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Pubblica amministrazione 4.0, strada tutta in salita

Bassa formazione, mancanza di visione strategica e invecchiamento del personale bloccano il processo di informatizzazione degli enti calabresi. Nonostante il mare di risorse economiche impegnate

Pubblicato il: 10/06/2018 – 13:11
Pubblica amministrazione 4.0, strada tutta in salita

[vc_section][vc_row][vc_column][vc_column_text]Due binari che si rincorrono senza mai intersecarsi. Una montagna di soldi spesi per raggiungere un obiettivo e l’effettiva realizzazione degli interventi. Ed è così che il processo di trasformazione della Pubblica amministrazione da produttore di migliaia di plichi cartacei, lunghe file agli sportelli, vari passaggi da un ufficio all’altro per ottenere un documento – situazione che tuttora caratterizza la macchina amministrativa di qualsiasi ente – a struttura leggera che si basa su procedure informatizzate, magari svolte in remoto, con certezza e soprattutto rapidità nell’ottenere un determinato atto resta ancora una strada tutta in salita. Irta di ostacoli per l’Italia ed ancor di più per la Calabria.
Nonostante appunto che per raggiungere questo obiettivo – la digitalizzazione della Pa – esistano ingenti risorse pubbliche provenienti da specifici progetti italiani ed europei.
Per dare una misura di quanto venga impegnato in termini economici per sostenere il processo di informatizzazione si calcola che in Italia sussista una spesa esterna in Ict di circa 5,7 miliardi di euro (Report del Piano triennale dell’informatica della Pa). E sempre stando agli estensori del Piano, la macchina che teoricamente dovrebbe supportare questo processo di trasformazione può contare su 32mila dipendenti di cui 18mila impegnati nelle varie articolazioni della Pubblica amministrazione centrale (Pac) e 14mila nella pubblica amministrazione degli enti locali (Pal) a cui si aggiungono diecimila persone che lavorano tra società in house locali (6.000) e centrali (4.000).
Dunque un vero e proprio esercito dotato di risorse economiche importanti – stimate attorno a 4mila euro per dipendente pubblico –  che dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – riuscire a lavorare la massa di dati e processi generati dai circa 11mila data center delle Pubbliche amministrazioni presenti nel Paese. Ma la complessità è legata a un mondo anche troppo frastagliato della cosiddetta P.A. 4.0. Basti considerare che, secondo il censimento svolto da Agenda Italia Digitale (ente principe chiamato a sopraintendere questa trasformazione storica della nostra macchina amministrativa) esistono in Italia circa 160.000 basi di dati presenti nel catalogo delle basi di dati della Pubblica amministrazione e oltre 200.000 applicazioni che utilizzano tali dati. Senza contare che la presenza di oltre 25.000 siti web che dovrebbero interfacciarsi con gli utenti finali, in altre parole i cittadini.
Ebbene questa montagna di soldi, con queste dotazioni e questo numero di personale addetto non riesce ancora a centrare l’obiettivo prefissato dall’Europa per migliorare il rapporto con i cittadini in termini di fornitura di servizi e di qualità della pubblica amministrazione.
Un obiettivo previsto dai principi dell’Agenda digitale europea, iniziativa dell’Unione che mira a incentivare l’innovazione tecnologica come strumento per rilanciare la crescita e lo sviluppo, che proprio attraverso l’adozione anche in Italia nel 2012 di un’Agenda per la digitalizzazione italiana doveva favorire. Ma che a tutt’oggi sembrano ancora lontani. Gli ultimi dati riportati nel report 2018 del Digital economy and society index (Desi) – l’indicatore messo in piedi dalla Commissione Europea per valutare lo stato di avanzamento del processo di digitalizzazione degli Stati membri dell’Ue – pone l’Italia agli ultimi posti: 25esimo posto. Stessa posizione dello scorso anno. E valutando lo stato dell’arte del processo di informatizzazione della Pubblica amministrazione il risultato non cambia: il Paese è al 18esimo posto. E se l’Italia è tra le ultime in Europa per digital divide della Pa, la Calabria sotto questo profilo stenta addirittura a tenere il passo con la media nazionale.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”144545″ img_size=”large” alignment=”center” css_animation=”fadeInLeft”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_custom_heading text=”I SERVIZI 4.0 OFFERTI DALLA PA IN CALABRIA” font_container=”tag:h2|font_size:25px|text_align:center” use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Le piattaforme abilitanti restano il perno della trasformazione in digitale degli enti centrali e locali italiani. Previste dal Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione – documento redatto dall’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) – offrono le funzioni fondamentali su cui erogare servizi alla cittadinanza e nel contempo procedere all’informatizzazione dei processi interni delle procedure amministrative della Pubblica amministrazione. Ebbene analizzando il processo di attivazione di queste piattaforme emerge un quadro decisamente a macchia di leopardo in Italia dello stato di piena funzionalità. In cui appunto la Calabria veste spesso i vestiti da cenerentola.
