Davanti al gup del Tribunale di Catanzaro si sta celebrando il processo “Borderland” che vede imputate circa 50 persone, la gran parte delle quali accusate di aver costituito o partecipato a un sodalizio mafioso. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’attività d’indagine avrebbe consentito di svelare – tra l’altro – l’esistenza di due cosche di ‘ndrangheta, quella dei Trapasso di San Leonardo di Cutro, nel Crotonese, e quella dei Tropea-Talarico di Cropani Marina, nel Catanzarese.
All’udienza del 23 luglio scorso gli avvocati Luigi Falcone e Francesco Iacopino, prima che iniziasse la discussione nel merito delle posizioni previste da calendario, hanno sollevato una delicatissima questione di legittimità costituzionale, originata dalla recente riforma che ha introdotto la partecipazione “virtuale” al processo di alcune categorie di imputati.
Per comprendere meglio la questione occorre fare un passo indietro. Il 4 luglio sono entrate in vigore le nuove norme che obbligano il giudice a disporre, in automatico, la partecipazione “virtuale” a distanza (e, cioè, in videoconferenza dal luogo di detenzione) degli imputati accusati di delitti di criminalità organizzata e sottoposti alla custodia cautelare in carcere. Fino al 4 luglio scorso, invece, la normativa prevedeva che fosse il giudice a dover valutare – caso per caso – se sussistessero «gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico», tali da giustificare la compressione del diritto dell’imputato di partecipare fisicamente al processo.
Ed è proprio contro l’automatismo introdotto dal legislatore che le difese hanno sollevato l’incidente di legittimità costituzionale, evidenziando come l’esclusione fisica dell’imputato dal processo, imposta per legge, che prescinda da una effettiva valutazione di pericolosità del singolo soggetto (tanto più se incensurato), si risolve in una compressione “orizzontale” e di “di principio” del diritto di difesa e, in particolare, del diritto di partecipare “realmente” al giudizio, come tale illegittima.
In altri termini, ad avviso dei difensori, non si può allontanare l’imputato dal “suo” Giudice, dal “suo” processo e dalla “sua” aula di udienza, sulla base di astratti automatismi slegati dalla verifica, nel caso concreto, di valide ragioni che rendano “giustificabile” nel bilanciamento degli interessi coinvolti il sacrificio imposto.
«In uno stato di diritto – hanno sostenuto i legali – il livello di civiltà giuridica si misura proprio in relazione al grado di compressione delle garanzie difensive dell’imputato. La previsione di una norma che renda “normale” e elevi a “regola” il cosiddetto processo “virtuale” per i soggetti accusati di alcune categorie di reati si pone, soprattutto se affidata a meri automatismi di principio, nel solco di una progressiva e ingiustificata erosione del diritto di difesa».
Citando sentenze della Corte Costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, i legali hanno evidenziato come con l’introduzione delle nuove norme risulterebbero a loro parere irrimediabilmente violati i principi costituzionali e convenzionali di eguaglianza e ragionevolezza, di non colpevolezza, il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio (nelle declinazioni dell’oralità e dell’immediatezza) e il diritto a un equo processo.
Peraltro, il tema, di grande attualità, ha avuto una vasta eco anche a livello nazionale, tanto che l’osservatorio “Doppio Binario e Giusto Processo” dell’Unione delle Camere Penali Italiane (che vede tra i componenti anche l’avvocato Carlo Petitto della Camera penale “A. Cantafora” di Catanzaro) non ha mancato di evidenziare con documenti ufficiali, pubblicati sul sito dell’Uucpi, i profili di illegittimità costituzionale denunciati in udienza dai penalisti catanzaresi.
Nell’esporre la questione gli avvocati Falcone e Iacopino hanno infine evidenziato che proprio la partecipazione fisica degli imputati a tutte le udienze celebrate fino al 4 luglio 2018, costruirebbe la cartina di tornasole della fondatezza della questione di legittimità proposta, dal momento che detta partecipazione fisica dimostrerebbe come il Tribunale, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, esercitabili prima delle imposizioni introdotte ex lege, abbia escluso l’esistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico tali da giustificare l’allontanamento degli imputati dal processo e la loro collocazione nella nuova “dimensione virtuale”. Allontanamento, invece, che il giudice ha dovuto disporre per le udienze fissate dopo il 4 luglio, perché imposto per legge.
Stante la delicatezza e complessità della questione il pm presente in udienza, Debora Rizza, ha chiesto un rinvio per le repliche. Il gup, Claudio Paris, ha rinviato all’udienza del 14 settembre 2018 per la discussione del pm e la decisione della questione.
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