REGGIO CALABRIA «Da nessuna delle condotte addebitate» all’ex sindaco di Scilla Pasqualino Ciccone «emergono elementi che inducano a ritenere che l’azione amministrativa fosse asservita agli interessi della criminalità organizzata». Con queste motivazioni il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di incandidabilità per l’ex primo cittadino della cittadina tirrenica, il cui Comune era stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel marzo scorso. Ciccone era l’unico esponente dell’amministrazione per cui il ministero dell’Interno aveva chiesto l’incandidabilità.
Il Tribunale, presieduto da Giuseppe Campagna, ha invece bocciato su tutta la linea le tesi del Viminale, all’epoca dello scioglimento guidato da Marco Minniti.
LE TESI DEL MINISTERO Secondo il ministero, il Comune di Scilla presentava «forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata» che avrebbero compromesso «la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione e il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica». Quanto a Ciccone, il ministero aveva sottolineato – tra gli altri aspetti – i suoi presunti rapporti con la criminalità organizzata di Scilla, irregolarità nell’assegnazione di alcuni lavori di somma urgenza e una deficitaria attività di riscossione dei tributi nei confronti della quasi totalità degli amministratori comunali. Il Tribunale ha però smontato pezzo per pezzo questo quadro accusatorio.
IL TRIBUNALE Per i giudici non appaiono «convincenti gli addebiti contestati dalla commissione di indagine in ordine ai rapporti di frequentazione con soggetti controindicati che avrebbe avuto l’ex primo cittadino, laddove è risultato che in 27 anni Ciccone è stato visto colloquiare con 6 persone aventi precedenti e/o parenti di affiliati». Questi dati, a parere del collegio, non possono essere considerati dirimenti, «poiché le ridotte dimensioni del Comune di Scilla determinano tanto inevitabilmente quanto fisiologicamente occasioni di incontro tra cittadini, pregiudicati e non, di talché sotto tale profilo a fondare una valutazione negativa occorre fornire ulteriori elementi che possano, per numero di incontri, per circostanze di tempo e di luogo, attribuire un significato in senso indiziario a tali incontri, così da far pensare a un rapporto che non sia riferibile a un normale incontro tra paesani, fondato su un neutro rapporto di conoscenza». Tra l’altro, «nessun legame parentale con famiglie malavitose risulta essere stato contestato all’ex sindaco».
I LAVORI PUBBLICI Sulle presunte irregolarità riscontrate nel settore dei lavori pubblici, il Tribunale è altrettanto netto: «Le risultanze processuali hanno evidenziato che nel periodo esaminato numerosi sono stati i lavori affidati con svolgimento di regolare gara e che il ricorso al sistema degli affidamenti diretti e per interventi di somma urgenza, ipotesi contestata a Ciccone, è avvenuto sempre nel rispetto dei limiti normativi (lavori non superiori a 40mila euro) e alla ricorrenza di situazioni di fatto di urgenza e come tali non procrastinabili». La difesa dell’ex sindaco, sul punto, ha anche dimostrato che nel 2016, proprio per evitare il continuo ricorso agli affidamenti diretti, era stata indetta la gara d’appalto per la manutenzione della rete idrica. Perciò, anche sotto questo aspetto, i giudici hanno ritenuto «inconsistente sul piano probatorio» l’impianto accusatorio del ministero.
I TRIBUTI Il Tribunale ha anche fatto luce sulle presunte irregolarità nella riscossione dei tributi: «Non può sottacersi la circostanza, anche questa scrupolosamente documentata dalla difesa, che prima dello scioglimento sono stati riscossi tutti i tributi locali, fatta eccezione per alcune somme esigue relative al servizio idrico integrato, per le quali tuttavia sono stati notificati i relativi solleciti di pagamento nel luglio 2016».
IL GIUDIZIO I giudici hanno perciò definito il quadro probatorio, sul quale si fondavano le contestazioni del ministero a Ciccone, «fortemente deficitario», dal momento che «non è possibile rinvenire alcun collegamento» dell’ex sindaco «con ambienti mafiosi, attesa l’assenza di qualsiasi rapporto di parentela, né diretto né indiretto, tra questi e personaggi legati alle locali consorterie criminali o con soggetti controindicati».
Rilevata, inoltre, «l’assenza di legami stretti di conoscenza e/o di frequentazione abituale con tali persone, nonché l’assoluta irrilevanza del numero dei sottoscrittori “di interesse investigativo” presenti nella lista dell’ex primo cittadino».
Il Tribunale ha sottolineato quindi «l’insussistenza degli elementi concreti, univoci e rilevanti» richiesti dal Testo unico degli enti locali ai fini dell’accertamento di condizionamenti mafiosi. «È emerso piuttosto – scrivono i giudici – che rispetto alle precedenti amministrazioni, la compagine amministrativa sotto la guida di Ciccone abbia lavorato alacremente per risollevare il Comune dalla grave situazione in cui versava al momento delle elezioni, anche sotto il profilo amministrativo-contabile, gestionale e urbanistico».
Quella guidata dall’ex sindaco era, in definitiva, un’amministrazione che «non soltanto non si è discostata dai principi di buon andamento e imparzialità che dovrebbero governare l’agire amministrativo, ma che in nessuna delle condotte esaminate si rinviene alcun collegamento diretto o indiretto con la criminalità organizzata né tanto meno forme di condizionamento che abbiano determinato la deviazione dell’azione amministrativa dai binari della trasparenza e dell’efficienza».
FINE DI UN INCUBO Per Ciccone è la fine di un incubo: «Sono stati 10 mesi difficili, in cui la mia dignità è stata messa in discussione. Questa sentenza dimostra che i magistrati hanno guardato attentamente le carte. Mi rincuora il fatto che abbiano riconosciuto la mia estraneità rispetto a queste vicende. È una sentenza che mi dà ragione su tutta la linea. Ringrazio i miei avvocati Gaetano Ciccone, Antonino Quero e Marinella Gattuso, che era assessore nella mia amministrazione e ha contribuito in maniera decisiva alla costruzione della difesa. Non mi resta che chiedere a Minniti per quale motivo il suo ministero abbia chiesto addirittura la mia incandidabilità, tentando di cancellare trent’anni di politica a favore dei più deboli».
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