CATANZARO Incappucciato e portato in un bosco, fatto inginocchiare davanti a una buca scavata con una ruspa. Aveva creduto di non farcela l’avvocato Francesco Pagliuso davanti agli Scalise, scontenti del suo operato di legale. Lo avevano poi lasciato andare. Era il 2012. Ma lui racconterà a sua sorella Antonia di avere temuto che le cose non sarebbero andate a finire bene per lui. La sorte avversa raggiungerà l’avvocato il 9 agosto del 2016. Secondo gli inquirenti Pagliuso è stato stritolato nella faida che si era scatenata sui monti del Reventino, nel territorio dei Comuni del Lametino, tra le famiglie Scalise e Mezzatesta. Una faida marcata stretta dalle indagini dei carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo della provincia di Catanzaro e del Gruppo di Lamezia Terme, coordinati dalla Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Le indagini hanno portato al fermo, vergato anche dal sostituto procuratore Elio Romano, di 12 persone nel corso dell’operazione “Reventinum”, 7 appartenenti alla famiglia Scalise e 5 a quella Mezzatesta (qui e qui nomi e dettagli). Le indagini prendono spunto dai delitto dell’avvocato Pagliuso e di Gregorio Mezzatesta, fratello di Domenico, quest’ultimo considerato al vertice dell’omonima cosca. Tutti sono accusati di associazione a delinquere. «Stiamo riempiendo un mosaico con le tessere mancanti – ha affermato il procuratore Gratteri – non ci siamo fermati un attimo e non saremo appagati fino a quando non avremo i mandanti degli omicidi. Siamo sicuri che i mandanti si trovano attorno a questi indagati».
La macchina delle indagini della Procura di Catanzaro è ormai avviata. I territori sono monitorati. Nel Lametino da maggio del 2016, quando Gratteri si è insediato a Catanzaro, sono state arrestate, nell’ambito di operazioni antimafia, oltre 200 persone. «Le accuse – ha detto il procuratore – hanno finora ben retto al vaglio del Riesame e dei Tribunali di Lamezia e Catanzaro».
«L’area montana della provincia di Catanzaro – ha detto Marco Pecci, comandante provinciale dell’Arma – è in parte esplorata anche se restano zone oscure. Stiamo lavorando per garantire la sicurezza dei cittadini e la libertà imprenditoriale. Oggi constatiamo con soddisfazione che i cittadini stanno cominciando a fidarsi, hanno voglia di liberarsi. C’è ancora da molto lavoro da fare ma noi non desistiamo».
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COME NASCE LA FAIDA DELLA MONTAGNA Quando tra i territori montani di Soveria Mannelli, Decollatura, Serrastretta e Platania sono arrivati i lavori per la costruzione della strada del Medio Savuto e sono cresciute le attività di calcestruzzo e movimento terra, sono venuti a formarsi due gruppi contrapposti che si contendevano gli appalti e anche il racket sulle attività di terzi. «Tra le accuse a vario titolo contestate – ha spiegato il colonnello Giuseppe Carubia, comandante del Reparto operativo di Catanzaro – c’è anche un’estorsione avvenuta nel 2017 ai danni di un imprenditore del settore legname al quale erano stati incendiati un capannone e diverse macchine agricole per 150mila euro di danni. In quel caso non si trattava di estorcere denaro all’imprenditore ma di favorire una società concorrente vicina agli Scalise». L’attività investigativa, guidata anche dal comandante pro tempore del Nucleo investigativo, Fabio Vincelli, è stata condotta sul campo, ricorrendo alla tecnologia e ha avuto a corollario anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Tre indagati sono stati fermati in Piemonte. Tra questi vi è Ionela Tutuianu, 41 anni, compagna del capocosca Domenico Mezzatesta. Avrebbe avuto il compito di garantire la leadership dell’uomo recapitando i suoi messaggi dal carcere, dove si trova rinchiuso per duplice omicidio, agli affiliati. Nel corso delle perquisizioni sono state trovate una mazzetta sottovuoto da 13mila euro (in casa della Tutuianu), diversi documenti di interesse investigativo e, a casa di un indagato, anche un santino della Madonna di Polsi (simbolo nei riti di affiliazione alla ‘ndrangheta). Uno degli indagati arrestati in Piemonte aveva già pronta una valigia per tagliare la corda.
«La macchina ormai è partita e nessuno potrà più fermarla – ha commentato il procuratore Gratteri – il progetto è nato a maggio 2016, condiviso dai vertici delle forze dell’ordine come il generale della Legione Carabinieri Calabria Vincenzo Paticchio e dal generale di corpo d’armata Luigi Robusto».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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