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«Il Dl Dignità? L’urgenza è quella dei titoli sui giornali»

di Antonio Viscomi*

Pubblicato il: 25/07/2018 – 16:38
«Il Dl Dignità? L’urgenza è quella dei titoli sui giornali»

Pubblichiamo l’intervento del deputato calabrese Antonio Viscomi che ha parlato alla Camera, a nome del gruppo del Pd, illustrando le questioni pregiudiziali sul cosiddetto Dl Dignità presentato dal governo nei giorni scorsi.
Signor Presidente,
Il Partito democratico ha presentato una questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 96-bis, comma 3, del Regolamento, segnalando, allo scopo, la radicale non conformità del decreto 12 luglio 2018 n. 87 con i requisiti che la Costituzione e la giurisprudenza della Corte Costituzionale richiedono ai fini dell’esito positivo dello scrutinio di legittimità per l’adozione di un atto che, com’è noto, altera il normale equilibrio della funzione legislativa e che proprio per questo è sottoposto a principi, criteri direttivi e limiti temporali preventivamente definiti.
Per quanto qui interessa, i parametri di valutazione dell’azione governativa possono essere sinteticamente individuati in due, tra l’altro ben noti a questa Aula: l’esistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, da un lato, e l’accertata omogeneità materiale o teleologica dei contenuti del decreto.
Ad avviso del Partito Democratico entrambi i parametri risultano violati dal decreto in esame. Decreto ambizioso, Signor Presidente, almeno negli obiettivi esplicitamente individuati in premessa dal Governo, e che però ora costituiscono il metro necessario su cui misurare il rispetto dei parametri prima indicati, e dunque la straordinarietà delle ragioni per l’adozione del decreto legge e la sussistenza di una sostanziale omogeneità di contenuto regolativo. A dire la verità, Signor Presidente, il decreto è ambizioso quanto agli obiettivi, perché a dar conto della distanza siderale tra questi e gli effettivi risultati è sufficiente dare la parola ai lavoratori della Nestlé di Benevento. Proprio costoro, come è noto, si sono autodefiniti “le prime vittime del decreto dignità” in quanto da precari con contratto a termine sono diventati ora, grazie al decreto 87, disoccupati, per dir così, a pieno titolo.
In ogni caso, il Governo ha ravvisato le ragioni di necessità ed urgenza del provvedimento in tre ordini di motivi e cioè nell’affermata esigenza di:
a) attivare con immediatezza misure a tutela della dignità dei lavoratori e delle imprese, contrastando fenomeni di crescente precarizzazione, intervenendo sulle tipologie contrattuali e sui processi di delocalizzazione, salvaguardando i livelli occupazionali, semplificando adempimenti fiscali per professionisti e imprese;
b) introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia;
c) adottare misure ai fini del regolare inizio dell’anno scolastico 2018/2019.
Tre aree tematiche tra loro molto eterogenee, come è facile intuire, alle quali per la verità deve immediatamente aggiungersi una quarta area: mi riferisco all’art. 13 dedicato alle società sportive dilettantistiche, addirittura – e forse non a caso – confinato nel Capo V del decreto, dedicato alle “disposizioni finali e di coordinamento”. Ora, considerare l’intervento di radicale revisione di un settore di importanza strategica, sia sul piano sociale che su quello economico, a stregua di disposizione finale o addirittura di mero coordinamento, dimostra in modo evidente e plateale l’impossibilita di ricondurre il relativo contenuto precettivo a criteri di omogeneità, sia materiale che teleologica. E ciò senza considerare che il comma 5 del medesimo articolo interviene su materia di legislazione concorrente e quindi dovrebbe prevedersi un necessario coinvolgimento delle regioni.
Ne segue che l’eterogeneità dell’art. 13 rispetto al resto dell’articolato – anzi, la vera e proprio estraneità – è già di per sé sufficiente a far cadere il decreto sotto la scure costituzionale. Come infatti ricorda la Corte (ad esempio nella sent. 22/2012 e più recentemente nella sent. 170/2017), il semplice inserimento di una disposizione nel corpo di un decreto legge unitario non vale a trasmettere per ciò solo alla stessa disposizione il carattere di urgenza delle altre, in ipotesi già legate tra loro dalla comunanza di oggetto o finalità. L’urgenza, Signor Presidente, non si trasmette per propagazione. Inoltre, l’evidente estraneità delle norme sulle società sportive dilettantistiche appare ancora più stridente quando dal piano materiale si passi a quello teleologico, definito, in questo caso, dall’obiettivo di tutela della dignità dei lavoratori. Da questo specifico punto di vista, infatti, il venire meno del corredo di tutele assicurato dalla legge abrogata determina oggettivamente la reviviscenza di vecchie prassi gestionali che, nel vuoto normativo, sono state tradizionalmente segnate da lavoro nero o dal ricorso surrettizio a tipologie contrattuali meno tutelate o utilizzate in modo fraudolento.
