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Crotone, tutte le carte del “caso Brisinda”

Le testimonianze di due pazienti («operazioni inutili, vogliamo raccontare la verità»). La relazione dell’Asp sugli “eventi sentinella”. E la replica del chirurgo, che contesta i numeri e segnala i…

Pubblicato il: 18/06/2018 – 8:05
Crotone, tutte le carte del “caso Brisinda”

CROTONE «Non sono capace di lavorare, di fare niente. Non posso essere indipendente, devo dipendere dal mio compagno. Ho paura di tutto, anche di restare da sola, perché non sono più una donna». Anna (il nome è di fantasia) è giovanissima, appena trentenne, e sta combattendo contro un tumore nato nella giunzione gastroesofagea, un carcinoma del cardias. Il suo è uno dei casi presi in esame, a campione, tra gli interventi effettuati nel 2017 nel reparto di Chirurgia generale dell’ospedale “San Giovanni di Dio di Crotone” assurto di recente agli onori della cronaca per il caso del direttore dell’unità operativa, Giuseppe Brisinda, sospeso dal suo incarico lo scorso mese di dicembre. Ad Anna sono stati asportati diversi organi, colecisti, milza, le ovaie, l’appendice e i linfonodi, anche quelli non compresi dalla zona interessata dal tumore, così come non erano interessate le ovaie. «Quando mi hanno fatto la gastroscopia e hanno trovato il tumore, il gastroenterologo mi ha detto che il mio intervento non si poteva fare qui a Crotone». «Poi – racconta – mi hanno raccomandato Brisinda ed è iniziato il mio inferno».
Dopo il primo intervento Anna ha delle complicazioni e subisce un secondo intervento in seguito al quale sarebbero intervenute delle complicazioni: la devascolarizzazione del colon trasverso ha comportato, secondo le valutazioni della commissione medica voluta dalla Regione una «ischemia del colon» con necrosi del colon stesso. Il risultato finale è che Anna oggi è costretta a portare una sacca esterna per la raccolta delle feci, un disagio che soffre più della chemio che sta affrontando. Secondo la commissione è «discutibile l’asportazione “di principio” di colecisti, appendice, milza ed e ovaie poi risultate indenni dall’infiltrazione neoplastica».
Anna attende il suo quarto intervento chirurgico che, dice, «non farò di certo qui». La giovane donna si aspetta anche che il primario che l’ha operata le prime due volte «se ha sbagliato deve pagare» «Non voglio – dice – che accada ad altri quello che è capitato a me. Voglio che vinca la verità. Io sono pronta a dire la verità». Il caso di Anna è stato classificato come evento sentinella. Non è l’unico e fa parte dei tanti esaminati in questa vicenda parecchio controversa.
GLI EVENTI SENTINELLA Da diversi mesi, sulle scrivanie dei dirigenti dell’Asp di Crotone, del dipartimento salute della Regione e della Procura di Crotone, si trovano due distinte relazioni che riguardano questa vicenda. Una è la relazione del Risk management dell’Asp e l’altra è la relazione della commissione voluta dal dipartimento Salute della Regione Calabria. I dati del reparto di Chirurgia generale erano stati evidenziati già nel 2016: 14 trasferimenti in rianimazione e 27 decessi. A questo punto veniva inviata al direttore dell’Unità operativa una nota con la quale si invitava a segnare tutti gli eventi sentinella che si fossero verificati in futuro. Per eventi sentinella si intendono casi avversi di particolare gravità, potenzialmente evitabili, che possono comportare morte o grave danno al paziente con conseguente perdita di fiducia nel servizio sanitario. Nessun caso viene segnalato da Crotone ma un allarme arriva da Cosenza a causa di un decesso all’ospedale bruzio di un paziente proveniente dal “San Giovanni di Dio”. Si scopre allora che nel 2017 gli eventi sentinella erano significativamente aumentati: 31 trasferimenti di pazienti in Rianimazione (dei quali 17 rientrati in Chirurgia e 13 deceduti in Rianimazione e uno trasferito in altro ospedale), 40 reinterventi chirurgici (alcuni effettuati anche sei volte sullo stesso paziente, in 27 casi due volte, in quattro casi tre volte), 57 decessi in totale (13 deceduti in Rianimazione provenienti da Chirurgia, 23 deceduti nel reparto di Chirurgia, 20 deceduti a casa propria dopo breve periodo dalla dimissione, ma quest’ultimo dato è provvisorio). Secondo le indagini volute dall’Asp risulterebbe che dal primo gennaio 2017 al 25 settembre successivo sono stati effettuati 696 interventi, compresi i reinterventi. Si riscontra, inoltre, anche se «i dati devono essere valutati con percentuali aggiustate» un tasso di mortalità del 27%, 19% dei reinterventi e14.7% di trasferimenti in Terapia intensiva. Altra valutazione è che vi sarebbe un’anomalia nei processi di gestione nella designazione dei chirurghi. Secondo la tabella degli interventi chirurgici «è evidente la discrepanza di accesso alla sala operatoria da parte dei singoli chirurghi la cui casistica, peraltro, è costituita spesso da interventi in urgenza. Fermo restando il principio di discrezionalità del direttore, occorre stabilire se tale designazione è sufficiente per la “crescita tecnica” dei chirurghi più giovani».
