“Capre”, “capicolli”, “biciclette”, “pacchi”, “auguri”. Nelle conversazioni fra i trafficanti e gli uomini dei clan di ‘ndrangheta della Locride e della Piana emerse nell’ambito dell’inchiesta “Arma cunctis” (qui l’articolo), ogni nome in codice era lecito per coprire domanda e offerta. Per mesi, gli investigatori hanno monitorato conversazioni telefoniche e ambientali, aspettando il momento giusto per agire e far saltare “gli acquisti” gestiti da quell’organismo che per la ‘ndrangheta tutta – emerge dalle carte – si è occupato di procurare e far girare armi di ogni genere.
Mitra, fucili, pistole anche di grosso calibro, offerte e scambiate come figurine, spiegate dai trafficanti come aspirapolveri ultimo modello, e agognate dagli acquirenti come un pezzo raro. Oppure “ordinate”, come da catalogo.
CAPRE FRANCESI, MALTESI E SICILIANE «Sentimi qua…le capre tue che sono francesi? Di che marca sono?» chiede uno degli uomini della rete ad Arilli, al vertice dell’armeria allargata dei clan. «Eh marca Pietro Beretta, sono Siciliane…di quelle Siciliane» risponde affrettandosi a giurare e spergiurare sull’ottima qualità dell’articolo, salvo poi tentare di dirottare l’acquirente, o meglio il “procacciatore d’affari” da lui delegato, su un’arma di provenienza maltese. «Digli che c’è una che è una cosa, una “martese”…una “martese”». Sentendo le perplessità dell’uomo, rilancia «digli che è buonissima nuova… non ce ne sono come queste cose».
IL PESO DELL’ESPERIENZA Nel mondo dei clan, la parola di Arilli ha un peso a testimonianza di una lunga esperienza nel campo. L’uomo che lo ha contattato cede, dice che il misterioso acquirente è disposto a vederle. Arilli incassa la trattativa andata a buon fine. «Entro questa sera – gli comunica il procacciatore d’affari – ti chiamo che ora sono qua…lo chiamano a lui…se vuole venire questa sera viene e se li vede ed è capace che se li prende tutti se vi mettete d’accordo».
«DOVE ARRIVA LA PISTOLA NON ARRIVA IL MITRA» Arilli è un venditore, piazza armi micidiali come se fossero abbonamenti o cialde di caffè. Mostra competente il campionario che i fornitori gli mettono a disposizione, media fra fornitori e acquirenti, convince gli indecisi e concorda rate e condizioni di pagamento. «Vedi che questo ha pure 17 colpi non è che…il mitra è una cosa e la pistola è un’altra cosa, dove arriva la pistola non arriva il mitra– dice ad un compratore titubante e poi lo tenta- adesso tu ti fai due conti… pensa che gli puoi fare anche due assegni, non ci sono problemi»
KALASHNIKOV A RICHIESTA E come tutti i venditori, Arilli studia il mercato insieme ai suoi “colleghi”, cui può chiedere di tutto e in modo che arrivino in fretta. Inclusi i kalashnikov. Arilli ne ha bisogno ma non può aspettare, per questo non si rivolge ai fornitori della Piana dove pare abbondino. «Trovare dalla parte della Piana si trovano …come vuoi» dice a Domenico Zucco, ritenuto organico ai Cataldo, ma soprattutto fra i più attivi “agenti” dell’armeria dei clan. È a lui che chiede dei kalashnikov, ma prima vuole sapere il prezzo.
«SONO COME L’ORO» Zucco non si scompone. «A me – quasi si vanta – devono portare quelle cose…due Kalashnikov nuovi nuovi nuovi…costano un occhio della testa vogliono duemilaquattrocento euro l’uno…duemilaquattrocento euro…però se riesco a venderli…hai capito?…non è che se li pagano…se riesco a cacciarli…per guadagnare qualche cento euro io altrimenti…capisci». E assicura «Sono come l’oro…se li stanno tenendo come l’oro perché sono rari…hai capito?».
PEZZI RICERCATI I due parlano sfogliando una rivista di armi. E anche Zucco sembra voler mostrare di sapere il fatto suo. «Sai cosa vanno cercando? – chiede ad Arilli – queste vogliono, guarda» dice forse indicando un’immagine sul giornale. E poi parte ad elencare pistole dalla potenza devastante. «7.65, 9×21, la 7 Parabellum, la 38 Special, la 38 a canna lunga e a canna corta…eh 9×21 tutte pistole semplici hai capito?…non vanno cercando armi…questo qua chi è che ce l’ha se lo vende si prende tre o quattromila euro» alludendo a misteriosi fornitori di Gioia Tauro.
TUTTI VOGLIONO IL FUCILE D’ASSALTO Questo qua – sospettano gli investigatori – è un fucile mitragliatore di fabbricazione americana. A quanto pare nella top ten dei desiderata degli uomini dei clan. «A chi ha i soldi glielo da e ti saluto» assicura. Ma non è l’unico “articolo” facile da piazzare. «Doppiette, sovrapposti, automatici questi si prendono…ora sai cosa stanno andando pari pari Pe? Le doppiette…sai come le vogliono queste cazzo di doppiette?» dice, neanche fossero articoli in saldo al discount. Ma Arilli ci tiene a puntualizzare «Io ce l’avevo uno come questo…il Thompson calibro 45». Un mitra capace di sparare centinaia di colpi al minuto, per giunta affidabile persino in condizioni non ottimali e per questo adottato dall’esercito Usa.
«QUESTE NON SERVONO PER LA CACCIA» Un’arma difficile da trovare, ma che anche Zucco e il padre, insieme a lui pienamente inserito nella struttura di approvvigionamento di armi e munizioni a disposizione dei clan, hanno “In catalogo”. «Questo ce l’ha mio padre…ora non so com’è combinato…sai cosa ho Pe buona buona buona?…una 9 Luger nuova nuova nuova…a sedici…o sedici o diciotto colpi…ma sai cos’è Pe? Una cannonata» rilancia Zucco. «È militare…è dei carabinieri…è quella dei carabinieri il manico di legno» spiega. E tutti sono perfettamente consapevoli dell’uso a cui i vari “pezzi” sono destinati. «Questi qua – dice Zucco, commentando alcuni fucili ricevuti da Arilli. solamente per uso…per fare male a qualcuno in modo brutto ecco…non è che servono per andare a caccia».
L’ARMERIA DEI CLAN Non minore disponibilità di armi mostra, nel corso delle conversazioni intercettate, Antonio Lizzi, anche lui considerato al vertice del “servizio di armeria” messo a disposizione dei clan. Per il gip, è «veramente impressionante il numero di armi e munizioni di cui questi tre indagati sono riusciti a rifornirsi in maniera stabile per venire incontro a qualsiasi tipo di esigenza venisse loro rappresentata e, quindi, incessantemente destinate alla vendita clandestina». Elementi che per il giudice bastano a provare l’ipotesi centrale al centro dell’indagine: l’esistenza di una struttura in grado di gestire le interlocuzioni con soggetti diversi, e probabilmente non tutti calabresi, necessarie per garantire ai clan una continua disponibilità di armi. Una sorta di agenzia. Fino ad oggi mai individuata.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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