REGGIO CALABRIA Padroni della città, delle strade, dei locali. Si sentivano e forse si sentono tali i giovani rampolli del clan Tegano, per anni indisturbati e molesti protagonisti delle notti reggine, funestate da risse, irruzioni, devastazioni, minacce e pestaggi. Per alcuni di quegli episodi però, i magistrati hanno iniziato a presentare il conto. Ai domiciliari per questo è finito Giovannino Tegano, nipote dell’omonimo boss, e giovane leva del casato di Archi.
GIOVANNINO E LE ANSIE DI GRANDEUR In molti lo ricordano fra i più giovani protagonisti delle devastazioni in stile Arancia meccanica che hanno funestato la movida notturna nell’estate del 2016, ma per adesso è un altro l’episodio che da oggi lo confina dentro casa. Risale al 28 maggio del 2017, una serata quasi estiva a Reggio Calabria. La movida non si è ancora spostata nei locali a mare e i più si danno appuntamento nei due o tre noti (autoproclamati) lounge bar del centro cittadino. Giovannino – così lo chiamano i suoi per distinguerlo da parenti e cugini più grandi in una famiglia in cui i nomi si ripetono come le condanne – è più piccolo degli avventori medi, ma si sente grande.
UNA MANOVRA DA DIMENTICARE Con il macchinone d’ordinanza arriva a forte velocità di fronte ad uno dei più affollati ritrovi del centro. Vuol farsi notare, vedere, si vuole mostrare, e forse per questo o più probabilmente per imperizia, sbatte contro il marciapiede di fronte al locale. Esattamente lì dove in tanti si fermano a chiacchierare con o senza drink in mano. Dal gruppo più vicino qualcuno gli fa segno di star calmo e andare piano, perché i cocktail non scappano e il locale neanche, e in ogni caso non vale la pena investire qualcuno per avvicinarsi di più al bancone. Ma per Giovannino Tegano è un affronto. O forse un modo per far dimenticare agli scagnozzi che erano con lui la magra figura rimediata sbagliando clamorosamente un parcheggio.
«NON SAI CHI SONO IO» Baldanzoso scende, si avvicina al malcapitato, lo spintona e gli urla contro «Non sai chi sono io? Sono Giovanni Tegano». Come se fosse un lasciapassare per qualsiasi genere e tipo di comportamento. E poi giù insulti e invettive, condite da una chiave piantata nel collo del malcapitato come un coltello. Attorno gli scagnozzi ridono, spalleggiano il Teganino che si sente boss. Intorno, gli avventori tutti muti, tutti in silenzio. Che si sappia, nessuno reagisce, nessuno chiama la polizia.
MINACCE E PESTAGGIO Il malcapitato viene costretto a rimanere fuori, gli viene sequestrato il cellulare e viene costretto a non allontanarsi, guardato a vista dagli amici di Giovannino Tegano, che nel frattempo entra a farsi servire un cocktail. Dopo, annuncia magari sentendosi minaccioso, affronterà la questione. Ma deve cambiare programma. Da fuori, lo avvisano che l’uomo che ha osato dirgli di stare attento urla e protesta, chiedendo a chi c’è di chiamare le forze dell’ordine. Tegano jr esce, cerca – senza riuscirci – di colpirlo con calci e pugni di fronte allo sguardo allibito degli astanti, poi mentre la sua vittima si butta a terra per sfuggire ai colpi, viene convinto ad andare via. Ci sono troppi testimoni – gli consigliano – è meglio evitare guai.
VIOLENZA PRIVATA AGGRAVATA DALLE MODALITÀ MAFIOSE Ma poco più di un anno dopo, i guai si sono presentati alla sua porta sotto forma di un’ordinanza di custodia cautelare domiciliare per violenza privata aggravata dalle modalità mafiose, chiesta dal pm Walter Ignazzitto e concessa dal gip di Reggio Calabria, all’esito delle indagini della Squadra mobile, che analizzando i filmati delle videocamere ed ascoltando le dichiarazioni degli avventori presenti quella sera hanno ricostruito “l’impresa” di Giovanni Tegano jr. L’ennesima.
LA RISSA CON I PIANOTI Del resto, nonostante la giovane età, Giovannino è un vecchio cliente per gli uomini della Mobile. C’era anche lui fra i Teganini finiti al centro di un’altra indagine per episodi di violenza avvenuti nelle noti lunghe dell’estate reggina. I fatti risalgono all’estate del 2016. I “Teganini” e una banda di “pianoti”, altro branco di coetanei considerati vicini ai clan della Piana, erano venuti alle mani in pieno centro cittadino per un complimento alla ragazza sbagliata. Uno scontro feroce, durante il quale era saltato fuori anche un coltello, andato in scena sul lungomare, e interrotto solo dall’intervento di due poliziotti in borghese, massacrati dai due gruppi che hanno dimenticato le divergenze per scatenare la loro violenza contro i due uomini. Occhi pesti, nasi rotti, trauma cranico, contusioni al bacino, alle costole, contusioni nella regione addominale.
I TEGANINI Anche quel giorno i Teganini si sono dileguati prima dell’arrivo in forze degli agenti, ma le telecamere hanno filmato le loro imprese. E loro, attivissimi sui social fra tag e giuramenti di fratellanza, amore e comparato, hanno finito per confermare le ipotesi degli investigatori. E già nell’informativa alla base di quell’indagine, Giovannino si è guadagnato i suoi cinque secondi di celebrità. Non è lui il capo della banda, il ruolo spetta al cugino più grande, Mico Tegano dotato di un carisma criminale «fuori dal comune che, nonostante la sua giovane età gli garantisce il massimo rispetto sia da parte dei suoi fiancheggiatori, che dai soggetti estranei alla propria organizzazione». Ma il cuginetto Giovanni, figlio di Bruno e di quella donna resa nota dal disperato urlo «uomo di pace» che ha rotto il silenzio davanti alla Questura da cui usciva ammanettato Giovanni Tegano, gli fa da secondo. Sono loro – sostengono gli inquirenti e affermano gli investigatori – a guidare un gruppo che per almeno due anni ha terrorizza la città.
FRA VIOLENZE ED OMERTÀ Una traccia delle loro “imprese” si rinviene nelle carte dell’operazione Eracle, dove si parla chiaramente di un «gruppo malavitoso di 40 persone, tutti facenti parte della zona di Archi, i quali durante le serate organizzate del sabato sera entravano con violenza e forza aggredendo il personale ed in alcuni casi ferendolo gravemente, distruggendo quanto trovavano davanti ed asportando le casse coi relativi incassi». La notte reggina da tempo aveva individuato con precisione i protagonisti di violenze e risse, ma ufficialmente nessuno ha mai visto niente, nessuno ha mai detto niente. Persino proprietari e gestori dei locali visitati dal branco hanno preferito tacere, derubricando a “perfetti sconosciuti” quelli che regolarmente occupavano – e spesso a sbafo – i loro tavoli.
IL RICHIAMO DEL PADRONE? Poi le violenze si sono fermate, forse non casualmente in corrispondenza di importanti scarcerazioni e il ritorno sulla scena di nomi pesanti dei clan di Archi. Da circa un anno, i Teganini non si fanno né vedere e né sentire, obbedienti sembrano aver risposto in maniera solerte al richiamo del padrone. Si fanno vedere fra locali e privè, ma sembrano impegnati a non farsi notare, quanto meno dai più. Magistrati e investigatori però non li hanno dimenticati. E per le notti durante cui hanno terrorizzato la città adesso presentano il conto.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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