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«Le sinergie indispensabili tra i governatori del Sud»

di E. Caterini* ed E. Jorio*

Pubblicato il: 20/06/2018 – 12:34
«Le sinergie indispensabili tra i governatori del Sud»

Lo scorso 13 giugno si è tenuto a Napoli, su iniziativa del governatore campano, Vincenzo De Luca, un incontro tra i presidenti delle Regioni che compongono quasi tutto il sud. Erano, quindi, presenti all’incontro, oltre al promotore Vincenzo De Luca, gli omologhi di Basilicata (Marcello Pittella), Calabria (Mario Oliverio), Molise (Donato Toma), Puglia (Sebastiano Leo, in sostituzione di Michele Emiliano), Sicilia (Nello Musumeci). Mancavano all’appello, in rappresentanza dello storico (ma sempre attuale) Mezzogiorno, l’Abruzzo e la Sardegna, anch’essa come la Sicilia Regione a statuto speciale.
Insomma, pare che comincino ad organizzarsi eventi nell’Italia e per l’Italia che soffre, alla ricerca delle sinergie giuste, per fare valere le sue ragioni di sempre, e in risposta alle richieste di alcune Regioni che pretendono legittimamente, in applicazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, di attuare il cosiddetto regionalismo differenziato. Una istanza, quest’ultima, caratterizzata dalla volontà di assumere una maggiore potestas legislativa, che ha già consumato una parte del suo previsto itinerario procedurale. Invero, sono stati celebrati i referendum di Lombardia e Veneto è stata effettuata una consultazione popolare in Emilia-Romagna; è stata celebrata, infine, la condivisione interistituzionale degli accaduti con l’intervenuta firma del Governo presieduto da Gentiloni di un preaccordo riguardante la concessione in loro favore di un’autonomia legislativa differenziata. Sarà il Parlamento a fare il resto, nel rispetto dei percorsi legislativi dettati dalla Costituzione, che impongono l’approvazione da parte della maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento, non difficile da conseguire con la formazione delle attuali Camere, attesa la rappresentatività politica che i due governatori di Lombardia e Veneto hanno in Parlamento e il sostegno che il PD non può fare mancare ai desiderata della Emilia-Romagna.
L’iniziativa dei Governatori
Ritornando al summit dello scorso 13 giugno, il suo scopo era quello del rilancio del «lavoro pubblico nel Mezzogiorno». Quel lavoro pubblico inteso quale indispensabile strumento a disposizione dell’insieme degli enti territoriali, nessuno escluso, per garantire l’esercizio delle funzioni loro assegnate e l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, cui i medesimi sono obbligatoriamente tenuti. Un obiettivo ineludibile ancorché messo sino ad oggi in forse da diversi fattori, primo fra tutti il blocco del turn over che ha impedito un rinnovo della burocrazia degli enti pubblici e soggetti giuridici da essi, comunque, dipendenti rendicontando alla fine del 2017 un saldo negativo di oltre 450mila unità. Una tale preoccupante situazione ha portato a registrare una età media dei dipendenti pubblici valutabile in una forbice che va dai 56 anni ai 49 anni (per sola Sicilia), tanto da preventivare una molto prossima estromissione dal lavoro da pensionamento, stimata al 2021 in diverse migliaia di unità lavorative regionali e decine di migliaia di dipendenti dei Comuni, con conseguente impossibilità degli enti, interessati dall’esodo, di rendere i rispettivi servizi e ad ottemperare agli adempimenti istituzionali. Un rilievo sottolineato dai Governatori non già, così come avveniva in passato, nell’insana voglia di approfittare di un non più rinviabile sblocco indiscriminato delle assunzioni da sfruttare nella capitalizzazione del consenso delle famiglie da tempo vittime della insoddisfatta speranza di vedere i propri figli lavoristicamente realizzati bensì dall’esigenza di rivendicare la celere formazione di una burocrazia strutturalmente nuova e votata alla massima «complicità» realizzativa delle occasioni di crescita e produttività.
Il tutto a dimostrazione di quanto sia necessario incidere tutti insieme, energicamente e velocemente, sulle decisioni da assumere in tal senso dal Governo centrale a salvaguardia e tutela di un tale verosimile disastro, non solo in termini di assoluta carenza di organico ma anche di naturale ricaduta di collaborazione tra istituzioni e tra queste ultime e i destinatari/beneficiari del prodotto politico-burocratico e, quanto alle Regioni, anche di quello legislativo. Ciò in quanto l’attuale gap potrebbe determinare l’impossibilità di assicurare l’indispensabile sostegno lavorativo allo sviluppo delle politiche regionali, direttamente incidenti su quelle locali di competenza dei Comuni, e sul necessario sostegno burocratico alla produttività – in cerca di potenziamento e ottimizzazione attraverso la tendenza ad automatizzare le procedure per incrementare e/o facilitare una maggiore produttività da rendere reale nel Paese denominata «Industria 4.0» – senza il quale tutto sarebbe impedito o quanto meno irrimediabilmente e colpevolmente ritardato.
