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Lamezia, confisca da 450mila euro alla cosca Giampà

I beni di Vincenzo Bonaddio tornano allo Stato. Nel mirino un edificio di tre piani e una villetta in costruzione. Chiesto il processo per due presunti prestanome

Pubblicato il: 16/06/2018 – 16:38
Lamezia, confisca da 450mila euro alla cosca Giampà

LAMEZIA TERME Passano definitivamente allo Stato i beni di Vincenzo Bonaddio, esponente di spicco della cosca Giampà. La ha stabilito la sesta sezione penale della corte di Cassazione. Nel 2015, in seguito ad indagini condotte dalla Guardia di finanza di Lamezia Terme, coordinate dalla Dda di Catanzaro, era emerso che Bonaddio aveva la disponibilità di beni per un valore di 450mila euro, pur non essendo il diretto intestatario e nonostante i redditi dichiarati al fisco fossero incompatibili con il godimento di tale patrimonio. Il procedimento, condotto dal sostituto procuratore della Dda Elio Romano, arrivato al terzo e definito grado di giudizio ha portato alla confisca di un edificio di tre piani e relative pertinenze, a Lamezia Terme, che di fatto era l’abitazione di Vincenzo Bonaddio; una villa, in via di costruzione, nel comune di Conflenti, nella disponibilità di Bonaddio, intestata al cognato Francesco Maria Stranges; una macchina di piccola cilindrata.
Meticoloso il lavoro per dimostrare la riconducibilità dei beni all’esponente del clan Giampà, visti anche i documento redatti, per conto dei prestanome, dai commercialisti della difesa. Prestanome che oggi dovranno rispondere del reato di intestazione fittizia di beni aggravato dalle modalità mafiose. Alla luce delle indagini delle Fiamme gialle, infatti, il pm Elio Romano e il procuratore capo Nicola Gratteri hanno hanno chiesto il rinvio a giudizio per Francesco Maria Stranges e Tonino Stranges. L’udienza è stata fissata per il prossimo otto ottobre davanti al Tribunale di Catanzaro. Imputato è anche Bonaddio che dovrà rispondere anche del reato di estorsione. Vincenzo Bonaddio, infatti, nel 2007 aveva avviato un’impresa di costruzioni costringendo ad una ditta lametina di affidare i lavori di costruzione di un edificio alla sua impresa con costi elevati e poco vantaggiosi. Questo episodio si concretizza, secondo l’accusa, nel reato di estorsione aggravato dal metodo mafioso perché la vittima non si sarebbe opposta alla richiesta, avendo già in passato subito danneggiamenti da parte della cosca Giampà e impaurita dalle conseguenze di un suo rifiuto.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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