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Reale 6, condanna confermata per l'ex consigliere regionale Zappalà

Per i giudici d’Appello l’ex politico avrebbe comprato il sostegno elettorale del clan Pelle in occasione delle Regionali 2010

Pubblicato il: 11/07/2018 – 23:09
Reale 6, condanna confermata per l'ex consigliere regionale Zappalà

REGGIO CALABRIA Condanna confermata anche in appello per l’ex consigliere regionale Santi Zappalà. Imputato nel processo Reale 6, l’ex politico si è visto confermare la pena a 4 anni e 3 mesi già rimediata in primo grado per aver cercato e pagato il sostegno elettorale del clan Pelle alle regionali del 2010. Quattro anni di carcere sono stati invece confermati per Giuseppe Antonio Mesiani Mazzacuva e Antonio Pelle, mentre la Corte ha assolto Domenico Arena e Vincenzo Pesce, entrambi condannati in primo grado a 5 anni di reclusione.
Anche per i giudici dell’Appello dunque, i tre condannati sono parte del progetto mafioso di corruzione elettorale mirato a beneficiare Santi Zappalà, reso possibile dal clan Pelle che ha nel boss Peppe il suo capo. Un passaggio non di secondaria importanza dopo la sentenza della Cassazione che, in relazione alla vicenda che era costata i primi processi all’ex consigliere regionale, aveva messo in discussione la mafiosità della famiglia Pelle. Tesi superate dalle sentenze emesse nel procedimento Reale 6. Per i giudici, Zappalà, per ottenere «una straordinaria affermazione elettorale» in occasione delle elezioni per il Consiglio regionale della Calabria nel 2010, avrebbe messo a disposizione dei Pelle e di altre cosche della ‘ndrangheta, complessivamente, 400mila euro.
Una compravendita ricostruita anche grazie alle “indicazioni” involontariamente fornite da Giuseppe Mesiani Mazzacuva nel corso dell’interrogatorio di garanzia seguito al suo primo arresto. Senza che alcuna contestazione gli venisse mossa al riguardo, l’imprenditore si è affrettato a specificare che la somma di centomila euro cui si faceva cenno nelle conversazioni intercettate, in seguito riscontrata grazie a una scrittura privata trovata nel corso delle perquisizioni, sarebbe stata da ricondurre non ad un prestito – come immaginato dai pm e in quel documento falsamente affermato – ma alle attività politiche nella Locride dell’allora aspirante consigliere regionale. Una traccia importante per gli investigatori, che non ci hanno messo molto a incrociarla con i contatti con la cosca Pelle.

a. c.

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