L’appuntamento con le Zes e le dovute sinergie
In proposito, si rende pertanto necessario il formarsi di una PA anche essa di profilo 4.0 che possa rendersi reale interprete delle più attuali esigenze da soddisfare, di corretto sostegno al completamento delle iniziative in corso ma soprattutto a quelle che si renderanno indispensabili per favorire la migliore realizzazione delle cosiddette Zes. Una occasione unica, quest’ultima, da prendere non solo al volo ma da concretizzare con i dovuti accorgimenti, primo fra tutti quello di costituire e programmare politiche di un «insieme assoluto» interregionale, da perfezionare con i diversi attori istituzionali impegnati sul tema. Prioritariamente, attraverso il coinvolgimento degli enti locali interessati messi in relazione con gli interessi pubblici e dei soggetti privati interessati alla generazione delle iniziative produttive.
Perché queste ultime possano tradursi nello strumento reale del rilancio del Mezzogiorno, ci sarà, infatti, bisogno di una programmazione di qualità e complessiva, ragionata e condivisa da tutto il sistema autonomistico interessato attraverso il perfezionamento degli strumenti a disposizione, locali e regionali, a cominciare da quelli urbanistici e dal piano regionale dei trasporti, necessariamente assistiti da interventi di completamento infrastrutturale, sui quali investire le risorse provenienti dal «Piano per il Sud» condiviso con il precedente Governo, da incrementare sensibilmente quanto ad entità.
Dovranno essere, altresì, prioritariamente approvate (se esistente, funzionalmente implementata) da parte delle Regioni le leggi di riordino del sistema autonomistico locale – in stretta condivisione con i propri Comuni e la Città Metropolitana ricadente nel suo territorio – e di conseguenza perfezionato il relativo piano di riordino territoriale, con in esso individuati, tenendo conto ovviamente delle istituite Zes, gli ambiti ottimali e i criteri attuativi della riorganizzazione istituzionale, della migliore metodologia per pervenire ad aggregazioni degli enti locali, principalmente le fusioni, degli strumenti, anche consultivi, attraverso i quali generare un dialogo costruttivo tra le diverse istituzioni pubbliche, nazionali e territoriali, coinvolte nell’istituzione e nel sostegno alle anzidette Zone Economiche Speciali.
E già, perché in un siffatto importante e irripetibile appuntamento i decisori pubblici territoriali, siano esse le Regioni che gli enti locali, dovranno assicurare, per una favorevole realizzazione delle Zes, una conveniente attrazione – infrastrutturale e di esercizio delle funzioni fondamentali nell’ottica dello snellimento burocratico – dell’imprenditoria, funzionale ad un ottimale e diffuso insediamento delle relative unità produttive. Dovranno, pertanto, fare di tutto per assicurare- una pubblica amministrazione più efficiente garante dell’esercizio semplificato delle procedure burocratiche; una fiscalità di vantaggio; una disponibilità agevolata di aree pubbliche ove edificare e rendere funzionanti gli insediamenti produttivi; l’assenza o quasi dei dazi sulle materie prime importate e di tassazione sull’esportazione; la esenzione dal pagamento delle tasse connesse al rilascio di autorizzazioni e concessioni; una maggiore, infine, flessibilità e autonomia nella contrattazione del lavoro. Un dovere istituzionale, non facile ad esercitarsi, che genererà una competizione tra le diverse Regioni concorrenti nel processo agonistico di seduzione degli imprenditori affascinati dalle facilitazioni economico-organizzative che la Zes assicura, ma prioritariamente alla ricerca dell’efficienza della PA con la quale fare i conti e collaborare proficuamente.
In una tale aspettativa generale dovranno assumere, per l’appunto, un ruolo fondamentale le amministrazioni comunali dei territori facenti parte delle Zes, attrattive di tutte quelle competenze di prima necessità per gli insediamenti industriali, a partire dalla riprogrammazione del proprio territorio, sino ad arrivare alla semplificazione del rilascio dei permessi di costruire, alla corretta manutenzione stradale di prossimità e all’indisturbato godimento dei servizi pubblici da garantire alle imprese, ma anche di supporto alle maestranze ivi impegnate. Un onere a carico degli enti locali interessati difficilmente sopportabile esclusivamente dalle casse municipali, atteso che esse sono da considerarsi assolutamente insufficienti per assicurare le contribuzioni afferenti ai complessi produttivi e di esercizio delle funzioni relative delle quali le anzidette iniziative sono per l’appunto sgravate per essere insediate nelle Zes.
