In presenza di condizioni di forte disagio collettivo, del tipo quello che si vive in Calabria, ove il massimo del peggio si raggiunge sul tema dell’assistenza alla persona, c’è la corsa alle candidature, spesso autopromosse. Non solo per proporsi in postazioni politiche dominanti, divenute direttamente appetibili con la scomparsa dei partiti tradizionali, bensì anche nel ruolo di risolutori. Cioè di quelli che si offrono quale rimedio a tutto, senza tuttavia spiegare come e facendo cosa.
Tra poco più di un anno (autunno 2019), salvo una inedita proroga che porterebbe i calabresi al voto nella primavera 2020, si sceglierà il nuovo governatore. Non solo. Il nuovo Consiglio regionale che, si spera, venga meglio di quanto sia quello di oggi, atteso il suo cattivo esempio, nonostante alcune presenze di rilievo.
Siamo già al via!
Si aprono, pertanto, le danze. Più precisamente, le candidature e, con esse, le solite rivendicazioni territoriali. Funzionali ad esse, le altrettante solite «briscole», che in tanti mantengono da tempo in tasca per poi giocarle nei momenti topici.
Questo è quanto è dato rilevare, spesso prematuramente rispetto alle naturali scadenze elettorali. Ciò che manca sono le corrette sceneggiature e gli attori attrattivi, produttori del necessario appeal e della dovuta credibilità. Al secolo, mancano – per gli uscenti – le necessarie autocritiche dalle quali si farebbe bene a ripartire e per tutti, vecchi e nuovi di zecca, i programmi, sui quali individuare le distinzioni e, di guisa, operare le scelte.
I modelli in competizione
Tra tutti, si evidenziano tre tipologie di possibili candidati. Quelli che si ripropongono, chi a ragione e chi con una grande faccia tosta. Quelli, ancora, che fanno timidamente capolino dietro le quinte, in attesa della defaillance del più probabile di oggi. Quelli, infine, che sostengono pubblicamente il capo, meglio quello riconosciuto come tale, salvo prendere il suo posto in presenza della solita sua discesa verticale di consenso, cui a volte in tanti contribuiscono sospingendo all’ultimo momento l’interessato verso il dirupo.
Il mutato scenario
Sulla scia del successo del populismo e del coma irreversibile dei partiti storici, prevale il fascino del civismo politico, cui attribuire verosimilmente il governo della cosa pubblica. Quella formula che passa per la formazione di un nuovo soggetto, per l’appunto, politico, alternativo non solo ai partiti bensì ai movimenti d’impeto solitamente incapaci di amministrare in modo diverso dalle vecchie logiche di apparato ovvero capaci di farlo ma inconcludentemente.
Insomma, il ricorso alle liste civiche rappresenterà il modo nuovo di concepire la politica regionale e la raccolta del consenso che si, dice, di volere attrarre nella consapevolezza della proposta. Proprio per questo dovrà individuare candidature forti, ineccepibili ed esemplari nel modo di concepire il servizio pubblico. E ancora. Caratterizzate da una forte ragionevolezza nelle scelte e nei rapporti nonché dalla propensione a ricercare la condivisione più allargata possibile sui grandi temi, soprattutto di quelli che sono funzionali a rivoltare la Calabria come un calzino. Ebbene sì, alla nostra regione ciò che serve non è il generico cambiamento bensì la sua rifondazione.
Al bando i vecchi criteri e gli antichi metodi
Da qui, la necessità – senza con questo fare specifico riferimento alla pretesa rappresentata dal sindaco Abramo di un prossimo governatore catanzarese, che ovviamente non condivido come precondizione – di auspicare una radicale trasformazione delle metodologie selettive. Ciò al fine di realizzare il prossimo anno la migliore competizione elettorale che porti alla altrettanto migliore presidenza della Regione.
Tante le cautele da adottare, tutte tendenti ad evitare il peso delle appartenenze, delle provenienze e delle solite vicinanze.
Di certo, non dovrà (e potrà) contare il solito apparentamento con i poteri forti regionali, così come non dovrà essere affatto condizionante il luogo di origine, spesso tenuto in considerazione in quell’assurda pretesa sociale di dovere far ruotare l’eletto tra appartenente alle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria.
Il sogno e le sciocchezze
La Calabria ha bisogno di unità per concretizzare il suo risorgimento. Per farlo le occorre il miglior sindaco. Quel primo cittadino eletto in regime di competizione elettorale che, una volta proclamato governatore, lo sia di tutti indistintamente.
Guai a pensare il contrario.
Peggio supporre di dividere la regione e i calabresi a seconda delle realtà geografiche di appartenenza. Si continuerebbe a perpetrare quella lotta suicida che ha impoverito tutti, ricorrendo a quei criteri di divisione del poco per non realizzare nulla di strutturale, di durevole e seriamente produttivo, così come invece contribuì a fare Giacomo Mancini senior (il calabrese per una Calabria senza province) che, nonostante qualche suo errore di progetto, generò crescita e regalò gli investimenti dei quali ancora godiamo.
Sarebbe drammatico fomentare rivalità territoriali, dalle quali poi emergono solitamente i peggiori. Quelli che sogliono accontentare tutti, disperdendo risorse e occasioni, per passare poi al facile incasso del consenso di chi è condannato a morire povero e diseredato
In conclusione, ben venga il migliore da qualunque parte arrivi purché abbia la capacità di erigersi ad attore della rifondazione delle Calabrie.
*docente Unical
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