REGGIO CALABRIA Di fronte ad accordi bilaterali e intese internazionali, le leggi nazionali soccombono. Se Rocco Morabito sperava che potessero aprirgli le porte del carcere, è destinato a rimanere molto deluso. Detenuto in Uruguay dal settembre 2017, quando l’arresto in un lussuoso albergo di Montevideo ha interrotto un’ultraventennale latitanza, il re della cocaina nella Milano degli anni Ottanta aveva presentato istanza di scarcerazione.
QUESTIONE DI ACCORDI A farlo sperare, erano state le modifiche normative recentemente introdotte nel Paese latinoamericano in cui è detenuto, che in attesa della sentenza sull’estradizione, gli avrebbero permesso di accedere a misure alternative alla detenzione, come il divieto di avvicinarsi ai confini nazionali, il ritiro dei documenti validi per l’espatrio e la cavigliera elettronica. Ma il giudice Dolore Sanchez ha detto no e la sentenza con cui ha rigettato l’istanza del narco italiano sembra tagliare la strada anche ad ogni possibile appello. La sua sorte (giudiziaria) non è determinata solo dal codice penale uruguayo, ma anche accordi bilaterali di cooperazione giudiziaria fra Italia e Uruguay.
MORABITO RIMANE IN CARCERE Per questo, a Morabito toccherà attendere il carcere il pronunciamento del giudice sulla richiesta di estradizione avanzata da tempo dalle autorità italiane. Un risultato accolto con soddisfazione dal procuratore generale di Reggio Calabria, Bernardo Petralia, dal procuratore capo della Dda Giovanni Bombardieri, dai carabinieri, dal dirigente dell’Ufficio di cooperazione giudiziaria internazionale penale del Ministero, Stefano Opilio e dalla rappresentanza diplomatica in Uruguay.
ROCCO IL BRASILIANO Quando il 3 settembre 2017 è stato arrestato, Morabito era per tutti Francisco Antonio Capeletto Souza, facoltoso imprenditore, attivo nel settore dell’import-export e nella coltivazione intensiva di soia, dall’elevato tenore di vita, brasiliano d’origine, ma da oltre 12 anni residente in Uruguay. In realtà, del Brasile è originaria la sua storica compagna, mentre le radici di Rocco sono ben salde fra i monti (e la ‘ndrangheta) di Africo vecchio.
PARENTELE DI PESO Figlio di Domenico Morabito e Carmela Modafferi, nipote di Antonio Mollica e parente del temuto boss Peppe “Tiradritto”, Morabito ha lasciato la Calabria a 25 anni. Destinazione, Milano. In valigia, un soprannome curioso, “U Tamunga”, forse dovuto al fuoristrada militare Dkw Munga con cui pare scorrazzasse per le strade della Jonica, e i contatti e i denari dello storico casato mafioso cui appartiene.
LA GIOVENTÙ DORATA (E INNEVATA) DI TAMUNGA Sotto la Madoninna, Morabito si è mischiato alla gioventù dorata milanese. Frequentava il bar Biffi, i locali della galleria, di piazza Diaz. E strutturava le reti del traffico che avrebbe permesso di inondare Milano di cocaina. Poi è arrivata l’inchiesta Fortaleza e lui è stato costretto a diventare un fantasma. Inseguito da un mandato di cattura per traffico internazionale di stupefacenti, che per gli inquirenti proprio a Fortaleza aveva il proprio snodo centrale, U Tamunga si è fatto vento e di lui per lungo tempo non si è saputo più nulla. In Uruguay – hanno ricostruito gli investigatori – Morabito è arrivato nel 2002, per installarsi a Punta del Este, una delle località più esclusive del Paese e per di più in una villa – con piscina, ovviamente – nei pressi del quartiere di Beverly Hills, scopiazzato in tutto e per tutto dall’omonima città californiana. Una latitanza dorata durata più di 20 anni.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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