Ad eguali, ed anzi più stringenti censure si presta l’art. 4, recante il differimento del termine di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali in materia di diplomati magistrali. In tal caso, il Governo, in realtà dovremmo dire: il datore di lavoro, interviene sul sistema ordinamentale modificando l’assetto normativo a proprio favore in corso di causa, al fine di ritardare l’esecuzione di una sentenza ad esso stesso, Governo-datore di lavoro, sfavorevole. A prescindere da ogni considerazione su tale impropria sovrapposizione di ruoli nonché sull’egualmente improprio tentativo di risolvere un problema organizzativo mediante l’estensione di regole e termini pensati invece per assicurare la tenuta del sistema contabile, è del tutto evidente che si tratta di una norma di mero rinvio, destinata ad essere reiterata tra quattro mesi e dunque ad anno scolastico già avviato con l’effetto conseguente di far evaporare l’obiettivo dichiarato dal Governo che pure vorrebbe assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico e la continuità didattica nell’interesse degli alunni.
Dunque, le norme sulle società sportive o sulla scuola segnalano con evidenza l’improprio ricorso governativo alla decretazione d’urgenza, rendono disomogeneo un insieme di disposizioni che la Costituzione vuole invece omogeneo per materia o per scopo, in quanto rivolto a dare risposta ad un “caso” di necessità ed urgenza, e trasformano il decreto legge, per usare le parole della Corte Costituzionale, in una “congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (Cost. 22/2012).
Esse, tuttavia, non costituiscono le colonne portanti del decreto in esame, che sono segnate, invece, dalle norme sul lavoro e sulle imprese e dalle norme per il contrasto alla ludopatia. Per quanto riguarda queste ultime, confesso di provare una particolare difficoltà, dal momento che proprio ieri, nel corso dei lavori in Commissione, la rappresentante del Governo ha evidenziato il carattere embrionale delle norme proposte che dovranno ancora essere meglio definite e articolate con successivi ed organici provvedimenti legislativi. Una dichiarazione di tal genere a me pare una sorta di confessione sull’inesistenza dei profili di necessità che giustificano l’assunzione di un provvedimento d’urgenza laddove invece, per la complessità del tema trattato, per la diversità plurale delle fattispecie giuridiche interessate, per gli intrecci non sempre chiari ma ormai indiscutibili con i sistemi criminali, per l’esistenza di un dialogo non sempre facile ma pure in corso tra livelli istituzionali che ha originato una specifica intesa in sede di Conferenza Unificata, l’ordinario procedimento legislativo è l’unico modo possibile per affrontare con matura consapevolezza un problema veramente drammatico nei suoi effetti sul piano personale, familiare, sociale e professionale. Al riguardo, e per evidenziare solo uno dei paradossi possibili, mi limito a ricordare l’incongruenza tra l’obiettivo proclamato dal Governo, di voler cioè contrastare la ludopatia per via del divieto di pubblicità, con quanto si legge nella stessa relazione tecnica a pag. 18, là dove si precisa che il divieto di pubblicità determinerà il classico effetto perverso e cioè l’invisibilità nel “settore dell’illegale” del gioco e degli operatori. Un problema reale e grave, Signor Presidente, al quale il Governo da una risposta sbagliata resa ancor più sbagliata dallo strumento prescelto sul piano della tecnica legislativa.
A censure non meno gravi si prestano le misure in materia di fiscalità. Di fatto, la mancata previsione di un termine entro il quale deve essere adottato il decreto attuativo necessario per assicurare la funzionalità del sistema di misurazione induttiva del reddito e soprattutto la mancata previsione di una perdurante vigenza della strumentazione attuale fino alla definizione della nuova, non consente di garantire la neutralità prevista dalla relazione tecnica in termini finanziari prima dello spirare dei termini di decadenza per gli anni di imposta 2016 e 2017. Se così è risulta minato alla radice il principio stabilito dall’art. 53 della Costituzione e di fatto si apre la strada ad un condono di fatto, non formalmente dichiarato. Condono da una parte, Signor Presidente, rischio di evasione dall’altro, per via di quanto disposto dall’art. 12 sullo split payment. In materia fiscale, il cambiamento del governo del cambiamento è veramente evidente: un ritorno al passato, che però non vuole proprio più passare. E che però si cerca di riportare in vita mediante un decreto d’urgenza in assenza evidente dei presupposti, cioè del “caso” richiesto dalla Costituzione per il ricorso urgente alla decretazione anziché dare vita ad una normale procedura legislativa, con i suoi tempi di discussione, di riflessione, di dibattito nello spazio pubblico che è e rimane l’elemento proprio di un sistema democratico.
