REGGIO CALABRIA Bagno di folla, selfie, persino autografi. Se da neosenatore di Reggio Calabria, Matteo Salvini ha ricevuto a Rosarno un’accoglienza calorosa, tornato oggi da ministro dell’Interno a Palmi è stato ricevuto come una rockstar. In Calabria da ieri sera per partecipare a una luculliana cena con attivisti, votanti e simpatizzanti, dopo una corsetta sul lungomare (debitamente documentata dall’agguerritissimo staff armato di smartphone) e un incontro in Prefettura, il ministro dell’Interno si è presentato a Palmi per la consegna del palazzotto confiscato al clan Gallico.
L’ERGASTOLANA GUASTAFESTE A guastargli la festa, la 92enne Lucia Giuseppa Morgante, matriarca ergastolana del clan, che a suon di certificati medici ha strappato i domiciliari. E in quell’appartamento, su concessione del giudice di sorveglianza di Sassari, ha ricevuto i suoi figli, Domenico e Giuseppe Gallico, entrambi detenuti al 41 bis in un carcere sardo. «È incredibile che lo Stato spenda migliaia di euro per permettere a delinquenti ergastolani di venire a incontrare la loro madre altrettanto delinquente ed ergastolana». E anche lei, promette, dovrà sloggiare. «Il posto giusto per gli ergastolani – sottolinea – è la galera». Lì, in quel palazzotto, ci deve essere solo il commissariato. «Ci vorranno ancora un paio di mesi – spiega Salvini –. Per risistemarlo ci vogliono due milioni di euro, ma li troveremo. E questo posto lo riempiremo di divise, anche al primo piano». È lì che abita Lucia Giuseppe Morgante. A svelarne la presenza sono tende inamidate e piante curate sul balcone, ma oggi non si fa vedere.
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«IL 15 AGOSTO TORNERO’ IN CALABRIA» Qualche piano sopra di lei, il ministro Salvini pontifica: «La ‘ndrangheta è una merda, un cancro, che si è allargato a tutta l’Italia. Io però sono testone e continuerò a combatterla fino a che non avremo portato via anche le mutande a questa gente» dice convinto, promettendo di tornare presto «in prima linea» in Calabria. «Mentre altri ministri il 15 agosto sono chiusi nel loro ufficio a fare il bilancio di quanto fatto, io – afferma – sarò qui». E al prefetto Michele di Bari, che lo segue passo passo, dice «vorrei andare chiaramente nel capoluogo, ma anche, non so, magari a San Luca».
DEPUTATI INGOMBRANTI Dichiarazioni e annunci che sembrano pensati per strappare applausi, ma che non consentono al ministro di dribblare una serie di (scomode) domande. Su cui preferisce glissare. Così fa a chi gli chieda del neodeputato leghista, nonché coordinatore regionale calabrese, Domenico Furgiuele e del suo ingombrante suocero, l’imprenditore condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso Salvatore Mazzei, per questo destinatario anche di un provvedimento di sequestro dei beni. Insieme alla figlia, che di Furgiuele è la moglie.
«NON E’ INDAGATO, QUINDI…» «Se le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, figuriamoci quelle dei suoceri» si limita a dire Salvini, a cui non sembra importare molto neanche delle informative che danno conto della generosa ospitalità del suo ascaro calabrese. Secondo un pentito, nell’hotel del neodeputato avrebbe soggiornato un membro del commando che il 6 luglio 2012 hanno ucciso Davide Fortuna. Per la vicenda, Furgiuele non è mai stato indagato. «E allora di cosa stiamo parlando? – dice Salvini – Quando, e se, ci saranno dei fatti sarò il primo a intervenire per allontanare questa gente a calci nel sedere». Ma per adesso – sostiene – si tratta solo di illazioni.
https://www.youtube.com/watch?v=LvognMdz6Kw
I 49 MILIONI SPARITI «Fantasie» sarebbero anche le inchieste degli ultimi mesi di Repubblica e dell’Espresso, che hanno svelato le inquietanti presenze ai comizi di Salvini, il suo trait d’union con l’area della destra reggina un tempo scopellitiana, le vie tortuose che avrebbero seguito i 49 milioni di euro che i magistrati stanno cercando ancora di sequestrare alla Lega. «Non ci sono più, rassegnatevi», dice il ministro dell’Interno. Sono cose del passato e bisogna guardare al futuro per il ministro.
DIMENTICATOIO PER MIGLIO Per questo vanno spostate nel dimenticatoio anche le tesi dell’ideologo e fondatore del Carroccio Gianfranco Miglio, che nel 1999, in un’intervista a “Il Giornale” teorizzava: «Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ’Ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». Per Salvini «cose da guerre puniche». Dice.
