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«Nel clan Cacciola due generazioni in conflitto»

Il procuratore capo della Dda di Reggio Giovanni Bombardieri spiega i meccanismi interni alla cosca reggina. Erano pronti a darsi “alla macchia” per sfuggire alla cattura

Pubblicato il: 09/07/2018 – 17:49
«Nel clan Cacciola due generazioni in conflitto»

REGGIO CALABRIA Stavano pensando di sparire. A breve la Cassazione si pronuncerà su diversi processi in cui sono imputati e nessuno di loro voleva farsi sorprendere da un verdetto potenzialmente negativo. Per questo motivo la Dda, guidata da Giovanni Bombardieri, ha deciso oggi di procedere con il fermo di 31 uomini accusati a vario titolo di essere parte della famiglia Cacciola e delle sue filiazioni.
IL DELITTO ALLA BASE DELLA SCISSIONE Un tempo clan unico, cresciuto all’ombra della potentissima cosca Bellocco, è stato spezzato in due e diviso da un delitto in parte ancora avvolto nel mistero. Alla base, l’amore clandestino, soffocato nel sangue, fra Franca Bellocco, nipote del boss Pietro, e Domenico Cacciola. Lei è stata uccisa dal figlio, per questo arrestato nel 2015. Di lui invece, si sono perse le tracce. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma per gli inquirenti è una certezza, Domenico Cacciola è una delle tante vittime di lupara bianca.
LE DUE ANIME DEI CACCIOLA La sua scomparsa però ha pesato – e non poco – sugli equilibri interni alla famiglia. «Nel clan Cacciola – dice il procuratore capo della Dda, Giovanni Bombardieri – c’erano due anime. Una giovane che si riuniva attorno a Gregorio Cacciola, figlio di Domenico, e l’anima storica che faceva riferimento allo zio, federata con i Grasso».
https://www.youtube.com/watch?v=Efjz2gigbK4
DUE CLAN, UN OBIETTIVO Divise e l’una contro l’altra armate e pronte a fare fuoco, le due anime dei Cacciola avevano un intento comune: prendersi territorio e affari su cui i clan Pesce e Bellocco da tempo hanno mollato la presa a causa degli arresti e delle pesanti condanne che ne hanno decimato i ranghi. Pur di appropriarsene, hanno mostrato di essere pronte a sparare. «Le giovani leve dei Cacciola – spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci, che insieme al pm Adriana Sciglio ha coordinato l’indagine – volevano acquisire un nuovo ruolo. Grazie alle intercettazioni ambientali abbiamo capito che la sfaldatura è stata progressiva».
IL BLITZ (FALLITO) PER RIPORTARE L’ORDINE Il momento di esplosione palese della conflittualità fra i due rami di quello che un tempo era un unico clan è invece collocabile in maniera molto precisa. «Il 16 settembre scorso – riferisce il procuratore aggiunto Paci – un commando capeggiato da Gregorio Cacciola, figlio di Domenico, ha tentato di sequestrare, in pieno giorno a Rosarno, Salvatore Consiglio». Un blitz in piena regola pensato per riportare «l’ordine originario» all’interno del clan, fallito solo perché Consiglio ha reagito sparando. «È il classico modo di operare di una ‘ndrangheta che ha bisogno di acquisire credibilità – commenta Paci – egemonizza il territorio per poi egemonizzare anche alcuni settori economici». Legali e illegali.
IL TRAFFICO DI DROGA Cresciuti alla scuola dei Bellocco, entrambi i rami della famiglia Cacciola non hanno avuto difficoltà a farsi strada. Soprattutto gli scissionisti, rafforzati dall’inserimento nei propri ranghi degli uomini della famiglia Grasso, «attivissimi – spiega il procuratore Giovanni Bombardieri – nell’organizzare il traffico di sostanze stupefacenti e in grado di tessere e gestire i rapporti anche con altre cosche della ionica reggina, come quelle di San Luca. Grazie al loro appoggio, il clan ha acquistato ingenti quantità di cocaina, nell’ordine di centinaia di chilogrammi». Dalle indagini, è emerso che i Cacciola- Grasso hanno importato oltre tre quintali di cocaina pura al 94% dalla Colombia ed oltre cinque quintali di hashish dal Marocco, poi piazzati da una rete di pusher sulle piazze delle grandi città del nord Italia.
BOMBE «CHE FANNO VIBRARE IL PAESE» Sfrontati, pericolosi, entrambi i rami della famiglia avevano enormi disponibilità di armi, sequestrate sia nel corso delle indagini e sia questa notte, durante l’esecuzione del blitz. «Erano sempre pronti a qualsiasi azione armata – spiega il comandante del Gruppo carabinieri di Gioia Tauro Andrea Milani – e nascondevano le pistole persino negli alloggiamenti degli airbag delle autovetture. Il gruppo “Cacciola-Grasso” aveva persino disponibilità di potenti ordigni esplosivi, così potenti, dicevano intercettati, “da fare vibrare tutto il paese”». Tutto “merito” di Giovanni Ursetta, ufficialmente titolare di una fabbrica di fuochi di artificio, in realtà artificiere del clan.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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