Ma un ritorno al passato lo si ha pure con le norme in materia di lavoro, oggetto di interventi che avrebbero l’intenzione di contrastare la precarietà occupazionale, ma che invece stanno già determinando non l’eliminazione della precarietà ma la riduzione dell’occupazione. Non è questa la sede per entrare nel merito della discussione sulla seguente questione: se aver posto dei limiti causali e temporali alla stipulazione di contratti a tempo determinato sia di per sé azione idoneo a determinare un incremento dei contratti a tempo indeterminato. La risposta del Partito Democratico, ma in verità di tutti coloro che non sono soliti scambiare per realtà i propri desideri, è che per ottenere buona occupazione abbiamo bisogno di misure adeguate e mirate di riduzione stabile e strutturale del costo del lavoro, come quelle da noi proposte con specifici emendamenti rivolti a beneficio dei giovani under 30, dei giovani ricercatori per rendere competitive ed innovative le imprese, della platea universale dei lavoratori dipendenti. E tuttavia, proprio l’esigenza di porsi questa domanda dimostra l’inesistenza dei presupposti per l’adozione di un decreto legge. L’acclarata contraddizione tra gli obiettivi occupazionali posti a fondamento del decreto e i risultati negativi che tale decreto sta già producendo proprio sul piano occupazionale, peraltro già segnalati in anticipo nella relazione tecnica cui è seguita l’attenta e puntuale riflessione del Presidente dell’Inps in sede di audizione dinanzi alle Commissioni riunite, dimostrano in modo chiaro non solo l’assenza di una visione di sistema del mercato del lavoro – che sappia cioè coniugare le relative dinamiche con la regolazione dei rapporti individuali e collettivi di lavoro – ma soprattutto la non sussistenza dei requisiti di urgenza che soli legittimano l’assunzione di un decreto legge.
La mancanza di una visione di insieme e di una logica di sistema colpisce, Signor Presidente, anche le norme in materia di delocalizzazione, queste sì configurabili come una sorta di guazzabuglio in cui l’approssimazione concettuale e tecnica nella stesura delle norme, va di pari passo con la scarsa chiarezza negli obiettivi perseguiti. Per un verso, mi limito a segnalare – ma è solo un esempio – che più volte nel testo si parla di attività economica o parte di attività economica delocalizzata, laddove anche il codice civile per definire l’impresa non può che fare riferimento ad una attività organizzata per la produzione e dunque alla struttura materiale funzionale ad un risultato. Per altro verso, non si comprende se l’obiettivo è tutelare l’occupazione, sanzionare chi delocalizza, comprimere l’orientamento all’internazionalizzazione delle imprese italiane, limitare la presenza in Italia di imprese straniere.
Stando così le cose c’è veramente da chiedersi dove sta l’urgenza di intervenire su questioni delicate con norme pensate male e scritte peggio. A meno che l’urgenza non sia da individuare soltanto nel bisogno di qualche titolo di giornale, non occorre avere la sfera di cristallo per rendersi conto che l’introduzione nell’ordinamento di norme come quelle indicate produrrà conseguenze nefaste sull’occupazione, riducendola nella previsione più rosea di non meno di 8000 unità all’anno; sul sistema delle imprese, che sarà limitato nella sua capacità di competere nel mercato globale; sul sistema fiscale, che sarà sottoposto a tensioni chiaramente orientate alla rottura del fondamentale patto di lealtà tra cittadini e istituzioni; sul sistema scolastico, che continuerà ed essere regolato da provvedimento provvisori che rischiano di diventare definitivi; sul sistema del gioco d’azzardo, che rischia di essere lasciato in balia di interessi criminali.
Per tutti questi motivi, il Partito Democratico ritiene che non sussistano i requisiti costituzionali per l’adozione di un decreto legge, non la necessità e l’urgenza e neppure l’omogeneità materiale o teleologica delle norme dettate dal Governo. Per questo motivo il Partito Democratico chiede all’Aula di non procedere oltre nell’esame dell’AC 924. Grazie.
*deputato del Partito democratico

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