MILANO Fino a pochi giorni fa appartenevano alla movida milanese. Ora restano soltanto tre vetrine impolverate, mensole vuote, un bancone deserto e una grande cornice, ultima traccia di un maxischermo. È lo scenario del “Gio & Cate” di via Mulino delle Armi 23. Nessun cartello spiega il motivo della repentina chiusura. Così come succede per il “Ballarò” di piazza 25 aprile, una rosticceria siciliana di solito aperta fino a tarda notte.
Due locali uniti da una storia comune e da una società, la “Milano by night”, proprietaria del bar di via Molino delle armi. L’amministratore – secondo quanto racconta il Corriere della Sera – è Aurelio Modaffari, socio di minoranza con il 25% delle quote. Stessa percentuale di Davide Lombardo. Il 50% è invece nelle mani di Francesco Palamara, 34 anni, anche lui calabrese. Lombardo e Modaffari sono soci anche in un’altra società, la Gecos, che gestisce il Ballarò.
Niente da rilevare, fino a qualche tempo fa. Poi Milano, per prima in Italia, ha avviato un protocollo tra Direzione investigativa antimafia, Prefettura e Comune. E ora gli investigatori dell’antimafia (con il supporto della Dda) effettuano verifiche sulle attività private identiche a quelle che si fanno per gli appalti. In caso di legami con i clan, la Prefettura emette un’interdittiva antimafia e chiede al Comune la revoca della licenza (Scia) per «mancanza dei requisiti morali». Lo stesso provvedimento che ha colpito, dieci giorni fa, il lussuoso ristorante «Unico Milano» di via Achille Papa (leggi qui).
In sostanza non c’è alcuna inchiesta su Palamara, Modaffari e Lombardo e i provvedimenti che riguardano i locali hanno solo carattere amministrativo. La Dia, però, ritiene che ci siano forti e fondati legami con ambienti mafiosi. Francesco Palamara, quattro anni fa è stato denunciato per favoreggiamento del narcotrafficante (e cugino) Santo Morabito catturato ad Africo dai carabinieri. Morabito è nipote dello storico boss Peppe ‘u Tiradrittu ed era stato coinvolto nell’inchiesta milanese Dionisio del 2009. Gli investigatori annotano legami con la ‘ndrangheta anche per Aurelio Modaffari che, come precisano i carabinieri in una informativa, non risulta organico alle cosche ma «ha precedenti penali e di polizia» e sarebbe «vicino» ad esponenti del clan Morabito-Palamara-Bruzzaniti. I militari, nel corso degli anni, lo controllano in compagnia di esponenti e parenti del clan Morabito e anche con il boss Giuseppe Ferraro, alias il professore. La Dia scopre i suoi rapporti con un altro potentissimo clan calabrese, quello dei Barbaro-Papalia di Platì. Sua nipote è infatti la compagna del figlio di Domenico Trimboli, detto Micu ‘u Murruni, esponente del clan Barbaro-Papalia di Buccinasco e Corsico. Il terzo socio, Davide Lombardo, invece, è nato e cresciuto a Milano. Il suo nome però compare in un’inchiesta della Dda sul clan Barbaro-Papalia per le sue frequentazioni con Rosario Barbaro e con il figlio di Antonio Papalia. Nell’indagine Parco Sud si parla anche di un prestito di 40 mila euro (senza chiedere garanzie) che Lombardo elargirà all’amico poco tempo dopo averlo conosciuto proprio in un locale di corso Como.
E dire che proprio Modaffari e Lombardo, intervistati nel 2017 dal quotidiano il Giorno, si lamentavano della sicurezza nell’area in cui sono situati i locali di loro proprietà: «Non passa notte in cui non si verifichino borseggi, furti, rapine». Stando ai provvedimenti di queste ore, neanche a Milano tutto è come sembra.
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