Due gli eventi recenti – oltre alla cronica dilagante disoccupazione che ci priva dei nostri giovani – che suggeriscono la presa di coscienza reale delle condizioni di disagio della Calabria dalle quali i Governi, nazionali e regionali, devono partire per fare buona programmazione. Essi riguardano il giudizio negativo della qualità della vita vissuta e lo stato di assoluta precarietà dell’assistenza socio-sanitaria.
Dalla definitiva conferma delle pessime condizioni di vivibilità della Calabria, ove i cinque capoluoghi di provincia non vanno al di sopra dell’85° posto su 110 (la peggiore Reggio Calabria e la migliore Crotone), si comprende benissimo sia il perché dell’esodo costante dei calabresi verso altre destinazioni e lo scarso appeal che la nostra regione esprime nei confronti delle imprese. Meno male che c’è il mare che, con i suoi 750 km di costa, continua ad attrarre qualcuno ancorché maltrattato di brutto in termini di tutela ambientale.
Dal rapporto annuale della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica, nel confronto con le altre regioni la Calabria della salute perde decisamente, e di brutto. È come se i sette anni di piano di rientro/commissariamento ad acta avessero riguardato altri e non noi. È come se i cinici risparmi assicurati attraverso il blocco del turnover, unitamente alle «severità» gestionali e ai «puntuali» controlli dei due tavoli romani, avessero inciso sulla bonifica del sistema sanitario della Groenlandia e non in quello attivo tra lo Stretto e il Pollino.
Insomma, le misure di contenimento (alcune delle quali assurde) e l’esercizio del potere sostitutivo del Governo hanno prodotto poco o nulla, salvo la promessa venduta a destra e manca dei 3 (4 o 5) ospedali, fermi alla prima pietra, quando va bene.
DELLA PERSONA NON FREGA NULLA AD ALCUNO A ben vedere, quanto alla cura della persona, considerata nel suo essere unitario e collettivo, in Calabria siamo ancora al peggio, con tendenza ad un ulteriore decadimento nel rapporto con pubblici poteri dai quali pretendere le prestazioni essenziali.
La qualità della vita è già segnatamente scadente, al netto dell’incidenza della criminalità organizzata e della corruzione che caratterizzano l’andamento della Pa, attesa l’infimo livello dei servizi pubblici offerti, che arrivano ad essere del tutto assenti nelle periferie.
Il sistema della salute che, al di là delle rare eccellenze che si stanno concretizzando in alcune aziende ospedaliere, assume oramai da tempo le sembianze di un colabrodo, con un territorio lasciato in balìa di se stesso e con i cittadini obbligati ad elemosinare qualche attenzione.
A fronte di tutto questo? Il nulla!
Qualche eccezione da parte della protesta istituzionalizzata, che lamenta – quando è visibile – ciò che non va. Ma la cosa si ferma qui.
MANCA IL PROGETTO COMPLESSIVO Nel progetto di miglioramento della qualità della vita e di reinsediamento di una sanità che sappia fare il suo mestiere occorre per l’appunto il progetto! E che progetto!
Fare ciò che si è fatto sino ad oggi è strage dei diritti sociali. Decantare i mancati diritti senza sapere, supponendo di assolvere ai propri doveri istituzionali, equivale a violare il principio di Einaudi «conoscere per deliberare». Così facendo equivale a trascinare la soluzione all’infinito, così come hanno fatto tutti. Con questo, rendersi complici dello spopolamento della nostra stupenda regione, bruciare il futuro ai giovani, abbandonare i bisognosi al loro destino e, spesso, produrre morti innocenti.
Occorre porsi il problema di rifondare la Calabria. Avere il coraggio di affrontare la soluzione anche di lungo periodo parlando chiaro ai calabresi meno fortunati (quelli di oggi) convincendoli del loro dovere di sopportare in favore di quelli che avranno una migliore sorte (quelli di domani e di dopodomani). La qualità del sociale, del vivere comune che assicuri i diritti di cittadinanza rappresentano un obiettivo arduo. Certamente di medio periodo. In quanto tale dovrà essere perseguito e conseguito per risultati intermedi che favoriscano un soddisfacimento in progress dei bisogni lamentati da decenni.
LE RIFORME STRUTTURALI GARANTI DELLA SALUTE Quanto più specificatamente alla sanità, essa deve passare da coraggiose riforme strutturali. L’attuale impianto del Servizio sanitario regionale è obsoleto. Lo è sin dalla sua ideazione. Ciò perché progressivamente effettuato con il metodo peggiore. Quello della semplice acritica divisione aritmetica che fa felici (!) tutti. Quanto al territorio: dalle 22 Usl alle 11 Asl, da queste ultime alle attuali 5 Asp. Quanto, invece, all’assistenza ospedaliera confermando le quattro AO a suo tempo nate per non fare torto ad alcuno dei tre capoluoghi, passando sopra a requisiti strutturali (ancora) non posseduti e a servizi obbligatori (ancora) non garantiti.
IL SUGGERIMENTO Concludendo, alla politica, di qui che altrove, il compito di:
– impegnarsi a privilegiare la stesure dei progetti rispetto agli urli di una denuncia fine a se stessa, ahinoi sempre sulla bocca di tutti. Conseguentemente, il problema c’è. Una volta posto deve essere risolto. Non farlo significa fare peggio di chi lo ha prodotto (sempre Einaudi dixit);
– parlare con chiarezza ai cittadini differenziando chiaramente i tempi di realizzazione dei cambiamenti da quelli dei sogni irrealizzabili;
– astenersi dalle guerre inutili, spesso affrontate per assumere postazioni dominanti per esercitare al meglio le solite attività clientelari;
– lavorare, infine, per una assistenza socio-sanitaria che rispetti la persona e contribuisca a restituirle quella dignità che le manca da sempre.
*docente Unical
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