Secondo uno studio realizzato dal Team per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – pubblicato su Agendadigitale.eu -, emerge che l’adozione delle piattaforme abilitanti da parte della Regione, dei Comuni e delle diramazioni locali delle amministrazioni centrali sconta forti ritardi. Si tratta – per comprenderci – del livello di emissioni delle Cie (carta d’identità elettroniche) da parte dei Comuni, della diffusione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr), del sistema PagoPa e del Sistema pubblico di identità digitale (Spid).
Ebbene se per quanto riguarda la percentuale di Comuni capaci di emettere Cie, in Italia si registra un dato mediamente soddisfacente – oltre la metà degli ottomila comuni italiani è equipaggiato – entrano nello specifico emerge che appena il 35% è riuscita effettivamente ad emettere carte d’identità elettroniche con una copertura della popolazione pari al 73%. Una percentuale che in Calabria si riduce al 70% e creando una distanza notevole con le regioni più virtuose come Liguria, Emilia, Toscana, Umbria, Lazio e Puglia dove addirittura la copertura ha raggiunto il 90 per cento della popolazione.
Sebbene c’è da segnalare su questo tema la vicenda – tutta italiana – dell’emissione di circa 350mila Cie messe in circolazione dal Poligrafico di Stato nonostante fossero dotate di un chip difettoso su cui la Corte dei Conti ha aperto un’indagine visto che il costo per lo Stato dovrebbe aggirarsi attorno ai 10 milioni di euro per sostituirle. Indice di quante difficoltà sussistono ancora nel Paese nel settore dell’informatizzazione.
Difficoltà che si manifestano ancor di più nella nostra regione. Così anche nel processo di integrazione dei Comuni calabresi all’interno dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente il livello rasenta lo zero assoluto. Come anche nell’adozione al sistema PagoPa, il meccanismo previsto per effettuare pagamenti per usufruire di sevizi della pubblica amministrazione.  Secondo il report del Team, il numero di enti che sono integrati con PagoPA da un punto di vista amministrativo e quelli che realizzano veramente transazioni  hanno percentuali decisamente basse nella nostra regione. Se gli enti locali che hanno attivato la procedura è quasi nella media italiana (60%) ma distante dalla percentuale registrata in Lombardia (84%), quelli che hanno generato transazioni vere e proprie registrano numeri risibili: meno del 10 per cento. Anche il Sistema pubblico di identità digitale (Spid) resta una nota dolente della Pubblica amministrazione visto che in Italia risultano attive solo il 10% con la Calabria praticamente area totalmente sguarnita in questo tema. Non diversa la situazione in termini di attivazioni di Sportelli unici delle attività produttive (Suap) in cui la regione brilla in negativo per enti in grado di offrire il servizio integrato con Spid.
Numeri che dimostrano plasticamente quanto ancora sia lontano la realizzazione del processo di informatizzazione della pubblica amministrazione locale.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”144548″ img_size=”large” alignment=”center” css_animation=”fadeInRight”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_custom_heading text=”ECCO I FATTORI OSTATIVI” font_container=”tag:h2|font_size:25px|text_align:center” use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Mancanza di adeguate risorse finanziarie, non adeguata formazione del personale amministrativo e conseguente assenza di dipendenti pubblici formati. Sono questi i principali ostacoli che impediscono alla Calabria di segnare progressi significativi in termini di digitalizzazione della pubblica amministrazione. Un dato che emerge chiaramente dall’indagine condotta nel marzo del 2017 dal Laboratorio di documentazione dell’Università della Calabria in collaborazione con l’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche che ha avviato un’indagine esplorativa per rilevare il livello di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni (Pa) con particolare attenzione ai sistemi di conservazione dei documenti digitali.
Ebbene alla domanda formulata dai ricercatori dell’Unical attraverso dei questionari inviati agli enti locali sui principali fattori ostativi all’informatizzazione delle pubblica amministrazione il 30,6% delle strutture calabresi ha risposto evidenziando la mancanza di risorse finanziarie necessarie a sostenere i costi di tale trasformazione.
E sempre dal report elaborato dal Laboratorio di documentazione dell’Università della Calabria, è emerso che il 15 % addebita questo ritardo per la mancanza di un’adeguata formazione in materia di Ict e la conseguente assenza di personale adeguatamente formato.
