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«L’insostenibile leggerezza della propaganda»

di Nicola Fiorita*

Pubblicato il: 08/07/2018 – 19:54
«L’insostenibile leggerezza della propaganda»

Nel giugno del 1998 un giovane Sergio Abramo presentava alla stampa il resoconto del suo primo anno da sindaco di Catanzaro. L’Italia disputava i mondiali in Francia, c’erano Bobo Vieri, Nesta e Di Biagio, non esistevano i social né gli smartphone, Beppe Grillo faceva ancora il comico, l’Università Magna Græcia non era ancora a Germaneto, la stazione di Sala non era ancora dismessa, Pantani vinceva il Giro, la Lega era un partito nordista e razzista e Catanzaro sognava il proprio rilancio.
Venti anni dopo (Lega a parte) è cambiato praticamente tutto, ma Sergio Abramo è ancora lì, a parlare da sindaco ai giornalisti e alla città delle trasformazioni attese nei prossimi anni. Basterebbe solo questo per chiudere la partita, ma la conferenza stampa dell’altro giorno apre alcune questioni e ne disvela altre che meritano di essere messe a fuoco.
In primo luogo, Abramo ha portato a compimento una complessa strategia di accaparramento di meriti altrui, riempiendo le proprie slide e la propria narrazione di progetti su cui non ha alcun titolo. È l’ultimo atto di un processo lungo, iniziato con una corposa sequela di attacchi al presidente della Regione accusato di ogni nefandezza, compresa quella di ignorare deliberatamente Catanzaro, sebbene fosse già ampiamente nota la predisposizione di alcuni importanti progetti che riguardavano il capoluogo. Quegli attacchi servivano ad Abramo per presentarsi all’opinione pubblica come il difensore della città e, soprattutto, per riconnettere il successivo riconoscimento dell’impegno della Regione alla propria azione di denuncia. Questa seconda fase si è conclusa con il famoso consiglio comunale aperto, nel quale Abramo ha sì dovuto acconsentire alla celebrazione del presidente Oliverio ma ha contestualmente affiancato a quel riconoscimento l’esaltazione del proprio ruolo. Il messaggio da far passare, insomma, era che i finanziamenti e i progetti regionali esistevano non a prescindere o nonostante Abramo, ma anche grazie ad Abramo. Terminata questa intestazione di merito, Abramo ha potuto dispiegare l’ultimo pezzo della propria strategia, ricominciando ad attaccare Oliverio, di nuovo additato a nemico della città prodigo di attenzioni solo per Cosenza, questa volta con l’intento di farne scomparire i meriti e, conseguentemente, di lasciare sul campo solo se stesso. Ed ecco la conferenza stampa che celebra la conclusione del processo di accaparramento, il cui messaggio di fondo, per quanto banale, può lentamente incistarsi nella pancia dei catanzaresi: Oliverio è il cattivo, è sempre stato un nemico di Catanzaro, ci sono tanti progetti per la città, è ovvio che essi esistono non anche grazie ad Abramo ma solo per merito di Abramo. Il capolavoro narrativo di falsificazione della realtà è compiuto e l’attività di Oliverio può essere definitivamente sussunta nell’alveo del centro destra catanzarese ed essere utilizzata per iniziare a fare campagna elettorale contro Oliverio.
Ma l’operazione in oggetto ha anche un altro obiettivo, non meno rilevante, ed è quello di nascondere i fallimenti dell’azione di governo delle amministrazioni guidate da Abramo. Nel momento in cui il sindaco si appropria di programmazione e finanziamenti non suoi, egli sembra dire alla città e alla Calabria che il suo principale compito è realizzato, quando invece il suo lavoro inizia esattamente da quel punto in poi, perché è sull’amministrazione cittadina che ricade il compito di coordinare questi interventi, di portarli a volte a compimento, di garantirne l’efficacia e la sostenibilità. Ma l’azione amministrativa di Abramo è un disastro: i cantieri del nuovo depuratore sono fermi, la scuola Mazzini è abbandonata, l’ente fiera è un pasticcio, la rete idrica un colabrodo, l’esternalizzazione del verde è stata precipitosamente rivista, Giovino è un rebus, la sicurezza una chimera, il centro storico un deserto. Parlare di cantieri futuribili, insomma, è anche un modo per non parlare del presente e della realtà, che poco si presta a lanciare una candidatura alla presidenza della Regione.
E veniamo, così, all’altro punto nodale delle dichiarazioni di Abramo, il quale sostiene che il prossimo Presidente della Regione deve essere un catanzarese, ribadendo, se ce ne fosse bisogno, le proprie ambizioni personali. Ancora una volta il messaggio è banale ma subdolo e va aggredito per prima cosa sul piano della verità, ricordando ad Abramo e ai catanzaresi quanto debole sia stato l’appoggio del centro destra cittadino alla candidata catanzarese Wanda Ferro, quanto il richiamo alla catanzaresità sia stato bypassato quando si trattava del candidato cinque stelle Cantelmi, e quanto lo stesso Abramo e i suoi compagni di viaggio si siano spesi per il reggino Peppe Scopelliti contro il catanzarese Loiero. Come dire che l’esaltazione del campanilismo, di per sé pericolosa, diventa del tutto ridicola quando si manifesta ad elezioni alterne.
Perché, per l’appunto, quello che è davvero curioso è che Abramo riconduca la propria rivendicazione ad un mero dato di alternanza campanilistica, senza corroborare la propria richiesta di alcuna motivazione collettiva, di alcun progetto innovativo, di alcuna dignità politica. Eppure, Catanzaro per molti decenni ha rivestito una centralità non meramente geografica, ma anche per l’appunto politica, solidamente ancorata alla presenza di una classe dirigente meno rapace di altre e più propensa ad avere uno sguardo e una sensibilità complessive sulla regione, con ciò apparendo capace di garantire quei delicati equilibri che gli interessi territoriali mettono costantemente a rischio in una regione come la nostra. Proprio come per secoli era accaduto in Vaticano, dove solo gli italiani venivano considerati dotati di quella visione universale che serviva a guidare la Chiesa, i catanzaresi hanno interpretato questo destino fin quando una nuova generazione di politici, gli Abramo, i Tallini, i Ciconte su tutti, hanno sostituito a quella vocazione la logica primitiva dell’amico/nemico che è evidentemente incompatibile con un’azione di guida saggia e condivisa.
Quel che serve alla Calabria, piuttosto, è una leadership che sappia coniugare una visione alta, europeista e mediterranea (senza cui non è più possibile alcun riformismo illuminato) con la buona amministrazione (senza cui nessun progetto va in porto) e con quella credibilità che la maggioranza degli elettori ormai esige in maniera non negoziabile.
Quel che servirebbe a Catanzaro, infine, è un Sindaco. Un Sindaco che pensi alla città e non a se stesso, che si distingua per i fatti e non per la propaganda, che eviti di trascinare Catanzaro in una campagna elettorale permanente ed incerta e la ricollochi invece nel ruolo che ha saputo svolgere per decenni. Un Sindaco che abbia voglia di fare il sindaco più che il candidato a qualunque cosa lo possa condurre lontano dal ruolo e dalle responsabilità per cui appena un anno fa ha chiesto il voto ai catanzaresi.

*Capogruppo di “Cambiavento”

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