IL MINISTRO «TRA LA GENTE» Più recenti invece potrebbero essere stati i contatti, magari involontari, con gente poco raccomandabile. È il caso degli uomini dei Bellocco e dei Pesce, nascosti fra la folla a Rosarno, o del boss pentito Annacondia, incrociato ad una cena elettorale. «Io incontro quotidianamente alcune migliaia di persone, credo che voi siate tutte persone per bene, non conosco il vostro passato, presente e futuro» rivendica Salvini. «Io faccio il ministro in mezzo alla gente, facessi il ministro chiuso in ufficio non correrei alcun tipo di rischio. Farò di tutto per allontanare quelle merde che sono vicine alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra» ripete e poi, parlando di sé in terza persona afferma «Il ministro Salvini non sta in ufficio, incontra ogni giorno migliaia di persone sperando che siano tutte brave persone. Non posso chiedere il certificato antimafia a voi che avete una telecamera in mano – dice ai cronisti – né a quelli che stanno ad un comizio in piazza, in una chiesa, in un bar o in un ristorante».
LA PASSEGGIATA NEL GHETTO Un’elasticità che sembra non valere per i braccianti. «Se non hai i documenti, amico mio, la legge è la legge», dice ad uno dei braccianti che vive nel vecchio ghetto di San Ferdinando. Salvini ci entra blindato da un doppio cordone di antisommossa con tanto di scudi e caschi, più poliziotti in divisa e la sua scorta personale. Una breve passeggiata, durante la quale un piccolo gruppo dei ragazzi che lì è costretto a vivere, solo alla fine riesce ad avvicinarsi per scambiare qualche parola con il ministro. Gli indicano le baracche, gli parlano della mancanza di acqua e servizi, della condizione di sfruttamento nei campi. «Ma voi, ragazzi, dovete denunciare», li blandisce Salvini, mentre inizia a montare la contestazione di un piccolo gruppo, che urla al ministro di andare via dal ghetto. La scorta si innervosisce, il cordone di agenti si stringe attorno al ministro, i braccianti vengono allontanati e il gruppone istituzionale trotta verso la nuova controllatissima tendopoli.
«DIRITTI PER I BRACCIANTI SI, MA PRIMA GLI ITALIANI»È lì che Salvini annuncia «chi ha i documenti e può avere un’altra scelta si sposterà da un’altra parte», promettendo di smantellare a breve la baraccopoli. Per il resto, si vedrà. «Chi ha diritto a rimanere in Italia ci deve stare con tutti i diritti e i doveri degli altri cittadini. Siccome ci sono cinque milioni di italiani in povertà vengono prima loro per casa e lavoro. Non ci sono vie privilegiate se stai in una baraccopoli di San Ferdinando». Quel ghetto a suo dire è il risultato «di anni di immigrazione incontrollata e caos. Sono arrivato da 40 giorni, posso limitare gli sbarchi, aumentare le espulsioni e andare a svuotare queste baraccopoli. Il mio obiettivo è che a fine mandato non ci siano più altre San Ferdinando da visitare». Un breve incontro con gli operatori del campo, un giro fra le tende, e per Salvini torna ad essere il momento dei selfie.
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MAGLIETTE ROSSE INDIGESTE A salutare il ministro c’è un piccolo, combattivo gruppo di volontari in maglietta rossa. “Restiamo umani” urlano. Salvini li ignora e a chi gli chieda un commento al riguardo, si limita a dire «ognuno è libero di vestirsi come vuole, io oggi ho preferito il bianco per il caldo». Ma il suo agguerritissimo staff pochi minuti dopo posta sui social un video che ritrae il piccolo gruppo, con post velenoso a corredo «Magliette rosse” incontrate oggi, fate ciao ciao! P.s. La DISUMANITÀ è quella di chi ha permesso negli anni scorsi un’immigrazione senza controllo e senza freni, che crea nuovi schiavi sfruttati dalla criminalità organizzata e situazioni vergognose come la tendopoli di San Ferdinando, visitata oggi. OCCORRONO limiti, regole, ordine, rispetto e civiltà».
IL SALUTO AI BRIGADIERI L’ultima tappa della giornata reggina di Salvini è sull’autostrada Salerno -Reggio Calabria, di fronte alla stele che commemora i brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi nel gennaio ’94 dalla ‘ndrangheta per certificare la propria partecipazione alla strategia degli attentati continentali. A svelarlo è stata l’inchiesta del procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che per quel duplice omicidio e altri attentati ha portato a processo i boss Rocco Filippone e Giuseppe Graviano. Ma gli attentati contro i carabinieri – sostengono i magistrati – sono stati solo una fase di un piano eversivo complesso, che negli anni precedenti era stato portato avanti con la costruzione di leghe regionali, incaricate di spezzare in due l’Italia per regalare alle mafie una nazione.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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