Eppure stando alla ricerca per il 17% delle Pa calabresi ritiene che i principali benefici che potrebbero derivare dall’implementazione dei servizi Ict sono la maggiore trasparenza delle procedure, il 13% l’ampiezza delle informazioni a disposizione degli uffici e il 12% il complessivo miglioramento dell’Ente.[/vc_column_text][vc_single_image image=”144549″ img_size=”large”][vc_column_text]«Non è tanto una questione di mancanza di risorse economiche e neppure di assenza di un quadro legislativo del settore ma di visione strategica d’insieme». Non ha dubbi nell’individuare le cause dei ritardi il professor Roberto Guarasci, docente di Documentazione all’Università della Calabria e considerato tra i maggiori esperti per i sistemi informativi e la gestione documentale in Italia. Tanto che nel 2012 fu chiamato per dare un contributo in questo settore anche del ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione. «L’Italia ha il quadro normativo tra i più completi del mondo – afferma il docente che ha curato l’indagine  sul livello di digitalizzazione delle PA – ma resta ampiamente disatteso spesso perché gli amministratori pubblici non ne comprendono l’importanza e ne disconoscono le conseguenze». A questo proposito Guarasci cita il caso delle fatture digitali per le quali «sussiste l’obbligo di conservazione tanto vincolante anche per la pubblica amministrazione da prevedere uno specifico reato di omessa conservazione degli atti. Ebbene nonostante queste prescrizioni penali sono pochissimi gli enti che si dotano di un sistema di conservazione sicura degli atti che in caso di distruzione materiale delle apparecchiature informatiche dell’ente andranno completamente dispersi». E ricorda ad esempio il terremoto di Amatrice. «Lì – sottolinea – non si potrà procedere a ricostruire la catena di responsabilità per il crollo di un edificio perché sono andati completamente distrutti tutti gli atti autorizzativi che riguardavano la realizzazione dell’immobile». E poi c’è la mancanza di formazione del personale. «Sono stati spesi circa 40 milioni di euro per avviare il fascicolo sanitario elettronico – racconta il docente – senza però formare il personale amministrativo, preparare i medici e spiegare al pazienti il valore di questo eccezionale strumento. Così questa iniziativa è finita per divenire una scatola vuota». E sulle responsabilità Guarasci punta l’indice «sui decisori non solo politici ma anche amministrativi». «I primi sono privi di una visione strategica – attacca – mentre i dirigenti degli enti locali non comprendono fino in fondo la valenza del processo di digitalizzazione». Senza contare il basso skill del personale presente nella macchina amministrativa pubblica calabrese. «Ci è capitato – dice il docente – di gestire la formazione del personale che lavora negli enti locali. Spesso ci siamo trovati di fronte a persone demotivate e con un’incapacità di base ad aprirsi a processi di informatizzazione del loro lavoro». Anche per il presidente regionale dell’Associazione nazionale comuni italiani, Gianluca Callipo il principale limite al processo di informatizzazione della macchina amministrativa è legato al personale. «I Comuni calabresi pagano più di altri – afferma – gli effetti del blocco del turn over che non ha permesso un ricambio generazionale dei dipendenti pubblici. Così ci troviamo con un personale in servizio che ha subito un’inarrestabile processo di invecchiamento e che al contempo ha dovuto far fronte a un incremento della mole di competenze». Per Callipo, «la gran parte di Comuni calabresi che sono sotto i cinquemila abitanti, con personale ridotto all’osso – dovendo compiere delle scelte operative – ha messo in secondo piano adempimenti ritenuti meno vitali per la sussistenza della macchina amministrativa». Da qui i ritardi nell’applicazione delle norme previste dalla diffusione del digitale all’interno della pubblica amministrazione. La ricetta per evitare che questo circolo vizioso prosegua anche nel futuro consiste nello «sfruttare al meglio la finestra che si è aperta con lo sblocco del turn over». «Gli enti locali – sostiene Callipo –  si trovano davanti a una stagione fondamentale per affrontare le nuove sfide dettate anche dal processo di informatizzazione. Per coglierne appieno i benefici dovranno essere premiate le competenze puntando a svolgere concorsi pubblici che si basino su criteri meritocratici piuttosto che clientelari o assistenziali». Infine un appello al governo per «liberare i Comuni dall’eccessiva burocrazia che ha caratterizzato questi ultimi anni». «Solo con una pubblica amministrazione più leggera – conclude Callipo – e dotata di personale qualificato si potrà procedere seriamente sulla strada dell’informatizzazione degli enti locali»[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1523982146699{padding: 25px !important;background-color: #efefef !important;}”][vc_column][vc_row_inner][vc_column_inner css=”.vc_custom_1523982723011{padding: 35px !important;}”][vc_single_image image=”144550″ img_size=”large”][vc_custom_heading text=”BEST PRACTICE AO COSENZA” font_container=”tag:h2|font_size:25px|text_align:center” use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Rispetto alle percentuali emerse nei processi di informatizzazione degli enti locali calabresi esistono delle realtà di eccellenza che hanno avviato la digitalizzazione seppur con delle ovvie limitazioni spesso dovute alla natura particolare dei dati trattati e ai grandi volumi: come nel caso delle aziende ospedaliere. In questo senso l’Azienda ospedaliera (Ao) di Cosenza risulta essere tra le “punte di diamante” della regione.