Fondamentale per la favorire una concreta attrazione «fatale» dei territori meridionali, da esercitarsi nei confronti delle imprese leader del mercato che potrebbero essere incentivate dalla rete portuale di qualità che il Mezzogiorno esprime (Gioia Tauro su tutti), l’insieme istituzionale territoriale dovrà impegnarsi prioritariamente in una fattiva lotta alla criminalità organizzata, che ha sino ad oggi condizionato negativamente lo sviluppo di tutto il sud del Paese. Una tipicità negativa dei territori interessati che, se non estirpata o quantomeno non combattuta energicamente, determinerà due inconvenienti di non poco conto: a) la mancata concentrazione della domanda imprenditoriale nelle istituite Zes; b) la verosimile trasformazione delle stesse in una ghiotta occasione per le diverse consorterie mafiose di impadronirsi delle iniziative, di esercitare per loro conto l’indotto e/o di condizionare comunque la libera iniziativa, sino ad indurla all’abbandono.
Da qui, l’esigenza non affatto trascurabile di schierare l’insieme delle Regioni e degli enti locali contro un così deprecabile fenomeno da materializzare attraverso una riorganizzazione istituzionale che sia espressione del coinvolgimento di tutti. Che vada alla ricerca di strumenti di vigilanza continuativa, esercitati dalla filiera che Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni compongono, e di collaborazione con le istituzioni preposte alla prevenzione e repressione delle attività delinquenziali e al ripristino della legalità, magari utilizzando ad hoc risorse messe a disposizione dall’UE per assicurare la necessaria sicurezza nei siti comunitari, soprattutto di quelli destinati ad iniziative produttive e occupazione.
C’è bisogno di un nuovo soggetto contrattuale, ma attenzione alla Costituzione
Proprio per questo motivo andranno ricercate soluzioni e risorse ad hoc da rinvenire nei bilanci regionali, già di per sé ingessati, perché già impegnati quasi tutti da consistenti ammortamenti di mutui accesi a copertura di debiti pregressi prevalentemente riguardanti la sanità.
A ben vedere, di fronte al problema/soluzione delle zone economiche speciali, che vede coinvolte tutte le Regioni del Mezzogiorno, spesso con necessaria condivisione «consortile» (ne è un esempio quella concretizzata tra Basilicata e una parte della Puglia) nasce la non affatto trascurabile esigenza di un governo territoriale interregionale che funzioni all’unisono. Non solo per quelle Regioni che hanno lo strumento Zes strutturalmente condiviso ma anche per quelle che ne godono autonomamente. Ciò allo scopo che venga ad insediarsi nel Meridione una filiera regionale che governi la gestione delle iniziative intraprese nelle rispettive Zes, tali da non comprendere in esse unità produttive che siano una la copia dell’altra ovvero in palese concorrenza tra loro. Un modo nuovo di rappresentare l’istanza regionale, al lordo delle Regioni a statuto speciale, ma anche quella della rete dei Comuni coinvolti, verso il Governo centrale e verso l’Ue, quasi da determinare l’esordio di una macroregione di scopo che sia, non solo il superamento delle attuali improprie concorrenze e rivalità, bensì la determinazione di una contrattualità forte, nuova all’ordinamento domestico e comunitario. Una soggettività forte, sia sul piano istituzionale che politico, atteso che gli attuali Governatori assumono appartenenze diverse, capace di insediare processi politico-istituzionali di indiscutibile sostegno al loro sviluppo, che di occupazione conseguente e, con questo, di circolazione di ricchezze a tutto beneficio del terziario. E ancora. Possa costituire un interlocutore unitario con il Ministero del Sud che, seppure senza portafoglio, potrà rendersi testimone costante della relativa istanza nel Consiglio dei Ministri.
In una tale ottica, sono ovviamente da disdegnare creazioni di fantasiose organizzazioni partitiche nate sotto l’egida di attuali cariche istituzionali, del tipo partito dei sindaci e/o dei governatori, che – sotto le spoglie di una impropria novità – sarebbero la palese reiterazione di quanto ha già fallito più volte nel nord, oltre che essere in evidente antitesi con la Costituzione sotto diversi profili di illegittimità.

*docenti Unical

Questo contributo è l’anteprima di un articolo a firma di Enrico Caterini ed Ettore Jorio che uscirà venerdì su “Management locale”

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