LA REPLICA DI BRISINDA Il 9 novembre 2017, Brisinda invia una lettera di chiarimenti al responsabile del Servizio rischio clinico dell’Asp di Crotone. Secondo il direttore dell’unità operativa di Chirurgia generale dell’ospedale di Crotone, «nessuno dei chiarimenti a me richiesti sono attribuibili ad eventi sentinella o eventi avversi». Per quanto riguarda i casi dei pazienti trasferiti in Rianimazione dopo un’operazione «non rientra in alcun modo (vedi protocollo) nell’ambito degli eventi avversi o degli aventi sentinella. In molti centri è considerato un passaggio routinario», scrive il primario che parla di un iter adoperato per monitorare il risveglio del paziente e i suoi parametri vitali. «Del resto – scrive – le ricordo che presso il nostro presidio non è presente una Terapia intensiva postoperatoria e la Rianimazione sopperisce a tale compito». 
Per quanto riguarda i reinterventi, il direttore di Chirurgia afferma che «la necessità di dover intervenire su un paziente già operato è un evento previsto in chirurgia». E per quanto riguarda i 40 reinterventi avvenuti da gennaio a settembre a Crotone, il primario scrive, non senza una punta di ironia: «Si tratterebbe di 40 pazienti sottoposti, per insorgenza di complicanze a nuova chirurgia. Questo è quello che immagino e non vorrei che in tale statistica siano stati inclusi i reinterventi “programmati”, che sono consolidati nella prassi chirurgica di tutto il mondo». Per quanto riguarda il caso del paziente traferito a Cosenza e poi deceduto, Brisinda critica il fatto che il trasferimento si sia reso necessario perché l’hub di riferimento dell’ospedale di Crotone, ossia l’ospedale di Catanzaro, «si era detto indisponibile ad eseguire una procedura in via percutanea in tempi brevi». D’altronde il trasferimento si rendeva necessario perché l’ospedale di Crotone «risulta essere sprovvisto di un servizio di Radiologia interventistica». Altri problemi erano stati riscontrati nei registri operatori, per quanto riguarda la mancata registrazione dell’orario di inizio e fine degli interventi. «Le rammento – scrive il medico – che il nostro Presidio è sprovvisto di alcun supporto informatico che tanto faciliterebbe la compilazione del referto operatorio».
Insomma, l’ospedale di Crotone è uno spoke, privo di molti servizi, legato a un hub che non sempre risponde alle emergenze dello spoke. Eppure in questo spoke vengono eseguiti interventi molto complessi e non privi di rischi. Un numero elevato di interventi che Brisinda “promuoveva” e aggiornava costantemente su Facebook. Il direttore di Chirurgia fa poi i suoi calcoli sui tassi di mortalità che secondo lui non sono così alti come riportato dal servizio Rischio clinico, perché «sembra che il dato venga calcolato su 210 interventi e non sulla totalità di pazienti operati (696). Le percentuali, secondo i miei calcoli, sono pari a 6.03% e 4.45% rispettivamente per la mortalità e per il trasferimento in Rianimazione».
I PROBLEMI IN SOSPESO Ma le spiegazioni date dal medico non sono sufficienti ed esaurienti per l’Asp. Il 27 dicembre 2017 il direttore viene sospeso con la motivazione di non avere saputo creare un ambiente adatto al lavoro all’interno dell’equipe che dirige. Nessuno degli altri problemi rilevati, né gli eventi sentinella analizzati (le osservazioni su decessi, incongrua asportazione di organi, scarsa attenzione nella redazione della documentazione sanitaria e quant’altro), sembra avere scosso l’Asp di Crotone che sulla questione, nonostante successive relazioni, è rimasta ferma e non ha preso posizione.
A febbraio la direzione generale del dipartimento Tutela della salute della Regione invia una commissione che analizza alcuni casi qualificandoli come eventi sentinella. Viene sottolineato il «mancato coinvolgimento del personale» e la «totale mancanza di confronto e condivisione sul piano professionale». Si sottolinea che la «mancanza di direttive, protocolli e procedure ha portato all’evidenza di percorsi gestionali non appropriati e di una documentazione sanitaria non adeguata e incompleta, con responsabilità della direzione di unità operativa e conseguente rilevanza medico-legale».