Nel corso degli anni la struttura sanitaria cosentina – che conta più di 500 posti letto e oltre 20.000 ricoveri annui – è stata oggetto di molteplici interventi sulle procedure di gestione in digitale dei procedimenti amministrativi. Inizialmente con una focalizzazione esclusiva sulle unità operative amministrative e, più di recente, anche su quelle cliniche. Nel settembre 2007 nella più antica struttura sanitaria pubblica della regione sono state avviate le attività di “analisi delle procedure di gestione documentale dell’ente finalizzate alla predisposizione di un capitolato d’appalto per l’acquisizione di un sistema di protocollo informatico e gestione dei flussi di lavoro” e nel novembre successivo è stata definita la strutturazione interna dell’ente con l’individuazione di una unica Area organizzativa omogenea per i tre presidi ospedalieri e la istituzione, ai sensi dell’art. 61 comma 1 del d.p.r. 445/2000, del Servizio per la gestione informatica dei documenti, dei flussi documentali e degli archivi.
Dal 2008 l’Azienda ospedaliera di Cosenza – grazie al supporto tecnico anche della società Webgenesys che cura inoltre il portale interattivo dell’azienda – digitalizza tutta la corrispondenza amministrativa in entrata e in uscita mentre per la documentazione clinica (cartelle, sdo, ldo, registri, ecc.) laddove non espressamente previsto da normative nazionali o regionali la documentazione ha continuato – tranne poche lodevoli eccezioni – a permanere analogica ovvero cartacea con un inevitabile ricorso all’outsourcing per la gestione delle cartelle cliniche.
A valle di un accordo di collaborazione con l’Università della Calabria e in particolare con il laboratorio di Documentazione diretto dal professor Roberto Guarasci, l’Azienda ospedaliera ha anche avviato, ai sensi del dpcm 3 dicembre 2013 – sempre con l’assistenza tecnica della società Webgenesys – la realizzazione del sistema di conservazione.
La scelta strategica ed operativa dell’amministrazione ospedaliera è stata quella di rivolgersi ad un conservatore accreditato, per l’iniziale conservazione di cinque tipologie archivistiche: protocollo, fatture, delibere, determine e pec. E di concerto con il conservatore è stata anche avviata una revisione del manuale di gestione e la definizione e realizzazione del manuale di conservazione. A maggio 2017 il sistema è stato avviato in fase sperimentale e da luglio 2017 funziona a regime.
La realizzazione dell’intero progetto è stata supportata dalla collaborazione tra la struttura sanitaria ed una di ricerca documentale come l’Università della Calabria. Un risultato eccezionale che pone appunto l’Azienda ospedaliera cosentina ad essere divenuto un caso positivo del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Senza contare che l’Ao di Cosenza, ed in particolare l’Uoc di Nefrologia e Dialisi abilitata al Trapianto, sta collaborando inoltre – grazie al coinvolgimento di personale esperto – anche alla realizzazione di una piattaforma software in grado di gestire in maniera integrata l’intero processo clinico del paziente affetto da Malattia renale cronica (Mrc), consentendo quindi l’elaborazione di diverse categorie di dati (clinici, socio-sanitari, psico-sociali, ma anche ambientali) che provengono da fonti eterogenee.
La Mrc è stata scelta come patologia oggetto di studio perché secondo recenti stime colpisce oltre il 10% della popolazione nei paesi industrializzati ed è causa di numerose complicanze, elevata mortalità cardiovascolare, declino della qualità della vita dei pazienti oltre che di notevoli costi sanitari e sociali. Sin dall’inizio delle attività del progetto avviato all’Azienda ospedaliera cosentina, secondo quanto riferito dai responsabili del progetto, molto spazio è stato dedicato all’analisi dei processi clinici, che è andata di pari passo con l’analisi dei processi documentali, punto di partenza per ogni intervento di tipo gestionale, che possa far comprendere i diversi passaggi o casi d’uso che intercorrono in tutto il processo di cura di un paziente.[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1523982805924{padding-top: 15px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it

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