ROMA Simbolo della legalità in Calabria, l’imprenditore Nino De Masi che domani incontrerà Luigi De Maio al ministero dello Sviluppo Economico è stato tra i primi a denunciare la criminalità organizzata nella piana di Gioia Tauro. Anzi, lo fece per primo il papà e fondatore dell’azienda di famiglia, Giuseppe, e poi lui ha continuato la battaglia. Da oltre cinquant’anni è titolare della ditta che porta il suo cognome e che produce macchine agricole. Nei primi anni del Duemila denunciò anche le principali banche italiane per usura in una battaglia giudiziaria che continua ancora oggi.
L’imprenditore-simbolo della rivolta al pizzo in Calabria ha lamentato negli anni ritorsioni da parte degli istituti di credito nei suoi confronti, con mutui e finanziamenti negati a lui e ai suoi dipendenti. Nel 2007 portò alla sbarra il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, il presidente della Bnl, Luigi Abete, e l’ex presidente della Banca Antonveneta, Dino Marchiorello. Tutti i vertici vennero poi assolti, ma con le banche costrette a rispondere civilmente dei danni arrecati alla ditta di De Masi. Sempre nel 2007 sottoscrisse un protocollo d’intesa con Libera di don Ciotti, che da sempre si batte al suo fianco. Vive sotto scorta ormai da quasi vent’anni, con un presidio armato dell’esercito davanti alla sua officina. Ritorsioni, minacce e anche ordigni esplosivi hanno segnato la sua vita da sempre. Nel 1990, raccontò lui stesso, una bomba esplose mentre il fratello passava con il motorino sotto casa. «Si salvò per miracolo», raccontò. Il prossimo 6 luglio, con una manifestazione pubblica nel suo stabilimento, presenterà il “Progetto Gioia Tauro” rivolto a nuovi prodotti e ad un nuovo sistema di impresa legata al territorio nel solco della legalità.
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