Secondo la commissione «si rende necessario e urgente un intervento immediato atto a ripristinare una situazione di maggiore equilibrio e di forte coesione interna, al fine di innalzare lo standard clinico assistenziale e tutelare la sicurezza dei pazienti». Viene preso ad esempio il caso di Anna nel quale, secondo la commissione, sono mancate le indispensabili «consulenze oncologiche e radioterapiche». Inoltre, è scritto nella relazione, «in questi casi è imperativo affidarsi a strutture di secondo livello, o specialistiche e quand’anche ciò non fosse possibile, è perentorio e indiscutibile, un approccio multidisciplinare». Nelle relazioni richieste dall’Asp di Crotone viene analizzato un campione di 240 cartelle cliniche su 800 interventi eseguiti.
IL CASO VONA Un caso emblematico è quello di Vito Vona, classe 1980, operato il 14 novembre 2016, sottoposto a una gastrectomia subtotale, ossia all’asportazione parziale dello stomaco. Si sospettava un volvolo gastrico, o più volgarmente uno stomaco attorcigliato su se stesso. Ma non si trattava di questo, quanto piuttosto di una abnorme lunghezza dello stomaco, e vi erano dubbi sulla gravità del suo caso fin dall’inizio, fin dal suo primo ricovero, a giugno 2016, quando viene mandato in Chirurgia dal reparto di Gastroenterologia. Viene ricoverato tre volte, l’ultima, prima dell’intervento, il 7 novembre, perché era ricomparso il dolore epigastrico e il paziente si mostrava resistente alla terapia. Una settimana dopo viene eseguita una gastroresezione, viene tolto metà stomaco e la colecisti. «Non patologie macroscopicamente evidenti, se si eccettua abnorme lunghezza dello stomaco… In considerazione della sintomatologia lamentata e dei rilievi degli accertamenti strumentali, si decide di eseguire gastroresezione. Colecistectomia di principio», è scritto nella relazione post operatoria. «Dopo circa tre mesi c’era qualcosa che non andava – scrive Vona in un post su Facebook – avevo difficoltà ad alimentarmi con continui conati di vomito perdita di peso e dolori addominali… senza recarmi in ospedale scrissi al primario che mi operò, con un messaggio e gli spiegai tutto e lui mi rispose una cosa sconvolgente. Che lui aveva forti dubbi nell’eseguire l’intervento, che secondo lui i miei disturbi prima che eseguisse l’intervento non erano dovuti allo stomaco». Da quel momento ha inizio il calvario dell’allora 36enne che si rivolge anche ad altre strutture, come il Marrelli hospital e il San Raffaele di Milano. Al Marrelli viene pure operato ma la sua situazione non migliora. Vona tenta di ritornare nella struttura privata che, però, è chiusa per mancanza di budget, quindi, nonostante il parere negativo dei suoi familiari, torna da Brisinda. Viene eseguita una gastrectomia subtotale. Il primo sentimento del paziente, dopo l’operazione, è di riconoscenza verso il medico che lo aveva operato per la seconda volta. Ma oggi nello stesso paziente, in attesa di trovare un centro in cui eseguire un ennesimo intervento, costretto a vivere attaccato ad una macchina, dimagrito e sofferente, il pensiero va a quel primo intervento, eseguito nel dubbio e che, lui dice, «mi ha distrutto la vita». «Il mio stomaco – racconta – non aveva niente che non andava». Vito Vona, come Anna, dice che vuole che la sua storia venga raccontata perché altri non passino il suo stesso calvario.
LE CARTE IN PROCURA Il caso Vona, come quello di altre decine di persone che hanno denunciato, e come le relazioni dell’Asp di Crotone e del dipartimento Tutela della salute della Regione, si trovano sulla scrivania del sostituto procuratore di Crotone, Andrea Corvino. La questione è parecchio spinosa. La relazione dell’Asp parla di «scarsa attenzione nella redazione della documentazione sanitaria», «attività clinica condotta trascurando quanto imposto da un corretto agire (riferimenti a Linee guida e buone pratiche)». «In genere, gli interventi chirurgici esaminati risultano essere stati praticati in assenza di un preventivo, corretto inquadramento diagnostico, così esitando, in alcuni nell’incongrua asportazione di strutture anatomiche”, e ancora “agire operatorio oltre le effettive indicazioni del caso clinico (over treatment)». 
Il nove aprile scorso il primario è stato reintegrato al suo posto dal giudice del Tribunale del Lavoro di Crotone. Ma la vicenda giudiziaria è tutt’altro che chiusa.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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