di stagione, per gli antiparassitari. E son sempre loro a fare questi lavori. Fanno notizia quando succedono fatti di cronaca. Altrimenti, si accorge di loro chi, come me, passa per la provinciale. O se proprio vai alla tendopoli che è lì, a due passi. Non ci vai, però. Meglio non vedere. Altrimenti imprechi, te la prendi con il destino, la società, il governo, di qualsiasi colore sia. Uno scandalo comunque solo a pensare ai grandi ghetti dei lavoratori migranti. Qui manca tutto. Una o due volte l’anno c’è il “movimento” dovuto a qualche visita istituzionale: un ministro, un assessore regionale, un prefetto. Poi, le parole e gli impegni, seguiti da omissioni. Parole tante, opere nessuna, e omissioni? Solo quelle. E sono 3.500- 4.000. Mica quattro gatti. E tutti in tendopoli vecchie e nuove, dove- se ti avvicini- hai un moto di ribellione:cumuli di immondizie, bagni maleodoranti e fatiscenti, materassi trovati nelle discariche e riutilizzati, senza acqua. Sì, senza l’acqua sufficiente per dissetarsi, men che meno per l’igiene personale. Eppure “vivono”. Una vita precaria e a rischio. Secondo Medici per i diritti umani, in gran parte, sono giovani trentenni, provenienti dall’Africa sub-sahariana occidentale (Mali, Senegal,Gambia, Guinea, Costa d’Avorio).
Non mancano le donne. Sfruttate in tutti sensi. Le trovi, come sulla 106 ionica, al ciglio della strada: ti invitano a seguirle. Sono imbellettate!!! Si prostituiscono per fame. In mezzo alla strada, in macchina, dietro un albero. Arrivano , secondo Medu, da tutta Italia, dopo aver perso il lavoro nelle fabbriche del Nord. Convinti di trovare qui l’America. Che lo è solo se paragonata alle condizioni di vita lasciate nei paesi di origine, ma che è un “calvario” vero e proprio. Non parlano l’italiano, solo qualche parola in dialetto calabrese, certo parolacce. Contratti di lavoro ? Buste paga? Ma quando mai! Solo a riflettere, accanto a loro, ti rendi conto che “la situazione è allarmante, le condizioni lavorative sono di sfruttamento, caratterizzate dal mancato rispetto dei diritti e delle tutele fondamentali dei lavoratori agricoli”. Buona parte sono ammalati. È sempre Medici per i diritti umani a parlare di malattie dell’apparato respiratorio e digerente, del sistema osteoarticolare. Per non parlare dei disturbi di natura psicologica. Uomini senza dignità. Scrive Daniela Amenta che si tratta di “dannati della terra”. Io specifico meglio “dannati della terra nostra, della terra del sole e del mare”. Dannati come Sacko Soumaila che ci ha rimesso la vita, come l’altra vittima dello scorso gennaio, Becky Moses. Nella tendopoli, il dolore si è rinnovato. E’ più forte del solito. Il ragazzo ucciso a San Calogero era la loro guida, il loro punto di riferimento. “La pacchia è finita” ha detto il ministro Salvini. Ma questa è pacchia? O è pacchia quella che vive Mimmo Lucano? Mimmo Lucano è l’orgoglio calabrese. Salvini verrà in Calabria? È augurabile. Probabilmente potrebbe esser utile a lui e al governo. Non si scherza! Intanto arrivi nel centro abitato. Un cartello ti accoglie: civiltà di mare!

*giornalista

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