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L'«odio accecante» dei Di Grillo-Mancuso contro i Vinci

Secondo il gip di Vibo alcuni degli arrestati per l’autobomba di Limbadi sarebbero mossi da «inaudità spietatezza, disumanità e crudeltà d’animo». Le «mire espansionistiche» sui terreni, la logica …

Pubblicato il: 29/06/2018 – 17:51
L'«odio accecante» dei Di Grillo-Mancuso contro i Vinci

VIBO VALENTIA Non c’è solo il concreto e attuale pericolo «di analoga replica criminosa», o il rischio di inquinamento probatorio, nelle motivazioni con cui il gip di Vibo ha disposto il carceere per i coniugi Di Grillo-Mancuso, la figlia Lucia e il genero Vito Barbara. C’è anche una descrizione della personalità degli indagati che, secondo il giudice, sarebbe caratterizzata da «inaudità spietatezza, disumanità e crudeltà d’animo». Tratti «talmente allarmanti e inquietanti» da superare il divieto del carcere per chi ha più di 70 anni, come Domenico Di Grillo, o per chi è madre di bambini che hanno meno di sei anni, come la figlia Lucia.
Il gip Gabriella Lupoli non ha convalidato il fermo (qui la notizia) delle sei persone coinvolte nell’inchiesta sull’omicidio di Matteo Vinci, 42enne di Limbadi ucciso da un’autobomba il 9 aprile scorso, ma ha contestualmente emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 4 indagati (Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso, la figlia Lucia e suo marito Vito), disponendo invece la scarcerazione di altri due, Salvatore Mancuso (fratello di Rosaria) e Rosina Di Grillo.
L’ODIO E LA TERRA Rosaria Mancuso – sorella dei boss Giuseppe “Mbrogghjia”, Diego “Mazzola”, Francesco “Tabacco” e Pantaleone “L’ingegnere” –, la figlia Lucia e il genero sarebbero secondo il gip «quantomeno gli ideatori, pianificatori, organizzatori del micidiale agguato» che è costato la vita a Matteo Vinci e ha ferito gravemente il padre Francesco. Dalle intercettazioni confluite nelle indagini dei carabinieri e della Dda di Catanzaro, annota il giudice, emerge il «profondo, accecante odio» nutrito in particolare dai tre indagati per i vicini, i Vinci-Scarpulla, definiti spesso «cancro» e destinatari di «improperi e auspici di morte ovvero progetti di uccisione». E riguardo alla «fondamentale» collaborazione alle indagini della madre di Matteo, Rosaria Scarpulla, il gip sottolinea che gli indagati verso di lei «continuano a nutrire un profondo ed insanabile odio» progettando anche la sua uccisione qualora lei e il marito non avessero compreso «la lezione impartita».
Tutto nasce da una controversia trentennale di terreni confinanti e di limiti contesi. Gli arrestati sarebbero mossi dalla «logica dell’accaparramento» mediante l’assoggettamento «alla supremazia, indiscutibile e incontrastabile, dei Mancuso». E chi provava a resistere, come i Vinci-Scarpulla, andava combattuto e punito «anche mediante gesti estremi, eclatanti e “terroristici”» per dimostrare il controllo sul territorio e la sudditanza della collettività.
LE AGGRESSIONI Secondo gli inquirenti quello dei Di Grillo-Mancuso contro i Vinci-Scarpulla sarebbe stato un vero e proprio tentativo di estorsione concretizzatosi con «atti di inaudita violenza» come quello della brutale aggressione del 30 ottobre 2017. Una vicenda, quest’ultima, per cui sono accusati i coniugi Di Grillo-Mancuso e il genero Barbara, che avrebbero minacciato Francesco Vinci con una rivoltella per poi aggredirlo con ascia e forcone. In questo caso, rileva il giudice, la versione fornita dalla vittima è confermata dal ritrovamento di un’arma del tutto simile e dall’intercettazione «magniloquente» in cui Barbara racconta il fatto parlando con la moglie.
