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«Una tavola rotonda per il Sud»

di Orlandino Greco*

Pubblicato il: 08/01/2019 – 10:47
«Una tavola rotonda per il Sud»

Le mie trascorse esperienze di sindaco e quella attuale di consigliere regionale, l’amore per la mia terra e, principalmente, il dovere di chi svolge politica attiva per il futuro dei giovani mi spingono a partecipare al confronto formatosi nel Paese a valle dei tre referendum consultivi celebrati lo scorso anno in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sul tema del regionalismo differenziato. Ovverosia su quella facoltà consentita alle Regioni dall’art. 116, comma 3, della Costituzione di pretendere di legiferare anche su tutte le 19 materie attribuite dalla stessa alla legislazione concorrente, oltre che ad altre quattro di competenza esclusiva dello Stato.
Un accaduto che ha scatenato quasi tutte le altre Regioni a statuto ordinario, fatta eccezione per la Calabria, L’Abruzzo e il Molise, a rivendicare la medesima cosa, provvedendo a svuotare dei contenuti il terzo comma dell’art. 117 della Costituzione. Con questo ad appropriarsi della potestà legislativa, sino ad oggi statale, di stabilire i principi fondamentali su tutte le materie riassunte a quella regionale, che diventa così esclusiva.
Questo è quanto bolle nella pentola istituzionale, intendendo per tale il lavoro che sono chiamati a fare in proposito prima il Governo in carica e poi il Parlamento che dovrà decidere al riguardo a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Diversamente è la valutazione politica che va fatta sul fenomeno divenuto di moda ad ogni latitudine, tanto da avere generato una corsa delle Regioni a fare il pieno delle attribuzioni legislative oggi concorrenti, spesso senza alcun distinguo e comunque senza alcuna preventiva valutazione che desse una ragione unanimemente condivisibile alle loro rispettive iniziative.
Che non si possa campare oramai di solo Stato è evidente. Che ci fosse bisogno di federalismo era nei fatti, tant’è che a seguito delle leggi Bassanini, introduttive di quello amministrativo, nel 2001 – con l’ok del Parlamento, prima, e quello conseguito dal popolo con i risultati del referendum consultivo, dopo – venne revisionata in tale senso la Costituzione con l’introduzione nell’ordinamento del c.d. federalismo fiscale.
Un risultato che non faceva e fa una piega, considerato anche il lavoro che ne seguì a cura del legislatore nazionale, delegante e delegato, che tra il 2009 e il 2011 scrissero le regole di come dovesse funzionare in neo introdotto sistema di finanziamento territoriale dell’insieme delle istituzioni infra-statali.
A margine di tutto questo, il nulla o quasi nel silenzio generale – sia di chi lo aveva votato nel 2001 che di chi lo aveva attuato nel biennio 2009/2011, coinvolgente in una siffatta «reità» tutti. Proprio tutti, centrosinistra e centrodestra – con la Lega (allora Nord) che si era appesa i galloni della vittoria sulle maglie verdi.
Oggi si tenta di smentire il principale cardine sul quale si basava la pretesa autonomia delle Regioni, non già legislativa. Ciò in quanto il contenuto dell’art. 116, comma 3, cui tutti fanno ricorso oggi rappresentava l’eccezionalità e non la regola, che prevedeva la disponibilità di tutte le autonomie delle risorse indispensabili per garantire su tutto il territorio nazionale le prestazioni essenziali. Un risultato assicurato dal legislatore costituzionale ricorrendo alla perequazione verticale garante di quella erogazione finanziaria utile a colmare la differenza tra la fiscalità propria di ogni Regione e quanto ritenuto necessario attraverso la determinazione del costo standard relativo.
Una metodologia apprezzabile perché introduttiva di una ripartizione delle risorse statali in funzione redistributiva e solidaristica.
Proprio per questo motivo, allo scopo di impedire di distruggere in un attimo, a causa di irrazionali egoismi delle Regioni più ricche, il sistema unitario su cui si fonda la Repubblica e la civiltà istituzionale che contraddistingue il nostro Paese, occorre fare ricorso ad una parziale revisione di quanto sta accadendo. Un percorso intrapreso con alla base degli ingiusti velleitarismi e ingigantitosi spesso per mera imitazione degli altri, quasi a volere dimostrare di non esser secondi ad alcuno nel proporre anche le idiozie, senza ben comprendere che una siffatta opzione porterebbe la nazione a doversi misurare con gli ultimi per racimolare nelle sedi più povere le briciole dei diritti di cittadinanza.
Colgo quindi favorevolmente l’invito rivolto dalla Fondazione TrasPArenza, che in materia conta al suo interno la presenza di riconosciuti studiosi, di organizzare una tavola rotonda istituzionale perenne dove i rappresentanti istituzionali del Sud (Governatori e Sindaci) possano studiare (prima) e disegnare le future e migliori sorti del Mezzogiorno, come parte fondante ed essenziale del sistema Paese e soggetto attivo delle politiche comunitarie.
L’Italia del Meridione ha dedicato ai propri quadri apposite sessioni di approfondimento sul tema!
*Consigliere regionale

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