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«Fonti per la non autosufficienza, 15 milioni a rischio»

di Antonio Grimaldi*

Pubblicato il: 27/07/2018 – 11:49
«Fonti per la non autosufficienza, 15 milioni a rischio»

È veramente paradossale quello che sta succedendo nel settore dei servizi sociali in Calabria. Focalizzando la nostra attenzione sui ritardi dell’applicazione della legge 328/2000, abbiamo esteso la nostra ricerca anche sull’uso che in Calabria viene fatto delle risorse provenienti da fonti ministeriali e finalizzate alla creazione dei necessari servizi di assistenza ai soggetti non autosufficienti: anziani e disabili in condizione di gravità.
Abbiamo scoperto cose veramente assurde e incomprensibili a fronte di un bisogno grandissimo di intervento su situazioni di estremo bisogno in favore dei soggetti più poveri di tutti perché privati della propria autonomia da malattie o da eventi gravemente invalidanti.
Se a questo aggiungiamo l’endemica carenza di risorse economiche a cui sempre fanno appello le nostre istituzioni locali per spiegare la mancanza di servizi così essenziali, ciò che stiamo per raccontare appare davvero incomprensibile e direi quasi colpevolmente cinico.
Vengo a spiegarmi meglio: fino al 2013 le somme stanziate dal fondo nazionale per la non autosufficienza, venivano spese dai comuni in maniera “fantasiosa” senza oggettivi criteri a cui fare riferimento; l’ex assessore ai servizi sociali, Federica Roccisano, ha tentato di regolarizzare la situazione con la delibera di Giunta Regionale numero 464 del 12.11.2015 che oltre a destinare le risorse finanziarie del ministero, negli allegati stabiliva i comuni capofila degli ambiti territoriali e stabiliva le Linee guida per l’utilizzo di tali fondi.
Pertanto si decideva di assegnare agli ambiti territoriali intercomunali 7 milioni di euro stanziati con il decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali del 7 maggio 2014 .
Tali somme erano destinate alla realizzazione di servizi di assistenza domiciliare e al potenziamento dei centri diurni per persone con disabilità.
L’anno successivo, il 2015, il fondo per la non autosufficienza assegnava alla Calabria altri 8 milioni di euro con le stesse finalità: evitare l’istituzionalizzazione, favorire la permanenza nel proprio nucleo familiare del soggetto non autosufficiente, ma senza appesantire il carico di cura delle famiglie sostenendole con servizi di assistenza presso le proprie abitazioni e servizi di supporto all’esterno per favorirne l’integrazione sociale e il bisogno relazionale attraverso il potenziamento dei centri diurni presenti sul territorio, regolarmente autorizzati dalla regione e quindi in possesso dei requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla normativa vigente.
Il fondo per la non autosufficienza, al centro di polemiche nazionali ogni anno, ha continuato a stanziare i suoi fondi in maniera sistematica.
Ma sull’annualità 20014 le nostre ricerche hanno evidenziato l’assurdo: sono stati necessari ben tre anni ma finalmente, nel settembre 2017 la Regione Calabria ha accreditato ai comuni capofila le somme relative al 2014.
A quasi un anno di distanza però molti dei comuni capofila di distretto, non hanno ritenuto provvedere all’organizzazione dei servizi di cui sopra.
Adesso hanno i soldi in bilancio, hanno direttive chiare su come procedere e di chi avvalersi per fornire le prestazioni, forse che mancano gli utenti?
Forse gli ammalati, i disabili sono diventati così invisibili nella loro sofferenza muta e senza sceneggiature , da non venire più calcolati da chi, istituzionalmente, dovrebbe prendersi cura di loro. Con chi dobbiamo prendercela ora se il governo ha provveduto, la Regione ha provveduto, eppure loro sono distanti, non conoscono i volti di questi utenti, i loro nomi, le loro storie.
Il comune è l’Ente più prossimo, il più vicino al cittadino.
Cosa aspettano ancora i sindaci, gli assessori ai servizi sociali, i dirigenti di settore, i burocrati?
Chi sta male non ha tempo di aspettare, soprattutto non ha tempo da perdere. Dobbiamo arrivare così tardi da non trovarli più nelle loro case?
Dobbiamo ancora permettere che le famiglie intorno a loro “scoppino” nelle fatiche quotidiane che solo il loro amore e la pazienza riescono a tenere in piedi?
Dobbiamo arrivare a dover restituire allo stato le somme stanziate perché non siamo in grado di rendicontare la loro spesa per l’insensibilità o l’incompetenza dei nostri dirigenti e amministratori?
I soldi stanziati non sono molti ma neanche questi riusciamo a spendere?
Le annualità successive, infatti, non verranno accreditate se prima non saranno rendicontate le spese relative agli anni precedenti.
O forse dobbiamo pensare, ancora una volta, che quando in Calabria si scrivono regole da rispettare nella gestione della pubblica amministrazione, allora tutto si inceppa, l’ingranaggio si blocca perché la trasparenza di cui ognuno si riempie la bocca, può intaccare antiche alleanze di potere, le clientele, i privilegi?
Nell’articolo precedente sulle difficoltà di attuazione della riforma del welfare in Calabria sono stato accusato di essere troppo pessimista ma mi pare che i fatti raccontati oggi non inducano alla fiducia.
Forse uno scatto di consapevolezza della dignità del proprio ruolo istituzionale e professionale nella lontana cerchia di chi gestisce il potere, anche solo a livello locale, sarebbe necessario per smuovere una situazione stagnante e vergognosa che non riesce a sortire niente altro che sfiducia negli organi amministrativi e politici della nostra martoriata Regione.

*Componente Agci Tavolo tecnico regionale

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