Poi c’è anche l’episodio che risale al marzo del 2014, per il quale però il gip scagiona per mancanza di prove Salvatore Mancuso – «arduo» immaginare che possa avervi partecipato viste le sue condizioni fisiche – e Rosina Di Grillo, «più defilata rispetto all’attivissima e agguerrita sorella Lucia».
GLI INTERROGATORI I coniugi Di Grillo, la figlia Lucia e il marito Vito sono difesi dall’avvocato Giuseppe Di Renzo. Rosina Di Grillo è invece rappresentata dall’avvocato Francesco Schimio e Salvatore Mancuso dall’avvocato Giovanni Marafioti. Davanti al giudice per le indagini preliminari Domenico Di Grillo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lucia invece, rendendo spontanee dichiarazioni, ha sostenuto che la “storia” dei terreni sarebbe ingigantita dai Vinci-Scarpulla, che avrebbero a suo dire inventato e mistificato i termini della questione.
Rosaria Mancuso si è detta estranea ai fatti: a suo dire il limite tra i rispettivi terreni è solo in parte recintato, in ogni caso facilmente superabile, e i Vinci-Scarpulla avrebbero spesso sconfinato e costruito sul confine. Stando alla sua versione e ai documenti depositati dalla difesa si tratterebbe dunque di contese reciproche su due distinte porzioni di terreno. La donna ha poi sostenuto di non essere stata proprio presente all’aggressione del 30 ottobre 2017, ma il gip non ha ritenuto credibile la sua versione.
Anche Vito Barbara ha respinto le accuse e ha affermato di non aver alcun motivo di contrasto personale con i Vinci, anche se è «a conoscenza della loro intenzione di sottrarre la terra al suocero». Sulle intercettazioni che lo riguardano, Barbara ha provato a fornire delle spiegazioni – intendeva dire che la suocera avrebbe dovuto pagarlo per quanto è disponibile nei suoi confronti, che a Domenico Mancuso diceva che voleva tutelarsi dalle calunnie, che con la moglie commentava notizie e indiscrezioni giornalistiche – ma il gip ha ritenuto la sua versione «totalmente inidonea a porsi come alternativa esplicativa credibile».
LE CONCLUSIONI DEL GIP Secondo il giudice Lupoli, invece, proprio dalle intercettazioni si ricavano una serie di elementi che «confermano inequivocabilmente le indebite mire espansionistiche sul terreno dei Vinci da parte dei Mancuso-Di Grillo». Si tratta delle conversazioni che rivelano la preoccupazione degli indagati per la presenza di telecamere che abbiano potuto riprendere il passaggio di Barbara, così come il compiacimento e le rassicurazioni di quest’ultimo che spiega di aver studiato tutto nel minimo dettaglio; e poi l’attenzione per le notizie giornalistiche e lo stallo delle indagini; quindi l’interesse per le condizioni del sopravvissuto, Francesco Vinci – «non serve neanche che ce lo pulizzamu» – e, infine, le considerazioni «sull’omertà sovrana sul territorio»: «Anche se qualcuno sa non parla».
Il giudice conferma poi che quando Vito Barbara e Lucia Di Grillo accennano al dover dire la verità «a lui» i due si riferiscono a Domenico “The Red”, figlio di Diego Mancuso, che ha battezzato una delle figlie della coppia. E che nei dialoghi tra Rosaria e il nipote Domenico “The Red” «la donna implicitamente ammette le proprie responsabilità».
Infine, il metodo mafioso contestato agli indagati secondo il gip non è dimostrato dalla presunta “benedizione” che il boss “Zio ‘Ntoni” (classe 1938) avrebbe dato all’omicidio – l’espressione sarebbe riferita non a Rosaria ma al suo interlocutore Domenico – bensì dall’escalation criminosa, dalle «agghiaccianti» modalità dell’attentato con l’autobomba, dall’orgoglio di Rosaria di appartenere alla “famiglia”, e dal «compiacimento manifestato per l’ossequio riservatole in carcere dagli altri detenuti per il fatto di essere una Mancuso».

Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it

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