Esprimo piena soddisfazione e vivo apprezzamento per gli esiti positivi della sentenza di un Tribunale della Repubblica che ha rigettato l’incandidabilità proposta dal ministero dell’Interno per l’ex sindaco Pasquale Ciccone e nel contempo rivolgo i miei auguri all’intera comunità scillese.
Da sempre impegnato ad animare il dibattito politico per sostenere con la massima energia la battaglia inerente la modifica della legge sugli scioglimenti dei consigli comunali, anche in questa vicenda, sin da subito e senza esitazioni, ho preso una netta posizione in difesa della democrazia e dell’amministrazione eletta dai cittadini con maggior vigore dopo aver letto le motivazioni dello “scioglimento”, sino a partecipare (unica presenza esterna!), insieme a un sindaco lasciato solo dalla politica ma non dalla sua Scilla (come di consueto accade in queste occasioni) a un incontro pubblico chiarificatore e, ahimè, di attesa.
Oggi finalmente un tribunale della Repubblica nella sua piena autonomia ha giudicato insussistenti, quasi risibili, le motivazioni attraverso le quali è stato mandato a casa il sindaco Ciccone che, in questo specifico caso, ancor peggio che in altri, risulta l’unico soggetto per cui è stata chiesta dal ministero dell’Interno l’incandidabilità, realizzando così il paradosso di un comune sciolto per mafia nel quale nessun consigliere comunale risulta “macchiato” e in cui vi sia un netto risanamento amministrativo.
Per la prima volta un tribunale, in modo chiaro ed inequivocabile, comprende il contesto sociale, in cui operano le istituzioni locali non ritenendo reato ciò che reato non è: incontri occasionali ed inevitabili nei comuni di piccola e media dimensione – ex compagni di scuola, vicini di casa, etc. etc. – (part. Sentenza – «l’ex primo cittadino in 27 anni è stato visto colloquiare con 6 persone ritenute malavitose, questi dati a parere del collegio non possono essere considerati dirimenti poiché le ridotte dimensioni del comune di Scilla determinano tanto inevitabilmente quanto fisiologicamente occasioni di incontro fra cittadini, pregiudicati e non»).
L’aspetto fortemente negativo che rimane sullo sfondo di questa triste e annosa vicenda è che nessuno potrà restituire al popolo, nell’immediatezza e in conseguenza alla sentenza, l’amministrazione democraticamente eletta.
Di contro colgo con velato ottimismo il tipo di sentenza che, più che in altri precedenti casi, in cui comunque sia già emerso quanto l’attuale normativa sugli scioglimenti favorisca la superficialità procedurale, non lascia scampo a forme “sbrigative” di giustizia che non siano correttamente basate su giudizi definitivi emessi da tribunali ma si fondino invece su incomprensibili provvedimenti e iter amministrativi o su semplici informative delle forze dell’ordine mal gestite e peggio utilizzate.
Questa sentenza conferma ancora una volta quanto sia giusta la posizione di chi attende il giudizio nelle sedi opportune e nel rispetto della Costituzione Italiana e quanto vada arginata la scuola di pensiero dei tanti soggetti (ahimè troppi!) per i quali è sufficiente un semplice avviso di garanzia, una semplice indiscrezione giornalistica o peggio una semplice e normale informativa delle forze dell’ordine senza alcun contraddittorio per condannare un singolo o un’intera comunità.
Si comincia dunque a considerare in modo serio e puntale un principio sino ad ora disatteso, l’idea non solo astratta che uno sia innocente sino al terzo grado di giudizio e si inizia timidamente a valutare in maniera negativa la posizione di chi sostiene che la magistratura o le alte burocrazie dello Stato abbiano sempre ragione anche in totale assenza di qual si voglia diritto alla difesa.
*Consigliere metropolitano di Reggio Calabria
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